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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo

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DPEF 2003-2006
Documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 2003-2006


Indice

Sommario e conclusioni

I - IL CONTESTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO

I.1 La congiuntura economica
I.2 Le prospettive a medio termine e i rischi delle previsioni
I.3 Le riforme strutturali in Europa

II - L’EVOLUZIONE DELL’ECONOMIA ITALIANA

II.1 Le politiche messe in atto dal governo: i provvedimenti per i primi "100 giorni", la legge finanziaria per il 2002 e le leggi delega
II.2 Il quadro macroeconomico nel 2002
II.3 La finanza pubblica nel 2002
II.4 L’andamento tendenziale dell’economia italiana 2003-2006
II.5 Il quadro tendenziale di finanza pubblica 2003-2006

III - GLI OBIETTIVI PROGRAMMATICI PER IL 2003 E IL MEDIO PERIODO

III.1 Il quadro macroeconomico 2003- 2006
III.2 Il quadro di finanza pubblica 2003-2006

IV - LE LINEE DI POLITICA ECONOMICA: I NUOVI INTERVENTI

IV.1 Le riforme economiche

IV.1.1 La riforma fiscale
IV.1.2 Il mercato del lavoro e l’inclusione sociale
IV.1.3 La riforma del sistema previdenziale
IV.1.4 Le pari opportunità

IV.2 Le riforme istituzionali-sociali

IV.2.1 Le riforme della Finanza pubblica
IV.2.2 La riforma della scuola e dell’università e della Ricerca
IV.2.3 I Beni Culturali
IV.2.4 La Salute e l’Ambiente
IV.2.5 Politiche comunitarie, Devoluzione e Affari Regionali
IV.2.6 L’amministrazione Generale del Territorio, la Sicurezza, la Giustizia, la Difesa, i Rapporti Internazionali e gli Italiani nel mondo
IV.2.7 La Pubblica Amministrazione, l’e-government e le politiche di razionalizzazione degli acquisti

IV.3 Il Patrimonio, le infrastrutture e la modernizzazione del paese

IV.3.1 Gestione e valorizzazione del patrimonio pubblico
IV.3.2 I nuovi interventi per le opere pubbliche: Infrastrutture S.p.A.
IV.3.3 La legge obiettivo
IV.3.4 La politica dei trasporti

IV.4 Il progetto Mezzogiorno

IV.4.1 Gli obiettivi programmatici

IV.4.2 Le politiche di investimento

IV.4.2.1 La quantità e l’utilizzo delle risorse finanziarie pubbliche
IV.4.2.2 La qualità degli investimenti
IV.4.2.3 La modernizzazione delle Amministrazioni pubbliche
IV.4.2.4 Gli incentivi e il marketing territoriale

IV.5 Il sistema produttivo

IV.5.1 Privatizzazioni e liberalizzazioni
IV.5.2 Le politiche agricole
IV.5.3 L’innovazione tecnologica e le telecomunicazioni


 

Gli obiettivi

Stabilità, Riforme, Sviluppo, Equità.

La politica economica per la legislatura si fonda su questi quattro obiettivi, strettamente connessi tra di loro.

La stabilità, principio fondamentale della finanza pubblica e della costruzione europea, è garantita da un sentiero che raggiunge già nel 2003 un saldo strutturale di bilancio prossimo al pareggio, e prosegue il cammino nei tre anni successivi. Il rapporto tra debito e PIL scende sotto il 100 per cento nel 2004.

Le riforme - del fisco, della previdenza, del mercato lavoro, del mercato dei capitali e dei prodotti- insieme ad un rafforzamento delle politiche territoriali costituiscono il centro del programma di governo e consentono di elevare gradualmente, ma sensibilmente, la crescita potenziale ed effettiva, ponendo fine a un decennio di lenta crescita.

Uno sviluppo equo e vigoroso è obiettivo di fondo della politica economica, volta a perseguire benessere e un’ evoluzione sostenibile della società, in un quadro di valori e principi condivisi.

L’equità, realizzata attraverso una revisione del sistema fiscale e del welfare, e attraverso il riequilibrio territoriale, non è soltanto un principio e obiettivo fondamentale, ma è anche ingrediente essenziale per la sostenibilità della crescita.

I quattro obiettivi della politica economica rappresentano un insieme fortemente integrato; nessuno di essi si sostiene senza gli altri. Ma per questo motivo è possibile conciliarli in un quadro coerente.

Logicamente, le riforme sospingono lo sviluppo, anche per questa via promuovono la stabilità finanziaria, rendono possibile l’equità senza declino. Per questo motivo, l’accordo con le parti sociali sulle riforme non è l’esito di un negoziato, ma è un vero "patto per l’Italia".Le condizioni iniziali

Il disegno della politica economica per i prossimi anni muove da due condizioni iniziali. Il quadro economico internazionale e la situazione della finanza pubblica ereditata dal passato.

Il quadro macroeconomico globale, nel 2001 e nei primi mesi del 2002, ha risentito di fattori esterni che ne hanno compromesso la dinamica. Dopo il brusco rallentamento, la situazione è oggi caratterizzata da un forte miglioramento delle prospettive e rappresenta un contesto positivo per il disegno della politica economica del prossimo quadriennio. Le riforme, come è ovvio, sono più agevoli nelle fasi espansive del ciclo economico. Ma non per questo, anzi proprio per questo, vanno fatte.

Le condizioni della finanza pubblica ricevute dal passato, al contrario, rappresentano ancora un’eredità difficile da superare.

Il precedente governo - nel DPEF 2001-2004, presentato al Parlamento nel luglio 2000 - indicò che sulla base dei soli andamenti inerziali della finanza pubblica, l’Italia avrebbe rispettato gli obiettivi del programma di stabilità e sviluppo. In particolare, il pareggio del bilancio pubblico nell’anno 2003 sarebbe stato raggiunto automaticamente, senza la necessità di ulteriori manovre o interventi di correzione.

Nel mese di settembre del 2000, il Governo in carica lanciò un piano di aumento di spesa corrente e di sgravi fiscali, crescenti nel tempo e tali da impegnare soprattutto la successiva legislatura. In specie, nella "nota di aggiornamento" al DPEF, veniva confermata la convinzione che il solo andamento tendenziale del bilancio pubblico avrebbe condotto all’azzeramento del deficit come previsto dal programma di stabilità e che il "di più" ipotizzato di entrate avrebbe potuto essere automaticamente utilizzato per sgravi fiscali e aumenti di spesa.La risposta nel 2001 e nel 2002.

Anticipando una prassi che poi sarebbe divenuta "best practice" europea, il Governo Berlusconi, all’inizio della nuova legislatura chiese alla Ragioneria Generale dello Stato una "due diligence" sui conti pubblici.

Alla metà di luglio del 2001, ne emerse un andamento tendenziale della finanza pubblica seriamente fuori linea, per ciò che riguardava gli obiettivi del bilancio 2001, e un andamento del deficit ben disopra di quanto configurato nel programma di stabilità concordato in Europa. Secondo nuove stime tendenziali, il rapporto indebitamento netto/PIL si sarebbe azzerato non prima del 2006.

Si vide pertanto che il processo di risanamento finanziario, che aveva consentito all’Italia di entrare nella moneta unica, si era dapprima fermato - sul finire del 1999 - e poi invertito - a partire dall’anno 2000. Il tutto, secondo le più ovvie previsioni della teoria economica del ciclo elettorale.

A riprova di questi andamenti, si collocano le più recenti revisioni dei dati prodotti dall’ISTAT sia per l’anno 2001 che per il 2000; dati che evidenziano in modo sempre più preciso la reale situazione della finanza pubblica nel 2000 e nel 2001.

Nel 2001, dunque, dopo gli eventi dell’ 11 settembre, il governo si è inoltre trovato a fronteggiare una situazione economica di straordinaria gravità.

La situazione è stata deliberatamente affrontata in modo ordinato: senza imporre una stretta di bilancio a un’economia improvvisamente fragile; promuovendo un ampio insieme di provvedimenti per avviare il mutamento strutturale dell’economia. Tra questi, il pacchetto del "100 giorni", la legge finanziaria, le deleghe per realizzare le principali riforme. Nell’insieme 24 provvedimenti orientati allo sviluppo, all’equità, all’investimento, alle riforme.

La politica economica 2003-2006

Con questo Documento di Programmazione Economica e Finanziaria, costruito a partire dal patto per l’ Italia, il governo conferma e rafforza la linea di riforme strutturali, in linea con quanto deciso nei Consigli d’Europa di Lisbona e Barcellona.

Senza queste riforme, l’andamento tendenziale della nostra economia permarrebbe insoddisfacente.

Il tasso di crescita effettivo, così come quello potenziale, renderebbero problematico il raggiungimento degli obiettivi di occupazione e assai costoso il raggiungimento di una situazione vicina al pareggio per i conti pubblici.

La discesa del rapporto debito-Pil sarebbe troppo lenta, sino ad azzerarsi negli anni a venire.

Le misure proposte nel DPEF capovolgono questo quadro.

Le principali riforme economiche riguardano:

  • il sistema fiscale - con un avvio della riforma dai redditi bassi e medi e un primo sostanziale sgravio per le imprese;
  • il mercato del lavoro, l’inclusione sociale e le pari opportunità;
  • il sistema previdenziale – con l’utilizzo di incentivi per il prolungamento dell’età lavorativa e la creazione del secondo pilastro della previdenza;
  • la funzione pubblica – con la trasformazione dei ministeri in centri di responsabilità e l’introduzione del criterio dello "zero budget";
  • il finanziamento delle infrastrutture attraverso un più ampio ricorso al mercato; Si avvia, inoltre, la politica di valorizzazione del patrimonio pubblico.

Le principali riforme sociali e istituzionali riguardano:

  • amministrazione pubblica e formazione della legge finanziaria;
  • scuola, università, beni culturali;
  • salute e ambiente
  • devoluzione;
  • sicurezza, giustizia, difesa e rapporti internazionali

Progetti di grande rilevanza riguardano:

  • infrastrutture
  • trasporti
  • Mezzogiorno
  • politiche agricole
  • sistema produttivo, privatizzazioni, liberalizzazioni
  • innovazione tecnologica e telecomunicazioni.

Tutto l’insieme di azioni, riforme e progetti è mirato a una profonda modernizzazione del Paese.

Sul piano economico gli interventi assicurano:

i) un innalzamento sensibile del tasso di crescita potenziale per la nostra economia, che sale gradualmente dal 2,25 per cento tendenziale al 2,8 per cento annuo, come effetto delle riforme strutturali; ii) un miglioramento del tasso di crescita effettivo, che sale al 2,9 per cento nel 2003 (contro il 2,7 per cento tendenziale) e si sostiene negli anni successivi, in modo da chiudere gradualmente l’output gap; iii) un miglioramento permanente di tutti gli indicatori del mercato del lavoro, con una discesa del tasso di disoccupazione dal 9,1 al 6,8 per cento nel periodo ed un aumento del tasso di occupazione dal 54,6 al 60 per cento; iv) un deciso miglioramento dei conti pubblici nel 2002 (-1,1 per cento di indebitamento rispetto al PIL) , in presenza di un tasso di crescita ancora debole nella media dell’anno (1,3 per cento) ma in ripresa dal secondo semestre; v) il raggiungimento di una posizione strutturale "vicina al pareggio" nel 2003 e di "pareggio o surplus" in tutti gli anni successivi, grazie a un consistente avanzo primario; vi) una discesa del rapporto debito-PIL in linea con gli impegni europei (meno di 100 per cento dal 2004); vii) una riduzione della pressione fiscale dal 42,3 al 39,8 per cento.

(…)

I - IL CONTESTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO

I.1 La congiuntura economica Dopo il brusco rallentamento della crescita economica, manifestatosi nella seconda parte del 2001, il quadro internazionale nell’anno in corso è caratterizzato da un miglioramento delle prospettive. Negli Stati Uniti, in Europa e anche in Giappone, gli indicatori economici confermano come il punto di minimo del ciclo sia stato ampiamente superato.

L’economia statunitense, sostenuta da una politica monetaria e da una politica fiscale decisamente espansive, è cresciuta nel primo trimestre del 2002 rispetto al trimestre precedente ad un tasso annualizzato del 6,1 per cento, in presenza di una dinamica sostenuta della produttività. In Giappone, nello stesso periodo, la ripresa della domanda estera ha determinato un leggero miglioramento della congiuntura, pur in un quadro generale che permane negativo. Trainata dalle esportazioni, la crescita nell’area dell’euro è aumentata lievemente nel primo trimestre del 2002 (0,2 per cento in termini congiunturali), mentre i consumi delle famiglie e gli investimenti sono risultati ancora in flessione.

Segnali incoraggianti sembrano provenire, soprattutto in Asia, dalle economie dei paesi emergenti, che tornano ad avvantaggiarsi dalla nuova dinamica positiva del settore dell’ICT (Information and Communication Technology); in America Latina, invece, i contraccolpi della crisi dell’Argentina rischiano di estendersi anche ad altri paesi, compromettendo le prospettive di crescita del continente per l’anno in corso.

La ripresa dei paesi industrializzati è attesa intensificarsi nel secondo semestre dell’anno in corso, dando luogo a un tasso medio di crescita del PIL dell’1,8 per cento (1 per cento nel 2001). Ancora una volta, gli Stati Uniti svolgeranno un ruolo trainante nella ripresa dell’economia mondiale: il tasso di sviluppo statunitense dovrebbe raggiungere il 2,5 per cento, facendo così tornare positivo il differenziale con l’area dell’euro, il cui PIL aumenterebbe, infatti, solo dell’1,2 per cento (1,6 per cento nel 2001). In Giappone, nonostante alcuni segnali di ripresa, il tasso di crescita per l’anno in corso resterebbe ancora negativo e pari a –0,7 per cento.

Il commercio mondiale, dopo la stagnazione del 2001, dovrebbe recuperare un ritmo di crescita in sincronia con l’accelerazione registrata dalla produzione: il volume degli scambi è atteso aumentare del 2,5 per cento in media d’anno, con elevati tassi nel secondo semestre.

2 I prezzi internazionali delle materie prime non energetiche e dei manufatti, nonostante la ripresa della domanda mondiale, continueranno a diminuire, seppure in misura più limitata rispetto al 2001.

Dopo la forte flessione del 2001, le quotazioni del petrolio hanno registrato, nella prima parte dell’anno, significative oscillazioni, in coincidenza con l’inasprimento delle tensioni in Medio Oriente; tuttavia, grazie all’aumento dell’offerta da parte dei paesi produttori e delle esportazioni russe, esse sono attese stabilizzarsi su valori intorno ai 23 dollari al barile in media d’anno, di poco inferiori ai valori dell’anno precedente.

Coerentemente con gli andamenti dei prezzi internazionali, il tasso di inflazione dei paesi industrializzati, dopo il rialzo registrato nel 2000, dovrebbe ridursi ulteriormente.

(…)

IL QUADRO INTERNAZIONALE A CONFRONTO

Un confronto fra le previsioni per il 2002 effettuate dall’OCSE nel luglio del 2001 e quelle formulate a giugno 2002 mette in luce il deterioramento subito dal quadro internazionale rispetto ad un anno fa. In particolare, la previsione di crescita per il 2002 del commercio internazionale è stata rivista al ribasso dal 7,8 per cento al 2,5 per cento. Anche la previsione di crescita del PIL dei paesi industrializzati subisce un forte ridimensionamento: dal 2,8 per cento all’1,8 per cento. Per l’area dell’euro in particolare la revisione al ribasso delle previsioni è pari all’1,4 per cento, dal 2,7 all’1,3 per cento.

(…)

I.2 Le prospettive a medio termine e i rischi delle previsioni

Le previsioni relative al contesto internazionale indicano che, dopo la forte accelerazione della crescita, attesa a partire dal secondo semestre 2002, i ritmi di sviluppo saranno più sostenuti. Per il 2003 e gli anni successivi si ritiene, in specie, che la crescita del PIL dei paesi industrializzati sarà pari al 3 per cento.

In particolare, il tasso di sviluppo degli USA dovrebbe raggiungere nel 2003 il 3,5 per cento, mantenendosi sostanzialmente stabile nel medio periodo. Favorito dalla ripresa statunitense, il PIL dell’area dell’euro, dopo aver toccato il 3 per cento, si assesterà su valori lievemente inferiori. Per il Giappone, il 2003 dovrebbe essere l’anno del ritorno ad una crescita positiva (0,3 per cento), per poi portarsi negli anni successivi su tassi dell’1,7 per cento.

(…)

Il volume degli scambi mondiali, a riflesso della ripresa economica nella parte finale del 2002, manifesterebbe nel 2003 una espansione media del 9,5; nel triennio successivo tale ritmo di crescita si attesterebbe leggermente al di sotto dell’8 per cento.

Si ipotizza che il prezzo del petrolio si mantenga stabile nel medio periodo intorno ai 23 dollari al barile all’interno della forchetta indicata dall’OPEC. Viceversa, in linea con l’andamento previsto per la domanda mondiale, ci si attende un rincaro delle altre materie prime e manufatti.

Nel 2003, l’inflazione è prevista in ulteriore riduzione per poi stabilizzarsi negli anni successivi intorno all’1,5 per cento.

Anche in questo contesto, tuttavia, permangono alcuni fattori di rischio.

In primo luogo, rimangono irrisolti molti degli squilibri macroeconomici a livello internazionale. Particolarmente pronunciato è lo squilibrio delle partite correnti della bilancia dei pagamenti che, a fronte di un avanzo in Giappone e in Europa, continuano a registrare un forte passivo negli Stati Uniti. Il rallentamento dell’economia statunitense e il forte calo degli investimenti non hanno contribuito a ridurre tali squilibri.

Permane, inoltre, soprattutto negli Stati Uniti, una situazione di diffusa incertezza sui mercati finanziari, legata all’andamento degli utili delle società, all’affidabilità dei riscontri di bilancio e all’andamento dei corsi valutari.

A fronte di questi dati l’andamento della produttività, in crescita già nel 2001 nonostante il ciclo sfavorevole, testimonia tuttavia della vitalità e della solidità dell’economia americana. Vi contribuiscono anche la fluidità dei mercati, l’orientamento e la flessibilità delle politiche economiche e l’immensa ricchezza di risorse tecnologiche, di lavoro e imprenditoriali. In particolare, l’ottima performance della produttività americana dovrebbe, in presenza di una perdurante moderazione salariale, tradursi in un aumento significativo dei margini di profitto. Un tasso di crescita sostenuto della produttività consentirebbe infine di moderare eventuali tensioni inflazionistiche, favorendo di riflesso un orientamento espansivo della politica monetaria.

(…)

I.3 Le riforme strutturali in Europa Gli andamenti economici degli ultimi due anni mettono in luce come la crescita dell’economia europea sia in larga misura funzione della congiuntura economica internazionale.

Un ampio processo di riforme è essenziale per intervenire su quelle debolezze strutturali che tuttora impediscono il pieno sviluppo delle potenzialità economiche e sociali dell’Unione e ne ostacolano un processo di crescita endogena. E’ necessario migliorare il funzionamento dei mercati dei beni, dei servizi, dei capitali e del lavoro, in particolare creando un ambiente economico favorevole allo sviluppo e alla diffusione delle innovazioni tecnologiche, alla crescita delle imprese e dell’occupazione.

Il Consiglio Europeo di Lisbona del marzo 2000 ha assegnato alle politiche strutturali un ruolo centrale nel raggiungimento di un obiettivo strategico: trasformare l’Unione Europea nell’economia più innovativa e competitiva del mondo, capace di garantire, al contempo, una crescita sostenibile, una maggiore e migliore dinamica dell’occupazione e un rafforzamento della coesione sociale.

Perché si possano raccogliere tutti i frutti delle riforme strutturali, occorre adottare un approccio globale e coerente nel quale il procedere delle riforme e l’eliminazione dei restanti ostacoli all’integrazione economica tra gli Stati membri avvengano in maniera progressiva e coordinata. Una Unione Europea caratterizzata da una maggiore concorrenzialità e da un assetto uniforme dei mercati rafforza e sostiene gli sforzi compiuti da ogni Paese membro per aumentare il proprio potenziale di crescita.

Negli ultimi anni il coordinamento a livello comunitario in tema di riforme strutturali si è sviluppato a partire dalle politiche del lavoro e della regolamentazione dei mercati dei beni e servizi, attraverso i processi di Lussemburgo e di Cardiff, per poi estendersi recentemente ad altre aree della politica economica e sociale, quali l’inclusione sociale e i sistemi previdenziali.

I processi di Lussemburgo e di Cardiff hanno introdotto un ciclo continuo di monitoraggio e valutazione delle riforme strutturali che permette di individuare di volta in volta gli ostacoli specifici e le nuove sfide strategiche che devono essere affrontati dai Paesi membri e dall’Unione nel suo complesso.

Grazie anche all’impulso fornito da tali processi, negli ultimi anni sono stati compiuti progressi sostanziali nell'attuazione delle riforme strutturali negli Stati membri, inducendo una maggiore flessibilità del mercato del lavoro e una più completa integrazione del mercato dei beni. Rimane tuttavia ancora molto da fare, tenuto anche conto che nel 2001 il processo di riforma ha subito un marcato rallentamento rispetto agli anni precedenti.

Il Consiglio dei Ministri Economici e Finanziari di Siviglia ha approvato il 21 giugno scorso gli "Indirizzi di massima per le politiche economiche degli Stati membri" del 2002. Per quanto riguarda le politiche strutturali, in particolare, le raccomandazioni del Consiglio si concentrano, tra l’altro, sull’importanza di abbassare la pressione fiscale, specialmente sui bassi salari, ridisegnare il sistema degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive e modernizzare l'organizzazione del lavoro. Per quanto riguarda i mercati dei prodotti, ulteriori riforme si rendono necessarie in quei settori dove i progressi sono risultati troppo lenti, in modo particolare nelle industrie a rete. Le raccomandazioni del Consiglio sono rivolte essenzialmente a incoraggiare l’apertura dei mercati e a migliorare il benessere dei consumatori attraverso il calo del livello dei prezzi, l’ampliamento delle opportunità di scelta e il miglioramento della qualità. A tal fine, gli Stati membri sono stati invitati ad intensificare gli sforzi per il completamento del mercato interno e a prestare particolare attenzione all’effettivo operare della concorrenza.

Oltre a queste raccomandazioni di portata generale, che si applicano a tutti i paesi, sono state adottate delle raccomandazioni specificatamente indirizzate a ogni Stato membro.

Le raccomandazioni riferite all’Italia di natura strutturale indicano:

• di rafforzare la concorrenza nel settore dei beni e dei servizi, in particolare, nel mercato dell’energia elettrica e del gas;

• di sostenere le politiche volte a migliorare il livello di formazione e il settore della ricerca e sviluppo;

• di favorire le politiche fin qui attuate per la semplificazione del quadro amministrativo;

• di incoraggiare, nel mercato del lavoro, le parti sociali a concordare meccanismi salariali che tengano meglio conto della produttività e delle condizioni del mercato del lavoro locale, assicurando allo stesso tempo la moderazione salariale;

• di accrescere la flessibilità e facilitare l’accesso all’occupazione;

• di attuare la riforma degli ammortizzatori sociali;

• di favorire la partecipazione della forza lavoro, specialmente delle donne, adottando misure di sostegno alla famiglia ed alla maternità;

Ulteriori raccomandazioni riferite all’Italia riguardano la riforma fiscali. Viene raccomandato che la tempistica e gli obiettivi fissati nella legge delega presentata al Parlamento, tesa a ridurre la pressione fiscale, semplificare la tassazione e restringere il cuneo fiscale, siano coerenti con il raggiungimento e il mantenimento di una posizione prossima al pareggio di bilancio. Inoltre, viene raccomandato che nell’ambito dei poteri delegati richiesti al Parlamento, il Governo affronti gli aspetti critici dell’attuale sistema previdenziale e attui le misure necessarie a promuovere la previdenza complementare, chiarendo i possibili oneri di bilancio.

La strategia di politica economica del Governo Italiano che verrà descritta nei capitoli seguenti è coerente con queste raccomandazioni.

II - L’EVOLUZIONE DELL’ECONOMIA ITALIANA

II.1 Le politiche messe in atto dal governo: i provvedimenti per i primi "100 giorni", la legge finanziaria per il 2002 e le leggi delega Nel corso degli ultimi 12 mesi, il quadro dell’economia internazionale è mutato ripetutamente. L’avvio della nuova legislatura, un anno fa, coincideva con l’affermarsi di un quadro dell’economia mondiale abbastanza favorevole, seppur caratterizzato dai primi segnali di flessione manifestatisi in tutti i paesi industrializzati nell’estate del 2001. Le conseguenze dell’attacco terroristico dell’11 settembre, inducevano successivamente un grave deterioramento delle prospettive economiche a livello internazionale.

Il Governo, dopo aver tracciato nel DPEF del 2001 un quadro realistico e forte di riforme di struttura, mirato a rilanciare la competitività e lo sviluppo dell’economia italiana, decideva di varare una Legge Finanziaria che conciliasse gli obiettivi di rigore economico, equità sociale con quelli di sostegno a un’economia in fase di ulteriore rallentamento a livello mondiale e europeo. Ciò per evitare l’errore, politico ed economico, di produrre un ulteriore peggioramento della congiuntura.L’equità sociale. Con la Legge Finanziaria veniva avviata una serie di interventi a favore dei soggetti più disagiati: le famiglie numerose, con redditi inferiori ad una certa soglia; i pensionati con rendite inferiori ai livelli di una dignitosa sussistenza. Queste misure, volte a ridurre l’area di povertà, avevano e hanno anche una valenza macroeconomica nella misura in cui sostengono i consumi delle famiglie, alimentando quindi la domanda aggregata.Il sostegno all’economia. Già i provvedimenti dei "100 giorni" avevano fornito uno stimolo significativo all’occupazione, agli investimenti pubblici e privati e alla ricerca e sviluppo. La Legge Finanziaria, oltre ad assicurare sostegno alla domanda di consumi, prevedeva maggiori risorse per gli investimenti pubblici. La cosiddetta legge Tremonti bis ha comunque contribuito a sostenere il processo di accumulazione, in un contesto ciclico divenuto sfavorevole. Lo conferma la dinamica degli investimenti in Italia, che si attesta su livelli significativamente più sostenuti rispetto sia alla media dell’Unione Europea sia rispetto alla Germania.

(…)

Il rigore economico trovava compiuta espressione nel prosieguo del programma di risanamento con la riconferma degli obiettivi europei assunti nell’ambito del "patto di stabilità e crescita".

Contestualmente alla Legge Finanziaria, il Governo ha avviato un ampio programma di riforme strutturali. Basi di questo programma sono le riforme del mercato del lavoro, del fisco e della previdenza, presentate al Parlamento come leggi delega nel Dicembre 2001. Queste riforme verranno descritte nei capitoli successivi.II. 2 Il quadro macroeconomico nel 2002

Al rallentamento dell’economia italiana nell’ultimo scorcio del 2001 hanno fatto seguito i segnali di ripresa nei primi sei mesi del 2002, rafforzatosi ulteriormente nel corso del trimestre successivo. Il recupero dell’economia europea e mondiale, l’impatto degli incentivi agli investimenti, la crescita sostenuta dell’occupazione e gli effetti indotti sulla domanda di consumi privati, portano a prevedere una forte accelerazione dell’attività economica che dovrebbe collocarsi vicino al 3 per cento nell’ultimo trimestre del 2002. Lo confermano i dati relativi alla fiducia delle imprese e alla crescita degli ordinativi industriali.

Tuttavia, l’eredità negativa del quarto trimestre del 2001 condiziona fortemente il risultato medio annuo. La crescita del PIL dovrebbe raggiungere 1,3 per cento, mezzo punto inferiore alla crescita registrata nell’anno precedente. La crescita 2002, seppur inferiore alle stime originarie, è comunque superiore, come nell’anno passato, a quella attesa per l’area dell’euro, pari a 1,2 per cento.

Il rallentamento sembra riflettere principalmente il deterioramento della domanda estera netta; il contributo alla crescita del PIL di questa componente passerebbe da

(…)

Dal lato della domanda, i consumi delle famiglie sono previsti aumentare dell’1,3 per cento, con una lieve accelerazione rispetto al 2001, per effetto della crescita del reddito disponibile, legata all’operare delle politiche del Governo, all’evoluzione positiva dell’occupazione e alla discesa dell’inflazione. In particolare, i redditi delle famiglie stanno già beneficiando degli sgravi fiscali per i figli a carico e dell’aumento delle pensioni minime. Tuttavia, come nel 2001, la propensione al consumo è stimata in calo, per effetto di orientamenti ancora prudenti.

La dinamica dei "consumi collettivi" è prevista attenuarsi, passando dal 2,3 per cento, registrato nel 2001, all’1,1 per cento nel 2002, per effetto dell’operare delle politiche intraprese dal Governo volte al contenimento della spesa corrente ai fini del rispetto degli obiettivi di bilancio.

Gli investimenti nel complesso, in connessione con il mutamento congiunturale, dovrebbero registrare una ripresa, dopo la frenata verificatasi nel 2001 e all’inizio dell’anno in corso. La componente di macchinari e attrezzature si caratterizzerebbe, in particolare, per una accelerazione nella parte finale dell’anno per beneficiare delle agevolazioni della legge Tremonti bis. Viceversa, gli investimenti in costruzioni dovrebbero mostrare un lieve rallentamento. Gli investimenti nel complesso (...) aumenterebbero, quindi, del 2,6 per cento (2,4 per cento nel 2001).

Le esportazioni, in caduta dal terzo trimestre del 2001 fino al primo trimestre del 2002, registrerebbero un forte recupero nella seconda parte dell’anno, in linea con il miglioramento previsto del quadro internazionale, portando la crescita media annua all’1,2 per cento contro lo 0,8 per cento dell’anno precedente. Tale crescita, che sconta la perdita di competitività di prezzo legata all’apprezzamento dell’euro, sarebbe, tuttavia, inferiore a quella delle importazioni che rifletterebbe il rinnovato impulso della domanda interna e in particolare di quella di investimenti e scorte; l’aumento delle importazioni risulterebbe pari a 2,5 per cento (0,2 nel 2001).

(…)

Dal lato dell’offerta, la crescita del valore aggiunto ai prezzi base, stimata pari all’1,4 per cento nell’anno in corso (2 per cento nel 2001), appare sostenuta principalmente dal settore dei servizi privati e da quello delle costruzioni, mentre l’apporto dell’industria in senso stretto sarebbe limitato, come già registrato nel 2001.

(…)

Il rallentamento produttivo del biennio 2001-2002 si rifletterà, seppure limitatamente, sulla dinamica dell’occupazione la cui crescita è prevista all’1,2 per cento (contro l’1,6 per cento nel 2001). La crescita dell’occupazione risulterebbe particolarmente vivace nel settore delle costruzioni (2,8 per cento) e in quello dei servizi privati (2,7 per cento), mentre sarebbe lievemente negativa nell’industria in senso stretto. Il tasso di disoccupazione, pari al 9,5 per cento nel 2001, continuerebbe a ridursi, attestandosi in media d’anno al 9,1 per cento.

Queste stime scontano i positivi risultati dell’indagine ISTAT sulle forze di lavoro pubblicata il 26 giugno ultimo scorso; in aprile, gli occupati sono aumentati rispetto a (…) un anno prima di 383mila unità (1,8 per cento). L’occupazione permanente a tempo pieno ha continuato ad aumentare a tassi elevati (2,3 per cento). Particolarmente significativa è stata la crescita dell’occupazione a tempo determinato, a riflesso presumibilmente dell’introduzione del "contratto europeo", varata nell’ambito dei provvedimenti dei 100 giorni. Il tasso di disoccupazione è migliorato di quattro decimi di punto nei confronti dell’aprile dello scorso anno, collocandosi al 9,2 per cento.

(…)

Come registrato nel 2001 e a sintesi degli andamenti descritti per l’occupazione e il prodotto, anche nell’anno in corso la crescita del valore aggiunto per unità di lavoro risulterebbe molto ridotta, vicina allo zero.

Le retribuzioni lorde pro-capite sono attese aumentare in media del 3 per cento nel 2002, secondo le tendenze del biennio precedente, registrando, quindi, un incremento del potere di acquisto rispetto all’inflazione.

(…)

Il costo del lavoro per unità di prodotto è atteso crescere per l’intera economia del 2,7 per cento nel 2002, in leggero aumento rispetto al 2001. In presenza di un lieve contenimento dei margini da parte delle imprese e del sostanziale annullamento degli impulsi inflazionistici esterni, l’inflazione al consumo dovrebbe attestarsi in media d’anno intorno al 2,2 per cento contro il 2,7 per cento del 2001.

Il rallentamento dei prezzi, che è atteso verificarsi principalmente nella seconda parte dell’anno, sarebbe connesso, da un lato, al venir meno dei fattori di tensione registrati all’inizio dell’anno; dall’altro lato, al rafforzamento dell’euro, stimato peraltro in misura prudenziale. Nel 2002 il differenziale di inflazione con l’area dell’euro sarebbe prossimo allo zero, in linea con il risultato del 2001.

(…)

Il saldo corrente della bilancia dei pagamenti, dopo il deterioramento registrato nel 2000, a riflesso dell’effetto negativo delle ragioni di scambio, e il successivo recupero, è atteso permanere, come nel 2001, su valori vicini allo zero. All’attivo commerciale (1,3 per cento del PIL) corrisponderebbe un deficit di pari dimensioni delle partite invisibili.

Dal confronto con le previsioni programmatiche per il 2002, effettuate nell’ambito del DPEF dello scorso anno, emerge che la stima della crescita del prodotto interno lordo è stata rivista al ribasso, dal 3,1 all’1,3 per cento, mentre quella dell’inflazione al rialzo, dall’1,7 al 2,2 per cento.

Per ciò che riguarda la crescita, la ragione dello scostamento è principalmente ascrivibile al deterioramento del contesto internazionale e al rinvio delle riforme strutturali resosi necessario date le condizioni riscontrate sulla finanza pubblica. La previsione relativa alla crescita del commercio mondiale è stata infatti, come già descritto nel capitolo precedente, rivista al ribasso di oltre 5 punti percentuali, dal 7,8 per cento del DPEF 2002-2006 al 2,5 per cento, in linea con le revisioni delle principali organizzazioni internazionali. Analogamente, la previsione del tasso di crescita del prodotto dei paesi industrializzati è stata rivista di un punto percentuale, dal 2,8 all’1,8 per cento.

Nonostante queste revisioni, la stima per l’anno in corso del tasso di disoccupazione registra un miglioramento, dal 9,5 al 9,1 per cento, a riflesso della prosecuzione del processo di elevata crescita occupazionale registrata pur in presenza del ciclo sfavorevole. L’aumentata elasticità dell’occupazione è attribuibile alla maggiore efficienza del mercato del lavoro conseguente alle riforme varate negli ultimi anni.

Per ciò che riguarda il tasso di inflazione questo dovrebbe risultare più elevato, principalmente per effetto del rincaro nel settore degli alimentari freschi, dovuto alle gelate d’inizio anno; della crescita dei prezzi dei carburanti legato al rialzo dei prezzi del petrolio all’inizio dell’anno in corso; dell’aumento di alcune tariffe. Il changeover ha esercitato effetti quantitativamente modesti.

(…)

CICLO E INTEGRAZIONE ECONOMICA

La ripresa dell’economia italiana è in misura rilevante funzione degli andamenti ciclici negli altri paesi industrializzati. Come rilevato da diverse organizzazioni internazionali, i processi di integrazione finanziaria e commerciale hanno accresciuto la sincronizzazione delle fluttuazioni cicliche nelle maggiori aree economiche. Anche nel caso dell’Italia, si osserva un mutamento significativo nella concordanza delle fasi cicliche con quelle degli altri paesi.

Nel Grafico 1 sono riportate le correlazioni più elevate, fra quelle contemporanee e quelle ritardate tra il ciclo industriale dell’Italia e quello degli altri paesi, ottenute tramite l’applicazione di un filtro statistico ("passa-banda"); sugli istogrammi è anche indicato il ritardo, in mesi, del ciclo industriale italiano rispetto a quello del corrispondente paese. Nel periodo più recente, è cresciuta la sincronizzazione della componente ciclica della produzione industriale italiana con quella delle principali economie dell’Area dell’Euro: la correlazione diviene contemporanea ed è particolarmente elevata nei confronti di Francia e Germania. Alla base di questo risultato ci sono diversi fattori, fra cui la sempre più stretta integrazione finanziaria (favorita anche dai sistemi di comunicazione), l’aumento del commercio intra-UE e l’adozione di una politica monetaria comune.

L’andamento del ciclo degli USA e del Regno Unito precede di circa sei mesi il ciclo industriale italiano. La correlazione con il ciclo degli Stati Uniti è inferiore sia a quella con Francia e Germania nei diversi periodi esaminati sia a quella con il Regno Unito, che peraltro aumenta notevolmente nell’ultimo decennio..

Il Grafico 2 analizza il comovimento della variazione del ciclo industriale, mostrando la percentuale di mesi in cui l’andamento ascendente o discendente del ciclo italiano corrisponde a quello (rispettivamente, ascendente o discendente) delle altre economie. Il grafico evidenzia che la concordanza è relativamente elevata, intorno al 40 per cento dei casi per Francia e Germania e, inoltre, che questa misura di concordanza è chiaramente maggiore nella fase ascendente (espansiva) con Stati Uniti e Regno Unito e, seppure in misura inferiore, anche con la Germania. La maggiore integrazione economica si accompagna ad una maggiore sincronizzazione

(…)

e ad una trasmissione più intensa del ciclo; tuttavia, tale trasmissione non è necessariamente simmetrica nelle fasi espansive e recessive.

Un’analisi multivariata di regressione (VAR) sulla componente ciclica della produzione industriale (utilizzando il metodo proposto da Hodrick-Prescott per tener conto anche delle componenti di brevissimo periodo) conferma i risultati precedenti, basati unicamente su correlazioni del ciclo industriale.

Nella Tabella 1 sono infine riportate le caratteristiche del ciclo economico italiano, ottenute applicando la metodologia di Bry-Boschan (1971) alla serie della produzione industriale. Durante gli anni novanta l’alternanza delle fasi cicliche è aumentata e si è al contempo ridotta la durata dei periodi di recessione e di espansione. In particolare, nel periodo 1994-2002, è evidente la riduzione nella durata media delle fasi del ciclo, soprattutto nelle fasi recessive (11 mesi rispetto ai 21 mesi in media per il periodo 1974-2002). Nello stesso periodo, anche l’ampiezza media delle espansioni e delle recessioni si è notevolmente ridotta, con una flessione maggiore nelle fasi di recessione (5,8 per cento nel periodo 1994-2002 rispetto al 9,3 per cento nell’intero periodo). Questi cambiamenti, che si riferiscono al solo settore industriale, sono in linea con quanto emerge da analisi condotte da vari organismi internazionali sul PIL per altri paesi industrializzati.

In sintesi, i principali mutamenti nella struttura del ciclo italiano sono dati dalla più stretta correlazione, soprattutto nelle fasi ascendenti, con gli andamenti in Francia e Germania e dalla minore ampiezza delle fluttuazioni cicliche.

(…)

A livello territoriale, per l’anno in corso si stima un aumento del PIL superiore nel Mezzogiorno rispetto al Centro Nord: 1,7 contro 1,2 per cento. Si conferma così una crescita del Mezzogiorno superiore a quella media europea.

A sostenere lo sviluppo del Mezzogiorno continuano a essere gli investimenti fissi lordi. La loro crescita (3,6 per cento circa stimato nel 2002, contro il 3,5 nel 2001) eccede nel periodo più recente quella europea, in una misura superiore a quanto previsto al momento di predisporre il programma comunitario 2000-2006 (…). A questo risultato concorre l’accelerazione, oltre che degli investimenti pubblici (pari a circa un quinto del totale), anche di quelli privati, sollecitati da un quadro di maggiori certezze circa le dimensioni e la continuità dell’azione pubblica di incentivazione.

(…)

In base alle informazioni disponibili sulla prima parte del 2002, il clima di fiducia del Sud resta su livelli superiori a quelli del Centro Nord. Anche le esportazioni del Mezzogiorno recuperano quote nel primo trimestre dell’anno, a fronte di tendenze ancora negative nel resto del paese.

Nonostante la fase ciclica riflessiva, si conferma a inizio 2002 nel Mezzogiorno la crescita dell’occupazione: 1,9 per cento di aumento in aprile rispetto a dodici mesi prima, 2,6 per cento al netto del settore agricolo (3,4 per cento nella sola industria).

L’incremento tra gennaio e aprile 2002 è stato pari allo 0,3 per cento (0,5 al netto del settore agricolo), superiore a quello del Centro-Nord, pari allo 0,1 per cento (…) Particolarmente significativo è, rispetto a dodici mesi prima, l’aumento dell’occupazione femminile (2,5 per cento contro 1,6 per quella maschile), che mostra il consolidarsi di un’inversione di tendenza nell’area di massima criticità dell’occupazione del Mezzogiorno (con un tasso di occupazione femminile nell’età attiva pari nella media del 2001 al 26,1 per cento, circa la metà di quello del Centro Nord).

(…)

II. 3. La finanza pubblica nel 2002

Nel Documento di programmazione dello scorso anno il Governo, pur consapevole delle difficoltà derivanti dallo stato dei conti pubblici ereditato dal precedente esecutivo e dall’indebolimento della congiuntura economica, ribadiva l’impegno a conseguire, per l’anno 2002, l’obiettivo di indebitamento allo 0,5 per cento del PIL. L’ obiettivo era legato ad una ipotesi di crescita del 3,1 per cento.

Tale obiettivo di indebitamento veniva mantenuto nella Relazione Previsionale e Programmatica di fine settembre 2001.

Nel Programma di stabilità per il 2001 si introdussero, in linea con gli altri paesi europei, due ipotesi di crescita e di indebitamento netto. L’analisi di sensitività metteva in particolare in evidenza che, se il tasso di crescita del 2002 si fosse attestato all’1,2 per cento, l’indebitamento netto sarebbe risultato pari all’1 per cento del PIL.

Al fine di conseguire l’obiettivo e per contrastare le maggiori esigenze finanziarie, in particolare del settore della sanità, venivano assunte, a livello regionale, iniziative per la copertura dei maggiori costi del servizio, nel rispetto dell’accordo stipulato nell’agosto del 2001.

Successivamente, nel corso del 2002, l’ISTAT ha rivisto, in sede di notifica dei dati relativi al 2001, il consuntivo dell’anno 2000 con un peggioramento (…) dell’indebitamento di due decimi di punto. Nel mese di giugno ha provveduto a un’ulteriore rettifica dei dati relativi all’indebitamento netto dell’anno 2001, portandolo dall’1,4 per cento all’1,6 per cento del PIL, per effetto della rideterminazione dell’utilizzo del Fondo per le politiche comunitarie e soprattutto dell’emersione di maggiori oneri nel settore della spesa sanitaria, con particolare riferimento a quella farmaceutica. Tali revisioni, pari nel biennio a quattro decimi di punto, pur riguardando andamenti pregressi, incidono sulle tendenze per l’anno in corso e gli anni successivi.

L’evoluzione dei conti pubblici nella prima parte dell’anno ha inoltre risentito del ritardato avvio della congiuntura economica favorevole e dell’efficacia ancora parziale delle misure adottate a copertura della spesa sanitaria.

Sulla base di queste tendenze, l’indebitamento netto si collocherebbe su un livello significativamente superiore all’obiettivo programmatico del 2002.

La dinamica delle entrate tributarie risulta più contenuta rispetto a quella prevista come conseguenza della minore crescita dell’economia.

Dal lato delle spese, i maggiori scostamenti continuano ad evidenziarsi nel settore della sanità, che registra una crescita superiore a quella ipotizzata, e nel comparto del pubblico impiego dove, ai maggiori oneri già emersi a consuntivo del 2001 soprattutto a livello delle Amministrazioni locali, vengono ad aggiungersi spese superiori a quelle previste nel comparto della scuola.

A fronte di queste risultanze, il Governo è intervenuto con decretazione d’urgenza, dapprima con il D.L.63/02 (cvt. nella L.112 del 15 giugno 2002) e successivamente con il decreto approvato dal Consiglio dei Ministri del 5 luglio, adottando rigorose misure di controllo della gestione del bilancio e in particolare di contenimento della spesa sanitaria. Tali provvedimenti, congiuntamente alle iniziative già intraprese dalle Regioni, consentono di riassorbire una parte rilevante del maggior indebitamento.La recente risoluzione dell’EUROSTAT in merito alla contabilizzazione delle operazioni di cartolarizzazione (immobili e lotto) comporta una revisione al rialzo dell’indebitamento del 2001 al 2,2 per cento a conferma dello squilibrio tendenziale nei conti pubblici ereditato dalla precedente legislatura. Tale revisione, che presenta caratteri di discrezionalità nel criterio di convalida dell’operazione di cartolarizzazione degli immobili, si rifletterà simmetricamente e positivamente sul livello dell’indebitamento dell’anno in corso e del successivo. Secondo la risoluzione assunta, infatti, i conti del 2002 e del 2003 beneficeranno degli incassi delle vendite effettivamente realizzate dalla Società Veicolo. I proventi del gioco del lotto, fin ad ora imputati all’esercizio 2001 secondo il criterio della competenza economica, miglioreranno i conti degli anni 2002 e seguenti.

Il livello di indebitamento per l’anno 2002, scontando l’attuazione del programma di dismissione del patrimonio immobiliare secondo modalità coerenti con la risoluzione EUROSTAT, è atteso collocarsi all’1,1 per cento del PIL.

Tale valore, debitamente corretto per gli effetti del ciclo, risulta pienamente in linea con l’obiettivo programmatico. Posto infatti che la crescita nel 2002 si attesti all’1,3 per cento – un punto in meno quindi del potenziale di crescita stimato dalla Commissione Europea – la differenza percentuale tra produzione effettiva e produzione potenziale (l’output gap) sarà pari a –1,3 per cento. L’indebitamento netto strutturale si attesterebbe in tale caso allo 0,45 per cento, in linea con l’obiettivo programmatico.

Tale risultato consente un ulteriore progresso nel processo di risanamento finanziario e risulta coerente con il rispetto degli impegni assunti in sede europea.

EFFETTI DELLA DECISIONE DI EUROSTAT SULLA FINANZA PUBBLICA

La decisione di Eurostat del 3 Luglio scorso comporta che i proventi delle operazioni di cartolarizzazione del Lotto e Enalotto e della vendita di immobili effettuate lo scorso anno siano contabilizzati nel 2002 e nel 2003, invece che nel 2001.

Per quel che riguarda la cartolarizzazione del Lotto e Enalotto, la decisione di Eurostat implica che i proventi ottenuti da tali operazioni nel 2001 (3 miliardi di euro) non possano ridurre l’indebitamento netto della P.A. dello scorso anno ma nei prossimi tre, per un ammontare annuo di 1 miliardo di euro.

Per quel che riguarda la vendita di immobili, la decisione di Eurostat implica che il valore totale della transazione effettuata lo scorso anno (3,7 miliardi di euro, al netto degli sconti per gli inquilini) non possa essere contabilizzato nel 2001, ma nel 2002 (per 2 miliardi di euro) e nel 2003 (per 1,7 miliardi), rispettivamente.

Il metodo usato dall’Italia per contabilizzare i proventi della cartolarizzazione della vendita degli immobili era stato comunicato ai rappresentanti di Eurostat e della Banca Centrale Europea in occasione di una riunione tenutasi a Roma, nell’Ottobre 2001.

La decisione di Eurostat introduce un nuovo criterio per registrare i proventi di una cartolarizzazione: il rapporto tra il pagamento iniziale effettuato dal compratore e l’ammontare complessivo della transazione. Se il pagamento iniziale è superiore all’85 per cento del valore complessivo, l’operazione viene contabilizzata come riduzione di investimenti fissi lordi e quindi come riduzione dell’indebitamento netto della P.A. Se invece il pagamento iniziale è inferiore all’85 per cento, tutto il valore dell’operazione – incluso il pagamento iniziale già effettuato – viene escluso dal calcolo dell’indebitamento netto della P.A. fin quando l’ammontare sarà interamente pagato.

La soglia dell’85 per cento utilizzata da Eurostat è frutto di una scelta discrezionale, che non trova riscontro nelle pratiche di mercato. E’ stata definita senza alcun riferimento ai metodi contabili del SEC95 e in modo retroattivo. Crea, inoltre, incentivi per la Società Veicolo che acquista gli immobili a emettere titoli con scadenza più lunga e minor rating. In effetti, per dato valore dell’attivo venduto, più alta è la soglia richiesta per il pagamento iniziale più basso è il rating e più lunga è la scadenza dei titoli emessi per finanziare il pagamento iniziale.

Nel 2001, il pagamento iniziale effettuato dalla Società Veicolo per acquistare gli immobili venduti dallo Stato è stato finanziato con l’emissione di titoli, senza garanzia dello Stato, con rating tripla A e con scadenza tra 12 e 24 mesi, per un ammontare pari al 63 per cento del valore complessivo dell’operazione. Secondo i nuovi criteri di Eurostat, l’emissione avrebbe dovuto coprire l’85 per cento del valore complessivo, invece del 63. Se il criterio stabilito da Eurostat fosse stato noto nell’Ottobre 2001, l’operazione di cartolarizzazione svolta a quella data sarebbe stata configurata in linea con quel criterio.

Lo Stato continuerà ad effettuare operazioni di vendita di immobili nei prossimi anni, attraverso la tecnica della cartolarizzazione, nel rispetto dei nuovi criteri contabili stabiliti da Eurostat.II.4 L’andamento tendenziale dell’economia italiana 2003-2006 Nel 2003, la crescita tendenziale italiana si collocherebbe al 2,7 per cento, a riflesso del rimbalzo derivante dalla forte ripresa congiunturale di fine 2002, per poi collocarsi intorno al 2,3 per cento nella media del triennio successivo.

Nonostante si tratti di tassi di sviluppo superiori a quelli registrati mediamente negli anni novanta, la crescita tendenziale dell’economia italiana rimane ancora bassa e insoddisfacente, anche se lievemente superiore comunque a quella stimata nello scenario tendenziale del DPEF dello scorso anno, in quanto comprensiva dei primi effetti delle riforme strutturali avviate dal Governo.

La formulazione di tali previsioni si basa sulle ipotesi internazionali delineate nel primo capitolo e tiene inoltre conto, secondo le regole già evidenziate nel DPEF dello scorso anno, solo della legislazione vigente. Sono, quindi, inclusi nelle stime relative alle grandezze economiche anche gli effetti della ultima legge finanziaria che si estendono al 2003.

Per il Mezzogiorno, le previsioni 2003-06 scontano l’assenza di quei provvedimenti necessari a garantire l’addizionalità, l’effettivo utilizzo e l’efficacia degli investimenti del Programma comunitario.

(…)

Nel 2003, il tasso di crescita del prodotto interno lordo dovrebbe beneficare non solo del consolidamento della ripresa internazionale ma anche dell’eredità favorevole derivante dal 2002. In base alle ipotesi già evidenziate, l’accelerazione dell’ultimo trimestre darebbe infatti luogo, a un trascinamento elevato, dell’ordine dell’1,5 per cento tale da determinare, nella media del 2003, una crescita del PIL pari a 2,7 per cento.

Nel 2003, la maggiore crescita italiana sarebbe sostenuta sia dalla domanda interna, il cui contributo risulterebbe pari a 2,3 punti percentuali, sia dal settore estero netto il cui apporto ritornerebbe a essere positivo.

In virtù del progressivo rallentamento delle tensioni inflazionistiche e della buona performance del mercato del lavoro, i consumi delle famiglie mostrerebbero una forte accelerazione crescendo ad un tasso pari al 2,7 per cento nel 2003, in linea con i risultati del 2000 e circa un punto al di sopra della media degli anni novanta.

La ripresa della domanda interna, unitamente al recupero di redditività delle imprese, contribuirebbe a mantenere elevati i tassi crescita degli investimenti fissi lordi, che si attesterebbero al 3 per cento. Tale profilo di crescita sottende, in particolare, l’accelerazione della crescita degli investimenti nel comparto macchinari e attrezzature.

(…)

Le esportazioni, coerentemente con il maggior dinamismo del contesto internazionale, registrerebbero un forte recupero, aumentando a tassi di crescita dell’8,5 per cento; l’elasticità delle esportazioni al commercio mondiale si attesterebbe ai valori storici. Parimenti, la crescita delle importazioni, seguendo l’accelerazione della domanda interna, e in particolare di quella di investimenti e scorte, si collocherebbe intorno all’8,4 per cento.

A fronte di questi andamenti, il persistere di un guadagno delle ragioni di scambio si tradurrebbe in un saldo commerciale pari all’1,5 per cento del PIL. Con un deficit delle partite invisibili in lieve riduzione rispetto al valore previsto per il 2002 (–1,2 per cento del PIL), il conto corrente della bilancia dei pagamenti ritornerebbe ad essere in attivo, dopo il sostanziale pareggio che ha caratterizzato il biennio precedente.

La ripresa delle esportazioni congiuntamente all’accelerazione degli investimenti dovrebbe sostenere la crescita del valore aggiunto, in particolare nell’industria in senso stretto. Nel 2003, alla forte ripresa del settore industriale, incluse le costruzioni (3 per cento), si accompagnerà la crescita dei servizi, in particolare nel comparto dei privati (3,6 per cento).

In linea con gli andamenti della produzione, l’occupazione dovrebbe riprendere a crescere a tassi sostenuti; nel 2003, si stima una crescita dell’occupazione pari a 1,5 per cento. A livello settoriale si prevede, accanto alla prosecuzione di tendenze positive nei servizi e nelle costruzioni, una ripresa della dinamica occupazionale nel settore dell’industria in senso stretto.

A fronte di questi andamenti, il tasso di disoccupazione continuerebbe a scendere, collocandosi all’8,6 per cento.

Nonostante l’incremento dei margini connesso al favorevole momento ciclico, il rallentamento del costo del lavoro per unità di prodotto, legato sia al rallentamento della dinamica del costo del lavoro sia al recupero di produttività, favorirebbe, in presenza di un cambio dell’euro stimato prudenzialmente stabile, una decelerazione dell’inflazione intorno all’1,7 per cento.

(…)

Nel triennio 2004-2006, la crescita del prodotto dovrebbe ritornare gradualmente su valori del 2,3 per cento, a riflesso del venir meno gradualmente della spinta propulsiva del commercio internazionale.

La crescita, anche durante questo arco previsivo, sarebbe trainata dalla domanda interna. I consumi delle famiglie e gli investimenti registrerebbero tassi di sviluppo di poco al di sotto dei valori previsti per il 2003, rispettivamente 2,4 e 2,7 per cento nella media del triennio. L’aumento della spesa della PA si ridurrebbe in media di un decimo di punto (0,7 per cento) e quello delle esportazioni e delle importazioni si attesterebbe poco al di sopra del 7 per cento.

Il conto corrente della bilancia dei pagamenti rafforzerebbe la tendenza positiva già delineata per il 2003; l’attivo si collocherebbe tendenzialmente all’1 per cento del PIL alla fine del periodo di previsione.

Dal lato della produzione, il valore aggiunto è nel complesso atteso crescere mediamente a ritmi del 2,4 per cento; analogamente al 2003, il settore dell’industria in senso stretto e quello dei servizi privati, in particolare, sosterrebbero tale andamento. La crescita dell’occupazione si attesterebbe intorno all’1,2 per cento. Il tasso di disoccupazione scenderebbe nel 2006 all’8 per cento.

In assenza di input esterni sfavorevoli, nell’ipotesi prudenziale che l’euro si mantenga sui valori stimati senza, quindi, ulteriori apprezzamenti, la decelerazione (…) del costo del lavoro per unità di prodotto e l’andamento moderato dei margini manterrebbero l’inflazione all’1,5 per cento nella media del triennio.

A livello territoriale, le previsioni tendenziali a legislazione vigente per il periodo 2003-2006 scontano da un punto di vista quantitativo non solo un volume globale di spesa in conto capitale per il Mezzogiorno limitato agli stanziamenti già previsti, ma anche l’assenza di quei provvedimenti che dovranno assicurare sia il mantenimento di un flusso continuo di risorse aggiuntive nazionali per investimenti pubblici alle "aree sottoutilizzate", sia l’obiettivo di destinare al Sud il 30 per cento delle risorse ordinarie, a garanzia della effettiva addizionalità dei fondi comunitari. Da un punto di vista qualitativo non sono poi presenti quei provvedimenti che, sulla base dei risultati sin qui conseguiti, dovranno assicurare opportune riprogrammazioni dei fondi, la piena efficacia degli investimenti, effettiva e accelerata modernizzazione della pubblica amministrazione, semplificazioni e miglioramenti nel sistema di incentivi.

In considerazione dell’apporto più contenuto delle politiche pubbliche, si stima un aumento moderato del prodotto, imputabile alla mancata domanda di beni e servizi direttamente originata dagli investimenti pubblici, ma soprattutto alla minore crescita degli investimenti privati indotta dal miglioramento del contesto.

Nel 2003, in presenza di una ripresa economica trainata dal ciclo internazionale, e fermi restando gli effetti pieni della politica condotta nel 2002, la previsione del PIL tendenziale per il Mezzogiorno resterebbe relativamente sostenuta (2,6 per cento) ma lievemente al di sotto della media italiana. Negli anni 2004-06, gli investimenti, finanziati solo con le risorse incluse nella legislazione vigente, continuerebbero a produrre effetti economici, ma a un ritmo decrescente. Il PIL del Mezzogiorno manifesterebbe un rallentamento della sua crescita con un tasso pari al 2,3 per cento in ciascun anno del triennio.

Nel complesso del periodo, la progressione degli investimenti nel Mezzogiorno sarebbe limitata al 3,8 per cento medio annuo, con un contributo alla crescita del PIL pari allo 0,9 per cento.

II. 5. Il quadro tendenziale di finanza pubblica 2003-2006.

Il quadro tendenziale di finanza pubblica per gli anni 2003-2006, è stato costruito sulla base della legislazione vigente scontando, da un lato la rettifiche effettuate dall’ISTAT e dell’EUROSTAT che hanno inciso sui risultati degli anni 2000 e 2001; dall’altro lato gli obiettivi fissati per l’anno 2002.

Le singole categorie di spesa e di entrata sono state stimate sulla base delle seguenti ipotesi:

• le retribuzioni pubbliche sono state valutate incorporando unicamente gli effetti correlati alla concessione dell’indennità di vacanza contrattuale, secondo l’attuale cadenza biennale prevista;

• il numero dei dipendenti del complesso delle Amministrazioni pubbliche è ipotizzato sostanzialmente invariato per l’intero periodo previsionale;

• la spesa per consumi intermedi, comprensiva di quella per la sanità, è stata stimata ad un tasso di crescita pari a quello del PIL nominale;

• la spesa sanitaria è stata valutata tenendo conto congiuntamente dei maggiori oneri emersi a consuntivo del 2001 e nel corso del 2002 e degli effetti finanziari correlati alle politiche di contenimento adottate dal Governo e all’attivazione dell’autonomia impositiva da parte delle Regioni nel rispetto dell’accordo dell’8 agosto del 2001;

• la spesa per pensioni è prevista crescere con un tasso di variazione medio pari al 3,6 per cento, correlato al numero di pensioni di nuova liquidazione, ai tassi di cessazione stimati e alla ricostituzione delle pensioni in essere, per un complessivo contributo al tasso di variazione pari mediamente a circa 1,9 punti percentuali nel periodo in esame, e alle regole di rivalutazione delle pensioni in essere ai prezzi, per un’effettiva incidenza media nel periodo pari a 1,7 punti percentuali. Per quanto concerne l’anno 2003, il tasso di incremento, pari al 4,0 per cento, risente della rivalutazione ai prezzi derivante dall’inflazione prevista per l’anno 2002, pari al 2,2 per cento;

• per le aziende Poste Italiane e F.S., si è proiettato un consolidamento della loro situazione economica, con un utile destinato interamente all’autofinanziamento;

• la spesa per interessi è stata valutata tenendo conto del maggior fabbisogno finanziario dell’anno in corso ed utilizzando i tassi forward rilevati dalla struttura per scadenze dei tassi di mercato;

• la spesa in conto capitale, esclusi i proventi derivanti dalle dismissioni del patrimonio immobiliare contabilizzati come disinvestimenti, è stata stimata in relazione alle nuove autorizzazioni determinate dalle precedenti finanziarie, al loro stato di attuazione e all’entità dei residui;

• per le entrate tributarie, in assenza di interventi di riforma, il gettito manterrà sostanzialmente immutata la propria incidenza sul PIL;

• per i contributi sociali è stata valutata una crescita con una elasticità media nel periodo dello 0,9 rispetto al PIL, sostanzialmente in linea con i valori storici.

Il profilo delle stime sugli andamenti delle entrate e delle spese delle Amministrazioni pubbliche nel quadriennio 2003-2006 (riportate nella tavola seguente) evidenzia il permanere di un rapporto deficit/PIL ancora elevato.

L’indebitamento netto tendenziale in rapporto al PIL passa dall’1,6 per cento del 2003 all’0,9 per cento del 2006.

Pertanto, nell’andamento tendenziale, l’indebitamento non raggiunge nemmeno alla fine del periodo il livello concordato in sede europea.

In questo contesto, la dinamica del rapporto debito/PIL risulta estremamente insoddisfacente e fuori linea rispetto agli impegni europei.

(…)

GLI OBIETTIVI PROGRAMMATICI PER IL 2003 E IL MEDIO PERIODO

Il quadro programmatico dell’economia italiana include gli effetti dell’azione di politica economica del Governo.La riforma del fisco si propone di dotare l’Italia di un sistema europeo di tassazione. La riduzione del cuneo fiscale che grava sulle scelte di investimento e occupazione accresce il potenziale produttivo e stimola una più rapida accumulazione di capitale fisico, umano e tecnologico, creando così le condizioni per una crescita sostenuta ed equilibrata. Si tratta di una riforma che richiede un intervento strutturale, sul fronte della spesa pubblica, volto a creare spazi permanenti per una riduzione della pressione fiscale in condizioni di equilibrio finanziario.La riforma del mercato del lavoro si propone di accrescere l’efficienza e la fluidità del mercato del lavoro italiano, introducendo nuove tipologie contrattuali, creando gli strumenti per una diffusione capillare dell’informazione sulle opportunità di lavoro, rafforzando i sistemi di formazione della forza lavoro e dotando il nostro paese di un sistema più adeguato di ammortizzatori sociali. Si favorisce in questo modo l’assorbimento della disoccupazione e l’incremento dei tassi di occupazione, contribuendo a colmare il grave divario che ancora ci separa dall’Europa e dagli obiettivi di Lisbona.La riforma della previdenza è coerente con gli obiettivi europei stabiliti a Barcellona ("incentivi alla permanenza degli anziani nel mercato del lavoro" e "secondo pilastro"). Questa riforma affronta molti dei nodi che i precedenti interventi non avevano sciolto. Con il passaggio del TFR futuro ai fondi pensione e a strutture analoghe, si pongono le basi per lo sviluppo della previdenza integrativa, volto a garantire le pensioni del futuro, anche in presenza di uno shock demografico senza precedenti storici. Con gli incentivi all’allungamento della vita lavorativa, si accelera il processo di transizione della riforma Dini e si affronta una delle debolezze strutturali dell’economia italiana: il basso tasso di occupazione nella fascia di popolazione compresa fra i 55 e i 64 anni, che nel nostro paese supera di poco il 28 per cento a fronte del 38,5 per cento in Europa e del 57,7 per cento negli Stati Uniti.

L’aumento della vita media lavorativa è la risposta naturale, in un quadro di sostenibilità finanziaria, all’incremento della speranza di vita e ai fenomeni di invecchiamento della popolazione.

A queste riforme si aggiungono gli impegni a liberalizzare il mercato dei beni in un quadro europeo, a rilanciare i processi di privatizzazione, a valorizzare l’immenso 33 patrimonio pubblico e a dotare il paese di un sistema infrastrutturale adeguato alle esigenze del sistema economico. Le nuove società Patrimonio e Infrastrutture SPA forniranno un contributo di rilievo in questi campi, in una logica di mercato e di tutela dei beni pubblici.III.1 Il quadro macroeconomico programmatico 2003-2006

Il quadro tendenziale di medio termine dell’economia italiana, descritto nel secondo capitolo, mostra che la crescita si colloca al 2,3 per cento, con l’esclusione del 2003, che riflette il forte rimbalzo derivante dalla ripresa congiunturale della fine dello scorso anno. Nonostante si tratti di un valore superiore a quello medio degli anni novanta, con un simile tasso di crescita la dinamica occupazionale e quella della produttività permarrebbero ancora insoddisfacenti.

Consapevole dei vincoli strutturali che gravano sull’economia italiana e ne condizionano le potenzialità di crescita, il Governo ha già avviato un processo di riforme volto ad incidere in maniera radicale sui meccanismi di sviluppo del sistema economico, così da innalzare in via permanente il sentiero di crescita potenziale dell’economia, su valori prossimi al 3 per cento (v. Riquadro "Crescita e Riforme Strutturali").

In presenza di un differenziale tuttora pronunciato fra output effettivo e output potenziale, la crescita effettiva dell’economia si collocherà su valori elevati e superiori a quelli potenziali. Il divario fra crescita effettiva e crescita potenziale si ridurrà progressivamente nel periodo, passando dallo 0,5 nel 2003 allo 0,2 nel 2006.

E’ previsto che l’output gap si annulli alla fine del periodo programmatico.

L’azione di Governo mira, da un lato, ad incrementare il tasso di attività, superando le numerose strozzature che tutt’ora permangono nel mercato del lavoro, e dall’altro, ad innalzare il livello di produttività, migliorando il grado di concorrenza sul mercato dei beni e dei servizi. Ne risulterà rafforzato il processo di accumulazione, migliorato il funzionamento dei mercati e della pubblica amministrazione; verranno favoriti l’efficienza del sistema paese, il riequilibrio territoriale e la coesione sociale. Queste politiche vengono descritte in maggiore dettaglio nel capitolo successivo.

La manovra di finanza pubblica sarà mirata a centrare questi obiettivi, nel pieno rispetto degli impegni europei. Il contenimento della spesa corrente primaria permetterà di liberare risorse produttive; la riduzione della pressione fiscale favorirà il rilancio dell’economia attraverso maggiori consumi, maggiori investimenti e maggiore occupazione, innescando un circolo virtuoso che coniugherà gli obiettivi di rigore con quelli di sviluppo.

I consumi delle famiglie beneficeranno della riduzione della pressione fiscale e del miglioramento del mercato del lavoro. La crescita della spesa è stimata intorno al 3 per cento nella media del periodo, circa mezzo punto percentuale in più rispetto agli andamenti tendenziali.

Gli investimenti, a riflesso delle migliorate prospettive di sviluppo e di redditività delle imprese, aumenteranno, nel 2003, del 4 per cento, per poi portarsi progressivamente su tassi di poco superiori al 5 per cento. Le politiche delle grandi opere infrastrutturali , l’accelerazione e la riqualificazione degli investimenti pubblici nel Mezzogiorno sosterranno tale dinamica.

La forte dinamica delle importazioni, attivata dalla espansione della domanda interna, rifletterà anche la crescita delle esportazioni sostanzialmente allineata su

(…)

valori di poco inferiori a quelli del commercio mondiale. Ne risulterà un contributo estero netto leggermente positivo nel 2003 e nullo nel triennio successivo.

Il conto corrente della bilancia dei pagamenti migliorerà, quindi, in misura inferiore a quanto previsto nel quadro tendenziale. L’attivo è stimato pari allo 0,6 per cento del PIL alla fine del periodo di previsione.

(…)

Dal lato della produzione, il recupero di produttività, connesso all’attuazione delle riforme varate dal Governo, darà alla crescita del valore aggiunto un forte impulso, in particolare nel settore delle costruzioni e in quello dell’industria in senso stretto.

Tuttavia, sarà il settore dei servizi privati a dare il maggiore apporto allo sviluppo, crescendo nella media del periodo intorno al 3,8 per cento.

Nonostante le politiche orientate al contenimento dell’occupazione nel pubblico impiego, l’aumento delle unità di lavoro complessive sarà dell’ordine dell’1,6 per cento medio annuo nel periodo, circa tre decimi superiore alla crescita che si avrebbe in assenza di interventi.

Pur in presenza della sostenuta espansione delle forze di lavoro, il tasso di disoccupazione si ridurrà, nel 2006, al 6,8 per cento e il tasso di occupazione salirà, viceversa, al 60 per cento, raggiungendo l’obiettivo posto in sede europea.

(…)

In questo contesto, i salari sono previsti crescere nel rispetto delle regole della politica dei redditi. In linea con le previsioni di moderazione dei prezzi internazionali e scontando gli effetti della progressiva liberalizzazione dei mercati. Si prospetta quindi una discesa progressiva dell’inflazione verso i livelli prevalenti nei paesi più virtuosi dell’area dell’euro. Il Governo ritiene di porre come obiettivi di inflazione programmata tassi annui calanti dall’1,4 per cento nel 2003 all’1,3 nel 2004 e stabili nel biennio successivo all’1,2 per cento.

CRESCITA E RIFORME STRUTTURALI

Nel 2000, il Consiglio Europeo di Lisbona ha posto quale obiettivo strategico delle politiche economiche dell’Unione Europea la trasformazione dell’Europa nell’economia più competitiva e più dinamica del mondo. Alla luce di questo obiettivo, il DPEF per gli anni 2002-2006 tracciava un ambizioso programma di riforme (per il mercato dei prodotti, del lavoro e per le infrastrutture) finalizzato ad accrescere il potenziale di crescita dell’economia italiana e il suo contenuto occupazionale.

Di recente, gli economisti delle principali organizzazioni internazionali – in (…) particolare OCSE e FMI – hanno fornito supporto empirico alla tesi secondo cui – ceteris paribus – il grado di rigidità e di regolamentazione dei vari mercati è correlato negativamente alla crescita economica di un paese. Inoltre, si è anche riscontrato che un certo lasso di tempo è necessario affinché le riforme siano percepite come permanenti e abbiano un impatto sulla performance economica.

Le riforme possono incidere o sull’accumulazione dei fattori produttivi o sulla produttività dei fattori stessi. La variabile generalmente utilizzata per misurare la performance economica è la produttività totale dei fattori produttivi. Più precisamente, il tasso di crescita di tale produttività (d’ora in poi TFP, acronimo inglese di Total Factor Productivity) misura il divario tra la crescita del prodotto e la crescita degli input utilizzati nella produzione. La cosiddetta "contabilità della crescita" mostra che la crescita della TFP è uno dei fattori che spiega il tasso di sviluppo economico.

Utilizzando fonti ufficiali e metodologie standard, si è calcolata la serie del tasso di crescita della TFP, depurata della componente ciclica, per il settore privato dell’economia italiana nel periodo 1971-2000 (cfr. Figura 1). Le nostre elaborazioni, in sostanziale conformità con quelle presentate da altre istituzioni, evidenziano una riduzione di circa un punto percentuale nella crescita della TFP sull’arco dei trent’anni. Si tratta in effetti di un dimezzamento, anche se è da sottolineare il fatto che negli ultimi anni il tasso si stabilizza prima e mostra poi una tendenza alla ripresa.Figura 1. La produttività in Italia: tassi di crescita (dati di trend – Periodo 1971-2000) Fonte: Ministero dell’Economia e delle Finanze La relazione tra riforme strutturali e crescita della TFP è multiforme. Per misurare, sia pur in modo indiretto, l’entità dei processi di riforma, si è fatto qui ricorso alla dinamica temporale di alcuni indicatori strutturali, ciascuno dei quali è in grado di approssimare l’evoluzione in atto nelle istituzioni e nella struttura di particolari mercati. Questi indicatori sono stati poi utilizzati per valutare il loro impatto sulla performance economica misurata in termini di TFP.

Ci affidiamo anzi tutto ad una misura del grado di rigidità del mercato del lavoro.

L’indicatore prescelto è il cosiddetto NAIRU (Non Accelerating Inflation Rate of Unemployment),il tasso di disoccupazione compatibile con un’inflazione non crescente. Un mercato del lavoro rigido genera disincentivi all’ingresso di nuove imprese nel mercato e all’innovazione tecnologica e scoraggia la mobilità dei fattori verso i settori più dinamici. Gli interventi di riforma per accrescere la flessibilità del mercato del lavoro si tradurrebbero in una riduzione del NAIRU, generando effetti positivi sulla produttività del settore privato dell’economia.Si è, inoltre, voluto esaminare se le politiche economiche volte ad accrescere la dotazione di infrastrutture produttive a livello nazionale possano accrescere la produttività delle imprese. E’ noto che le politiche di aggiustamento fiscale dello scorso decennio troppo spesso si sono tradotte in riduzione della spesa per investimenti piuttosto che di quella corrente. Eppure, la dotazione infrastrutturale dovrebbe fornire importanti indicazioni, ancorché parziali, sul business environment nel quale imprese ed individui si trovano ad operare. A tale scopo viene dunque utilizzato il tasso di variazione dello stock di capitale pubblico espresso a prezzi costanti, ponendolo in relazione con la crescita della TFP.

Infine, si è utilizzata una misura del mark-up, ossia del margine tra prezzo e costi unitari, per catturare le condizioni concorrenziali del mercato dei beni e, indirettamente, il grado di regolamentazione che ostacola i meccanismi di mercato e la concorrenza. L’ipotesi da verificare è che si osservi una relazione negativa tra l’andamento tendenziale del mark-up e quello della TFP.

L’evidenza empirica è riassunta nelle figure 2-4. L’ispezione grafica del diagramma e la linea di interpolazione suggeriscono l’esistenza di una relazione negativa tra la crescita della TFP e il NAIRU (cfr. Figura 2). Poiché valori elevati del NAIRU dovrebbero associarsi alla presenza di vischiosità e inefficienza nel funzionamento del mercato del lavoro, interventi di riforma miranti a ridurre il NAIRU dovrebbero in questa ottica indurre incrementi di produttività.

Analogamente, un incremento delle risorse destinate alle infrastrutture dovrebbe accompagnarsi – ceteris paribus – ad incrementi della TFP (cfr. Figura 3).

Probabilmente, l’entità dell’effetto stimato, misurato dall’inclinazione della retta di regressione, potrebbe risultare ancor maggiore ove si considerasse, in luogo dell’intero stock di capitale pubblico, le sole infrastrutture di trasporto e le reti tecnologiche.

Infine, si riscontra una relazione negativa tra crescita della TFP e crescita del mark-up. Pertanto, le politiche di liberalizzazione del mercato dei beni, rimuovendo gli ostacoli alla concorrenza e ai meccanismi di mercato e traducendosi in mark-up più contenuti delle imprese, darebbero impulso alla crescita della produttività (…)

Le semplici tecniche di raffronto impiegate hanno evidenziato l’esistenza di una relazione positiva tra l’adozione di interventi riformatori nei vari mercati e l’andamento della produttività. Le risultanze grafiche presentate fanno riferimento a correlazioni tra indicatori e produttività che sono parziali e contemporanee.

Tuttavia, l’evidenza presentata risulta corroborata anche da una semplice analisi statistica. Quest’ultima ha consentito, tra l’altro, di identificare l’esistenza di ritardi temporali tra il momento di attuazione delle riforme e il loro impatto sulla produttività.

In sintesi, uno sforzo di riforma che comporti modifiche strutturali nel funzionamento del mercato del lavoro, nelle dotazioni di infrastrutture e nel livello di concorrenzialità del mercato dei beni è in grado di indurre un aumento permanente e sostenuto della produttività totale e di riflesso della crescita potenziale dell’economia.(…)

A livello territoriale, il proseguimento e l’intensificazione dell’azione del Governo a favore del Mezzogiorno permetteranno di conseguire l’obiettivo di una crescita in questa area, stabilmente al di sopra di quella media europea. Già dal 2003 gli effetti congiunti di miglioramenti del contesto e della modernizzazione amministrativa, assieme all’impatto diretto dei crescenti investimenti pubblici, potranno consentire di raggiungere una crescita attorno al 3 per cento. Negli anni successivi ci si muoverà verso un obiettivo superiore al 4 per cento (cfr. fig.3.2). Nel complesso del periodo 2003-06 il contributo alla crescita del PIL proveniente dalla componente investimenti sarà superiore al 2 per cento medio annuo.

INVESTIMENTI E CRESCITA

Nel Programma comunitario per il Mezzogiorno vengono identificati due effetti attribuibili all’accelerazione degli investimenti pubblici: quelli diretti, "di cantiere", che riguardano l’aumento di prodotto imputabile alla maggiore domanda di beni e servizi, e che sono quindi destinati a esaurirsi in concomitanza con la chiusura dei lavori; gli effetti indiretti, dovuti all’impatto degli investimenti pubblici sulla produttività dei fattori e sulle aspettative degli operatori che, attraverso la generazione di esternalità positive, promuovono il processo di accumulazione e la competitività delle imprese private.

Gli effetti diretti possono essere valutati sulla base della Tavola input-output italiana (l’ultima disponibile è del 1992). Considerando la dipendenza del Mezzogiorno dal resto del paese per l’approvvigionamento di input produttivi e beni capitali - quest’ultima pure in calo, secondo studi recenti, - tale metodo può portare a sovrastimare l’attivazione di produzione e valore aggiunto interna al Mezzogiorno.

Si possono quindi utilizzare tavole regionalizzate che, pur basandosi solo in parte su rilevazione dirette dei flussi, stimano l’entità delle relazioni interregionali.

La simulazione effettuata sulla base della matrice italiana indica che l’incremento di 1 euro di investimenti pubblici produce un incremento del valore aggiunto pari a 88 centesimi di euro. Se consideriamo la matrice regionalizzata, che tiene conto del fatto che parte di questi effetti si disperdono verso il Centro-Nord, il moltiplicatore è più ridotto, e quindi pari a 0,661. In termini assoluti, ove si faccia riferimento alla dimensione effettiva dei fenomeni, un incremento della spesa in conto capitale nel Mezzogiorno simile a quella che avrebbe avuto luogo nel 2001 (attorno al 16 per cento) produrrebbe, utilizzando la matrice italiana, un incremento del prodotto pari a oltre lo 0,5 per cento del Pil del Sud; se utilizzassimo la matrice regionale, l’incremento sarebbe inferiore a quel valore.

Ma gli effetti di attivazione diretti degli investimenti pubblici sulle branche produttive rappresentano solo il più immediato canale di azione della spesa pubblica, e non il più duraturo. Gli effetti di lungo periodo derivano principalmente dall’attivazione di processi di modifica del contesto e delle aspettative degli operatori. In particolare, qualità e concentrazione degli investimenti possono innescare un processo di crescita che agisce tramite l’impatto sulla produttività dei fattori, e quindi sul processo di accumulazione.41 La stima degli effetti indiretti di un aumento degli investimenti pubblici utilizza lo schema di coerenza econometrico messo a punto dal Dipartimento per le Politiche di Sviluppo per descrivere e valutare quantitativamente i meccanismi di sviluppo endogeno che l’azione programmatica intende attivare. Con riguardo al Programma Comunitario, esteso fino al 2008, la simulazione effettuata suggerisce che le risorse aggiuntive destinate al Mezzogiorno possano produrre un incremento cumulato del Pil, nel periodo considerato, attorno ai 15 punti percentuali rispetto a uno scenario di base senza tali investimenti.(…)

Il raggiungimento di questi risultati è subordinato all’attuazione degli obiettivi quantitativi e qualitativi del progetto Mezzogiorno (…) che saranno oggetto della Legge Finanziaria e di altri interventi.

Dal punto di vista della quantità di risorse finanziarie pubbliche, tre sono le condizioni:

• date le quote di stanziamenti della tabella F della vigente Legge Finanziaria, alimentazione delle risorse nazionali aggiuntive per investimenti pubblici e incentivi espressamente destinate alle aree sottoutilizzate (per l’85 per cento Mezzogiorno) per un importo almeno pari, in rapporto al PIL, a quello medio degli ultimi anni e flusso di nuove risorse di cofinanziamento nazionale coerente con il profilo programmatico di spesa dei fondi comunitari;

• pieno utilizzo di tutte le risorse aggiuntive;

• destinazione al Mezzogiorno, in termini sia di competenza che di cassa, del 30 per cento di tutte le risorse ordinarie in conto capitale, con riguardo sia ai settori della pubblica amministrazione sia agli enti esterni appartenenti alla componente allargata del settore pubblico.

Tali requisiti finanziari sono riassunti in un quadro programmatico finanziario che, secondo l’impegno di addizionalità (riferito alla spesa connessa allo sviluppo del settore pubblico allargato) assunto con l’Unione europea per poterne ricevere i fondi, garantisce al Mezzogiorno il 45 per cento della spesa pubblica totale (ordinaria e aggiuntiva) in conto capitale (…), (…)

Il quadro verrà dettagliato e precisato, sia per la pubblica amministrazione che per il settore pubblico allargato, nel V Rapporto sulle politiche di sviluppo predisposto per il Parlamento.

(…)

Ai requisiti finanziari si aggiunge, sul piano qualitativo, l’assunzione di provvedimenti in merito alla riprogrammazione degli interventi e del sistema di incentivi, alla piena efficacia dei programmi, all’accelerazione della modernizzazione amministrativa, all’efficienza ed efficacia degli incentivi, secondo gli indirizzi specificati nel cap. IV.

III. 2. Il quadro di finanza pubblica 2003-2006.

Il quadro programmatico di finanza pubblica, per gli anni 2003-2006, è stato costruito partendo da un anno base che ha evidenziato nel suo profilo evolutivo un andamento diverso da quello previsto nella passata legislatura, ma ricondotto, attraverso l’adozione di una rigorosa gestione di bilancio, entro livelli compatibili con il percorso del risanamento della finanza pubblica.

Gli obiettivi finanziari per il quadriennio vengono ricollocati tenendo conto dell’impatto delle riforme e delle misure che il Governo intende intraprendere per riportare l’evoluzione dell’indebitamento, in termini strutturali, in linea con gli impegni assunti in sede europea.

Per l’anno 2003, l’obiettivo dell’indebitamento è fissato allo 0,8 per cento del PIL, con un recupero rispetto all’evoluzione tendenziale di otto decimi di punto.

L’indebitamento strutturale, ovvero corretto per gli effetti ciclici, si colloca a sua volta allo 0,4 per cento, nell’ipotesi che per il 2003 la crescita potenziale sia pari al 2,4 per cento. Questo valore è "vicino al pareggio di bilancio". Prosegue quindi il processo del risanamento finanziario.

Una componente essenziale del programma di riforme volto ad incrementare in via permanente la crescita dell’economia è la riforma fiscale, che comporta una graduale riduzione del carico tributario, nel duplice intento di conseguire maggiore equità con maggiori sgravi per i redditi medio bassi e maggiore efficienza con il ridisegno delle basi imponibili e la riduzione delle aliquote.

La riforma, secondo il disegno modulare previsto nella legge delega, sarà avviata fin dal 2003, contestualmente ad un complesso di interventi volti a contenere la spesa corrente. Per quanto riguarda l’IRPEF, per il prossimo anno, si prevede l’avvio di un primo modulo di riforma, finalizzato ad una riduzione fiscale, a favore dei redditi medio bassi, per un importo pari a 5,5 miliardi di euro.

Per quanto riguarda l’imposta sulle società, la scelta è nel senso di un avvio della riforma, con una riduzione dell’aliquota dell’attuale IRPEG di due punti percentuali.

Per quanto riguarda l’IRAP, si prevede un graduale avvio del processo di riforma iniziando dalla riduzione nella base imponibile della componente delle retribuzioni pari a 500 milioni di euro. Alle imprese minori si applicherà un regime di radicale semplificazione fiscale e contabile completato dall’avvio del previsto sistema di concordati triennali.

Negli anni successivi si prevede una graduale estensione del beneficio fiscale alle fasce di reddito via via più elevate, impiegando le risorse che si renderanno di anno in anno disponibili attraverso una rigorosa gestione della politica di bilancio.

Per ricondurre i conti pubblici entro gli obiettivi fissati, il Governo intende approntare interventi correttivi rispetto agli andamenti tendenziali e allo stesso tempo liberare risorse finanziarie per incrementare gli investimenti.

Il Governo, salvaguardando il rispetto dei fondamentali principi universalistici e solidaristici del Servizio Sanitario Nazionale, intende poi rafforzare il sistema delle prestazioni sanitarie socio-assistenziali, arricchendolo con l’introduzione, in via sperimentale, di strumenti assimilabili alle mutue che, nella storia del nostro paese, hanno prodotto effetti straordinari di efficienza e sicurezza, a beneficio dei cittadini.

Allo stesso tempo, per un più efficace controllo della spesa farmaceutica è prevista anche la adozione di un nuovo "prontuario".

Nel settore del pubblico impiego, il Governo si propone di rafforzare, nell’ambito delle politiche di programmazione delle assunzioni, i modelli flessibili di accesso alla pubblica amministrazione, quali part-time, telelavoro e lavoro interinale. Inoltre, nel quadro della riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni e della più ampia applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale, verranno risolti i problemi conseguenti alle eccedenze e all’applicazione degli istituti di mobilità. Secondo quanto previsto dalla legge di riforma, sarà incentivata la mobilità della dirigenza pubblica da e verso il settore privato, tra pubbliche amministrazioni e all’interno delle amministrazioni di appartenenza.

Nel comparto della spesa per beni e servizi le misure di razionalizzazione mirano a conseguire un ulteriore risparmio attraverso il rafforzamento del ruolo della Consip come centrale di acquisto e la definizione di uno standard di consumo per categoria merceologica e tipologia dell’ente, attraverso l’estensione del monitoraggio dalla variabile "prezzo" alla variabile "quantità".

La riforma dell’attività di Governo si basa sulla qualificazione dei singoli ministeri come centri di bilancio, con conseguenti effetti di autonomia, responsabilità e flessibilità. Parallelamente, viene centralizzato e potenziato il meccanismo di acquisti di beni e servizi tramite Consip. Il disegno di gare d’aste su scala nazionale produce effetti sostanziali e progressivi di risparmio, efficienza e trasparenza.

L’insieme di questi interventi consente una pianificazione dei trasferimenti ai Ministeri capace di combinare economie di bilancio con incrementi di efficienza nell’esercizio delle funzioni.

Per gli anni successivi l’obiettivo dell’indebitamento viene fissato ad un livello in progressiva riduzione fino a raggiungere il pareggio. Anche il disavanzo corretto per gli effetti del ciclo evidenzia una tendenza discendente, seppur relativamente più contenuta. Alla fine del periodo di programmazione il disavanzo nominale e quello strutturale convergono, a riflesso dell’azzeramento sostanziale dell’output gap.

Il rapporto fra debito e PIL evidenzia una forte diminuzione, in contrasto con il quadro tendenziale caratterizzato da una sostanziale stabilità di tale indicatore. Già a partire dal 2004 tale rapporto si colloca al di sotto del 100 per cento, per proseguire la sua discesa negli anni successivi e attestarsi al 94,4 per cento nel 2006.

(…)

IV - LE LINEE DI POLITICA ECONOMICA: I NUOVI INTERVENTI

IV.1 Le riforme economiche

IV.1.1 La riforma fiscale Il disegno di legge "Delega al Governo per la riforma del sistema fiscale statale" si propone di innovare la struttura della fiscalità nazionale, nei cinque anni della legislatura, attraverso la definizione di cinque imposte fondamentali: imposta sul reddito, imposta sul reddito delle società, imposta sul valore aggiunto, imposta sui servizi e l’accisa.

La riforma coniuga il rigore nella gestione della finanza pubblica con l'esigenza di promuovere lo sviluppo e la crescita economica, nel convincimento che l'espansione del sistema produttivo diviene sostenibile solo con l'equilibrio dei conti pubblici.

L'attuazione della riforma avverrà, conseguentemente, in forma modulare, impiegando le risorse che si renderanno di anno in anno disponibili. E' prevista, a questo fine, l'emanazione di più decreti legislativi (nel termine di due anni dall'entrata in vigore della legge delega), che definiscono le regole di funzionamento del nuovo sistema tributario, rinviando la determinazione della misura della riduzione del prelievo fiscale - legata principalmente alla modifica dell'imposizione personale, alla riduzione delle aliquote IRPEG e alla progressiva abolizione dell'IRAP - ai Documenti di Programmazione Economico-Finanziaria e alle singole leggi finanziarie. Questo approccio consente di valutare meglio le ricadute e gli impatti sull'economia degli interventi normativi.

La riforma fiscale ha, in specie, il carattere di elemento propulsivo dello sviluppo, stimolando la crescita e contribuendo a invertire il ciclo attuale, in un contesto di progressivo miglioramento dei conti pubblici e di attuazione del programma di stabilità e crescita concordato in sede comunitaria.

La legge delega si propone di adeguare la fiscalità nazionale agli standard dei Paesi maggiormente sviluppati (soprattutto i Paesi membri UE), i cui sistemi fiscali stanno sperimentando trasformazioni che trovano un comune denominatore nella crescente riduzione dei carichi fiscali sui principali fattori produttivi e nell'eliminazione delle distorsioni indotte dall'applicazione delle norme fiscali. La costante di tali riforme può essere individuata nell'allargamento della base imponibile 48 e nella corrispondente riduzione delle aliquote, a cui tendono i moderni ordinamenti fiscali.

Gli obiettivi della riforma sono:

• efficienza economica, per cui i tributi devono interferire e incidere il meno possibile nelle scelte economiche dei contribuenti;

• equità, attraverso la realizzazione di una progressività effettiva e non solo nominale;

• trasparenza politica, per cui il sistema deve garantire la certezza dei diritti e dei doveri fiscali attraverso la stabilità, la consapevolezza e la condivisione delle norme, in un rapporto di parità tra cittadino e fisco;

• semplicità, mediante la riduzione dei "costi" di comprensione e adempimento dei tributi;

• flessibilità, per cui il sistema deve poter reagire ed adattarsi ai cambiamenti economici, al fine di stabilizzare il gettito.

L'imposta sul reddito (IRE) sostituisce l'IRPEF e comporta una generalizzata riduzione del carico tributario, a partire dalle classi di reddito medio-basse. Viene, inoltre, garantito che la nuova imposta non risulti, a parità di condizioni, peggiorativa rispetto alla situazione preesistente (clausola di salvaguardia).

Gli elementi principali della riforma della tassazione delle persone fisiche sono:

• la riduzione, dalle attuali cinque aliquote (del 18, 24, 32, 39 e 45 per cento) a due sole aliquote, del 23 per cento fino a 100 mila euro e del 33 per cento oltre 100 mila euro;

• la progressiva sostituzione delle detrazioni in deduzioni e la loro concentrazione sui redditi medio-bassi;

• l'introduzione di un livello minimo di reddito escluso dall'imposizione, in funzione della soglia di povertà (no tax area).

Il sistema descritto modifica la tecnica e aumenta la progressività, attraverso la modulazione delle deduzioni in relazione alla condizione reddituale del contribuente, la definizione della soglia di esenzione e il riconoscimento del tipo di spesa da dedurre.

La tassazione dei redditi di natura finanziaria viene armonizzata rispetto al panorama internazionale e resa più competitiva e, dunque, capace di attrarre maggiori investimenti dall'estero, mediante i seguenti interventi:

• semplificazione dell'imposizione del risparmio "gestito" con l'introduzione dei principi di cassa e di compensazione, in sostituzione di quello della maturazione, estraneo ai regimi fiscali degli altri Paesi;

• convergenza e riduzione del prelievo con l'adozione di un'aliquota unica, che viene applicata tramite il meccanismo dell'imposizione sostitutiva alla fonte;

• omogeneizzazione dell'imposizione con la inclusione in un'unica categoria dei redditi di capitale e degli altri proventi finanziari, oggi classificati fra i redditi diversi;

• regime differenziato di favore fiscale per il risparmio affidato a fondi pensione e a casse di previdenza privatizzate.

L'imposta sul reddito delle società supera l'Irpeg adottando molte delle regole di determinazione della base imponibile proprie dei Paesi più avanzati, in una logica di competitività fiscale del sistema produttivo italiano, mediante:

• riduzione del prelievo tramite l'applicazione di un'unica aliquota al 33 per cento;

• esenzione dei dividendi e delle plusvalenze sulle partecipazioni (participation exemption) e corrispondente irrilevanza delle minusvalenze iscritte e realizzate;

• introduzione del consolidato fiscale di gruppo (opzionale), che può essere esteso anche alle società operanti all'estero;

• superamento delle differenze o particolarità, rispetto ai sistemi nazionali concorrenti, con l'abolizione della DIT e il progressivo superamento dell'IRAP, mediante l'iniziale riduzione nella base imponibile della componente delle retribuzioni e successivamente, di eventuali ulteriori costi.

L'imposta sul valore aggiunto è rivisitata, anche alla luce dell'evoluzione degli indirizzi comunitari, secondo i seguenti principi e criteri direttivi:

• riduzione delle forme di indetraibilità e delle distorsioni della base imponibile, in modo da avvicinare la struttura dell'IVA a quella di un'imposta sui consumi;

• coordinamento tra IVA e accisa, per evitare effetti di duplicazione economica e giuridica;

• previsione di norme che consentano, nel rispetto dei vincoli comunitari, di escludere dalla base imponibile dell'IVA la quota del corrispettivo destinato, dal consumatore finale, a scopi etici.

L'imposta sui servizi viene introdotta al fine di razionalizzare e concentrare le imposte c.d. minori in un'unica obbligazione fiscale e in un'unica modalità di prelievo.

La riforma dell'Accisa è diretta a ridurre la sua incidenza sui servizi e sui prodotti essenziali, a correggere le esternalità negative e gli impatti sull'ambiente, a eliminare gli squilibri fiscali esistenti tra le diverse zone del Paese.

Riquadro: RIDUZIONE DELLE IMPOSTE E CRESCITA ECONOMICA NEI PAESI OCSE

A partire dagli anni novanta, la tendenza secolare all'incremento delle imposte si è arrestata. Sono infatti sempre più numerosi i Paesi che hanno attuato programmi di riduzione del carico fiscale.

L’annuncio e la successiva attuazione di un piano di riduzione delle imposte sollevano questioni fondamentali. In quali circostanze una riduzione permanente delle imposte genera un aumento del tasso di crescita dell’economia? In che misura il finanziamento di tale riduzione – aumento del disavanzo o contrazione della spesa - influenza il tasso di crescita dell’economia? Che impatto hanno sul potenziale di crescita le eventuali politiche "di accompagnamento" messe in atto durante l’aggiustamento fiscale? Sulla base dei dati OCSE sono stati analizzati gli episodi di riduzioni delle imposte, a partire dagli anni settanta. Tra il 1975 e il 2000, si sono verificati ben 29 episodi di riduzione "significativa" delle imposte in 15 paesi OCSE (tavola 1). Una diminuzione delle entrate è considerata "significativa" se la riduzione - depurata dall’effetto del ciclo economico - ammonta in media annua a oltre lo 0,5 per cento del PIL e prosegue per almeno due anni consecutivi.

Per ogni episodio è stato calcolato la variazione del tasso di crescita potenziale medio tra la fine e l’inizio dell’episodio e il differenziale tra questa variazione e la variazione del tasso di crescita potenziale dei Paesi del G7. Si è tenuto conto anche di altri fattori, in particolare i cambiamenti nel grado di competitività del mercato 51 del lavoro e l’orientamento della politica monetaria, che possono influenzare il tasso di crescita delle singole economie.

L’episodio "medio" dura poco più di due anni e mezzo e conduce ad una riduzione complessiva delle imposte pari a circa 2,7 punti percentuali del PIL (circa un punto percentuale l’anno). Tale riduzione si è risolta per un terzo in una riduzione della spesa e per due terzi in un aumento del disavanzo pubblico. È plausibile ipotizzare che, negli episodi in cui il disavanzo pubblico aumenta in modo sostanziale, l’effetto di stimolo alla crescita sia minore rispetto ai casi in cui la riduzione delle imposte è condotta mantenendo inalterati i saldi di bilancio. Le modalità di finanziamento della riforma fiscale hanno inevitabilmente un impatto sulle aspettative, e quindi sui comportamenti, degli operatori economici che possono, attraverso questo canale, influire sull’efficacia della manovra.

Per poter valutare l’impatto della politica fiscale sulla crescita si è fatto ricorso ad una semplice analisi statistica in cui la variazione della crescita relativa rispetto ai G-7 prima e dopo l’episodio è stata messa in relazione con la variazione delle entrate correnti, del disavanzo di bilancio, del costo del lavoro e, infine, del tasso di interesse a 10 anni opportunamente deflazionato con l’indice dei prezzi al consumo.

Dai risultati si evince che, tenendo conto di questo insieme di determinanti della crescita, una riduzione delle entrate correnti (in rapporto al PIL) di un punto percentuale genererebbe, a parità di disavanzo, un aumento del tasso di crescita del prodotto potenziale di circa 0,24 punti percentuali. Tale aumento risulterebbe minore se l’intera riduzione delle imposte fosse associata ad un maggiore disavanzo pubblico: infatti, il coefficiente stimato per quest’ultimo risulta pari a –0,13.

Pertanto, in questo caso l’impatto finale sulla crescita si ridurrebbe a 0,11, ovvero (0,24 –0,13).

I valori dei coefficienti stimati rimangono inalterati anche escludendo dal campione le "code" (ovvero gli episodi con i più elevati incrementi e decrementi nei tassi di crescita) a riprova che i risultati non sono generati dalla presenza di poche osservazioni influenti. Tali risultati sono in larga misura in linea con quelli ottenuti da diversi organismi internazionali.

In sintesi, un’opera di riduzione del carico fiscale che lasciasse inalterato il disavanzo avrebbe un impatto positivo sulla crescita economica potenziale; tale impatto risulterebbe ancora positivo ma più che dimezzato qualora la riduzione delle entrate si traducesse in un aumento del disavanzo pubblico.(…)

IV.1.2 Il mercato del lavoro e l’inclusione sociale

Il mercato del lavoro italiano è caratterizzato da un tasso d’occupazione pari al 54,6 per cento nel 2001, il più basso dell’Unione Europea. In particolare, sono bassi i tassi d’occupazione femminile e dei lavoratori tra i 55 e i 64 anni, pari rispettivamente al 41,1 e al 28 per cento. Innalzare il tasso d’occupazione è, pertanto, possibile e allo stesso tempo di fondamentale importanza per garantire un contributo positivo dell’occupazione alla crescita economica che possa controbilanciare l’effetto dell’evoluzione demografica. In questa prospettiva, l’iniziativa del Governo, espressa nei disegni di legge delega in materia di mercato del lavoro, si articola lungo quattro direttrici principali per raggiungere e, nel caso del tasso d’occupazione complessivo, superare entro il 2005 gli obiettivi già esplicitati nel DPEF dello scorso anno e nel recente Piano d’Azione Nazionale per l’Occupazione: il tasso d’occupazione (…) complessivo dovrebbe raggiungere il 58,8 per cento, mentre quello femminile si attesterebbe al 46 per cento e quello dei lavoratori più anziani al 40 per cento. A tale proposito, un primo segnale incoraggiante è che il tasso di occupazione nel 2001 è risultato leggermente superiore all’obiettivo che il Governo si era dato nel DPEF dello scorso anno.

Le linee lungo le quali il Governo intende muoversi sono (1) l’introduzione di elementi di flessibilità nel mercato del lavoro con contestuale trasformazione del regime di tutele, (2) la ridefinizione del sistema di incentivi all’occupazione, le misure specificamente volte ad accrescere (3) la partecipazione femminile e (4) quella dei lavoratori più anziani al mercato del lavoro.

L’introduzione di elementi di flessibilità è stata già avviata nel 2001 con la riforma del contratto a tempo determinato che ha reso meno rigide e predeterminate le ipotesi di ricorso all’apposizione del termine e verrà ulteriormente sviluppata attraverso una nuova articolazione delle forme contrattuali con il duplice intento di ridurre la segmentazione del mercato del lavoro e migliorare l’andamento della produttività. Allo stesso tempo, un maggiore flessibilità richiede una riforma delle politiche del lavoro, tanto sul fronte degli ammortizzatori sociali, quanto su quello delle politiche attive.

La riforma del sistema degli ammortizzatori, necessariamente graduale e a carattere pluriennale, ha l’obiettivo di incoraggiare e assistere il lavoratore nel processo di reinserimento nel mercato del lavoro, realizzando un circolo virtuoso tra sostegno al reddito, orientamento e formazione professionale, impiego e autoimpiego che rafforzi così la tutela del lavoratore in situazione di disoccupazione involontaria, ne riduca il periodo di disoccupazione, ne incentivi un atteggiamento responsabile ed attivo verso il lavoro.

Gli obiettivi finali della riforma dovranno garantire:

a) una protezione generalizzata ed omogenea dei disoccupati involontari; b) protezioni integrative, aggiuntive o sostitutive, liberamente concordate fra le parti sociali ai più vari livelli, con prestazioni autofinanziate e gestite da organismi bilaterali di natura privatistica; c) contenimento del costo del lavoro.

Questo nuovo sistema dovrà, inoltre, assicurare:

• una maggiore equità, attraverso una migliore corrispondenza tra contribuzioni e prestazioni;

• un miglioramento complessivo del grado di tutela economica garantita al lavoratore disoccupato involontario, sia sotto il profilo della misura dell’indennità sia della durata della corresponsione;

• una stretta correlazione tra erogazione dei sussidi e diritti-doveri del disoccupato;

• una tutela di ultima istanza legata a particolari condizioni di disagio.

L’assetto finale verrà conseguito anche con un graduale processo di razionalizzazione e di riordino degli strumenti esistenti e compatibilmente con le risorse finanziarie che si renderanno disponibili.

In particolare, si avrà un innalzamento dei trattamenti per l’indennità ordinaria di disoccupazione e un allungamento della sua durata in maniera tale da non disincentivare l’offerta di lavoro. Inoltre, la riforma del mercato del lavoro integrerà il primo livello di tutela con un secondo livello di natura facoltativo e volontario a carico delle parti e un terzo livello di sostegno al reddito di ultima istanza gestito dagli Enti Locali sotto il coordinamento e il controllo dell’amministrazione centrale.

Per accrescere il legame con le politiche attive si prevederanno per i soggetti che percepiscono l’indennità ordinaria dei programmi formativi a frequenza obbligatoria, eventualmente gestiti anche dalle Parti Sociali, nonché controlli periodici da parte dei servizi per l’impiego. A tale riguardo, è stato già avviato un primo riordino dei servizi pubblici per l’impiego ed è stata approvata, in via preliminare, la nuova definizione dello "stato giuridico di disoccupazione" che, tra l’altro, prevede importanti modifiche in tema di accertamento e verifica dello stesso.

Altro punto qualificante dell’azione definita nei disegni di legge delega sul mercato del lavoro è il riordino del sistema di incentivi all’occupazione che, allo stato attuale, presenta una scarsa selettività nell’identificare i soggetti destinatari.

Attualmente, infatti, questi privilegiano le fasce giovanili, operando spesso a compensazione di rigidità normative nella definizione dei rapporti di lavoro che il Governo intende superare secondo le linee illustrate sopra. Maggiori sforzi appaiono, quindi, necessari nell’indirizzare gli incentivi a beneficio di chi abbia perso il lavoro e di chi sia in condizioni di precarietà, con un riordino speculare dei contratti a contenuto formativo. Le due fattispecie di questi andranno meglio differenziate e finalizzate, da un lato, a favorire il primo ingresso al mondo del 56 lavoro e, dall’altro, al reinserimento degli individui più deboli, che possono necessitare di un supporto finanziario e di una fase di riaddestramento specifico all’impresa con cui riprendono a collaborare. Coerente con il riordino degli incentivi sarà la riforma fiscale il cui assetto è volto anche a stimolare l’offerta di lavoro dei lavoratori a più bassi salari.

Inoltre, verranno attivate misure sperimentali e temporanee con lo scopo di promuovere nuova occupazione regolare e di incoraggiare la crescita dimensionale delle piccole imprese anche per verificare la rilevanza degli ostacoli di natura anche normativa che si frappongono alla piena valorizzazione delle potenzialità occupazionali dell’impresa minore. Tali misure sono volte a incentivare nuove assunzioni regolari a favore di soggetti che attualmente sono esclusi da ogni tutela.

Per quanto riguarda le misure per accrescere la partecipazione femminile al mercato del lavoro, queste saranno volte a favorire la conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare attraverso misure fiscali e contributive, la diffusione di servizi a costo contenuto e il pieno sviluppo del part-time. Con tali misure il Governo intende sia dare un’attuazione concreta al principio delle pari opportunità sia rafforzare le politiche di sostegno alla famiglia.

Infine, le politiche per innalzare il tasso d’occupazione degli individui tra i 55 e i 64 anni saranno affrontate all’interno della riforma previdenziale illustrata nel paragrafo successivo.Politica sociale

Il Governo riconosce e sostiene la famiglia come nucleo fondamentale della società e il principio di centralità della persona, dei suoi bisogni e delle sue aspettative.

Il Governo intende incentrare la propria azione nel miglioramento del livello della qualità della vita ed intende sviluppare gli interventi universalistici e solidaristici previsti dalla normativa costituente il Fondo nazionale per le politiche sociali.

Per concretizzare l’attribuzione di un ruolo centrale alla famiglia occorre procedere alla modernizzazione, al potenziamento, alla facilitazione dell’accessibilità e della fruibilità di tutti i principali servizi: assistenza domiciliare ai malati cronici, ai disabili, agli anziani e una procedere infine a una celere realizzazione del "piano nazionale degli asili nido" aziendali, interaziendali, di quartiere e pubblici.

Le finalità che il Governo intende promuovere compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica riguardano: la promozione di interventi diretti alla realizzazione di prestazioni sociali uniformi su tutto il territorio nazionale in materia di diritti dell’infanzia e dell’adolescenza; il sostegno ai progetti sperimentali attivati dalle Regioni ed Enti Locali; attuazione di nuove misure di contrasto della povertà; la promozione di azioni concertate promosse da enti ed associazioni operanti nei settori del volontariato e del no profit.

Il Governo intende, inoltre, rafforzare e sviluppare il sistema a rete degli interventi e dei servizi sociali e intende valorizzare e sostenere le responsabilità familiari, rafforzare i diritti dei minori; adottare misure che sostengono il servizio domiciliare per le persone non autosufficienti, in particolare gli anziani e le disabilità gravi; favorire l’integrazione sociale e i diritti delle persone disabili e incentivare la definizione di programmi annuali e pluriennali che disciplinano le politiche sociali.

Il Governo, pertanto, intende, nell’ambito delle compatibilità di finanza pubblica, almeno consolidare le risorse destinate alle attività indicate nel Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali, al livello dell’anno 2002, prevedendo comunque la possibilità di integrare il Fondo nazionale per le politiche sociali per ulteriori iniziative a sostegno delle attività sociali.

La positiva valutazione degli interventi svolti dalle associazioni di volontariato e da organismi senza scopo di lucro nel campo dell’assistenza alle persone con disabilità grave che hanno perduto i familiari che provvedevano alla loro cura, pone la necessità da parte del Governo di considerare un ulteriore sostegno per tali attività affinché l’esperienza maturata possa essere riprodotta e potenziata.

Il Governo intende promuovere politiche di prevenzione in grado di contrastare la crescente diffusione del disagio giovanile attraverso azioni mirate che sostengano il processo di crescita e lo sviluppo della personalità e dell’identità dei ragazzi e contribuiscano a creare nei giovani consapevolezza, autonomia, capacità decisionale e progettualità, in grado di garantire una libera costruzione del loro futuro, di uomini e cittadini.

Le politiche in favore della terza età saranno indirizzate verso un coinvolgimento e una valorizzazione della persona anziana nel contesto sociale e culturale, al fine di ridurre l’attuale condizione di emarginazione nella quale molti di loro versano, con lo scopo di riavviare un positivo dialogo e scambio di esperienze intergenerazionali.

Il governo, in materia di politiche del lavoro, intende attuare misure efficaci per l’inserimento lavorativo dei giovani e per il reinserimento delle persone più deboli quali, disoccupati di lunga durata, disabili, ex-detenuti, ex-tossicodipendenti, etc.

Verranno avviati programmi per il contrasto di tutte le forme di discriminazione, etniche e razziali, anche nell’ambito lavorativo, dove una particolare rilevanza verrà riservata al fenomeno del mobbing.

Inoltre, il Governo intende orientare la sua azione nei confronti di gravi fenomeni di emarginazione e di allarme sociale quali, le tossicodipendenze, la criminalità minorile, la prostituzione e le patologie psichiatriche. In particolare, il Governo intende avviare specifiche azioni nei confronti dei detenuti tossicodipendenti ai quali occorre garantire il diritto di accedere a percorsi riabilitativi alternativi alla detenzione.

A tal fine si rende necessaria la realizzazione di specifiche strutture a custodia attenuata, gestite in collaborazione con le realtà del privato sociale, propedeutiche all’inserimento delle persone in programmi riabilitativi drug-free e in grado di garantire loro un pieno ed effettivo reinserimento sociale.

Una ulteriore attenzione verrà prestata ai casi sempre più numerosi di tossicodipendenti affetti da patologie psichiatriche, la cosiddetta "doppia diagnosi", attraverso la realizzazione di specifiche e mirate strutture residenziali.

Tutto ciò senza diminuire l’attenzione verso il grave problema dell’handicap fisico, nei cui confronti il Governo intende realizzare politiche sociali di effettiva integrazione dei disabili nella scuola, nel lavoro, nelle città, sui mezzi di trasporto e nell’accesso ai servizi.

Al fine di garantire una effettiva realizzazione delle politiche sociali finora evidenziate, il Governo intende valorizzare il ruolo ed il compito assolto in questo campo dal volontariato e dal terzo settore, realizzando le condizioni normative affinchè esso operi in modo sempre più agevole ed efficace, recependo nel contempo le nuove indicazioni legislative in materia di sussidiarietà.

GLI AMMORTIZZATORI SOCIALI

Gli ammortizzatori sociali sono in Italia un sistema complesso, caratterizzato dalla compresenza di più schemi di sostegno al reddito di chi sia senza lavoro, distinti per criteri di accesso, livello e durata dei trattamenti, modalità concrete di utilizzo e di finanziamento. Nel suo complesso la spesa ad essi afferente, inclusiva di prestazioni dirette ed oneri per contribuzione figurativa, nella media della seconda metà degli anni novanta è stata pari allo 0.6 per cento del PIL, l’ammontare più basso tra tutti i paesi dell’Unione Europea, il cui dato medio era, nello stesso periodo, pari a circa il triplo di quello italiano

(…)

L’Italia, inoltre, è ai livelli minimi di spesa non solo per le politiche passive, ma anche per quelle attive. Ciò non deve del resto stupire: l’impegno nelle due tipologie di politiche va in genere di pari passo, in quanto le politiche attive sono spesso adoperate come strumento di contrasto ai disincentivi alla ricerca del lavoro ed ai rischi di comportamenti opportunistici insiti nelle passive.

Tale azione di contrasto è peraltro più o meno efficace a seconda della concreta natura delle politiche attive: queste ultime, nel caso italiano, risultano essere poco incisive da questo punto di vista, data la loro limitata interazione con le politiche passive. La gran parte delle misure attive italiane è in effetti costituita da incentivi finanziari automatici - il che consente spesso di limitare i costi amministrativi di gestione – troppe volte però scarsamente selettive nell’identificazione del target di beneficiari. Soprattutto, poco presente è l’azione di supporto alla "attivazione" dei disoccupati e di controllo sui comportamenti di chi percepisca trattamenti di disoccupazione. A tal proposito scarsa è l’efficacia dei servizi pubblici per l’impiego, tradizionalmente orientati su compiti burocratici ed ora affidati a Regioni e Province, senza però che sia ancora emersa una chiara missione di contrasto alle distorsioni nell’uso degli ammortizzatori sociali.La bassa spesa per ammortizzatori sociali dell’Italia dipende innanzitutto dal limitato livello di copertura degli ammortizzatori sociali rispetto al potenziale insieme di beneficiari. Ma il limitato livello di copertura delle politiche passive non è l’unica ragione della bassa spesa italiana. Lo schema assicurativo dal carattere più generale è, infatti, uno tra i meno generosi della UE quanto ad ammontare e durata: l’indennità ordinaria di disoccupazione – lo schema base rivolto alla generalità dei lavoratori dipendenti che perdono il lavoro3 – rimpiazza solo il 40 per cento della retribuzione precedente4 (fino al 1° dicembre 2000 era il 30 per cento) e per una durata massima limitata a sei mesi (dal dicembre 2000, nove mesi per gli ultracinquantenni); nella UE solo la Grecia ha un tasso di sostituzione così basso (ma una durata che si estende all’anno) e nessun paese una durata così breve.

Dati di fonte amministrativa (relativi al 2000) mostrano come poco più di un terzo dei trattamenti di questo schema base venga esteso sino alla durata massima di sei mesi, mentre allo stesso tempo all’incirca un pari ammontare di beneficiari lascia lo schema (presumibilmente per un nuovo lavoro) prima dei tre mesi dall’inizio della corresponsione del sussidio. Per molti, la contenuta generosità del sussidio (nel 2000 il sussidio era ancora pari al 30 per cento della retribuzione precedente) non sembra quindi provocare particolari disincentivi alla ricerca d’un nuovo posto di lavoro. Al tempo stesso, è evidente come un gruppo consistente di soggetti esaurisca il sussidio senza aver trovato un nuovo lavoro o scientemente sfruttando le possibilità offerte dal regime di sussidio, entrambe le cose essendo favorite dall’assenza di meccanismi di consulenza, controllo e incentivazione alla ricerca del posto di lavoro.

L’asserita bassa generosità va comunque circoscritta allo schema base dell’indennità ordinaria. Una delle caratteristiche del caso italiano è proprio l’eterogeneità dei trattamenti, in cui lo schema base di carattere assicurativo generale rappresenta solo una piccola frazione della spesa complessiva. Infatti, accanto allo schema base ora descritto sono vigenti trattamenti che o riguardano settori specifici (agricoltura ed edilizia, a loro volta con trattamenti differenziati a seconda della fattispecie), o sono legati a procedure di licenziamento collettivo (l’indennità di mobilità), o riguardano interruzioni temporanee del lavoro – senza formale soluzione del rapporto – per imprese manifatturiere5 medio-grandi (cassa integrazione) o, infine, legati a brevi intervalli occupazionali (l’indennità con requisiti ridotti). Questa varietà di trattamenti può essere sintetizzata, per le caratteristiche istituzionali che li regolano e per la modalità del loro concreto utilizzo, in due modelli da distinguere rispetto al modello generale visto prima e che,

(…)

per comodità espositiva, verranno denominati modello "industriale" (cassa integrazione e mobilità) e modello "stagionale" (trattamenti agricoli e requisiti ridotti).

Il modello industriale, nel confronto internazionale quanto alla generosità dei trattamenti, si colloca all’estremo opposto rispetto al modello generale: l’indennità di mobilità può durare fino a quattro anni nel Mezzogiorno per i lavoratori ultracinquantenni e presenta un tasso di sostituzione pari all’80 per cento della retribuzione precedente al primo anno e che poi scende al 64 per cento al secondo (nella UE solo la Danimarca presenta trattamenti più generosi in entrambe le dimensioni). Per di più, a transitare nella mobilità sono spesso lavoratori già coperti dalla cassa integrazione, che sostituisce anch’essa l’80 per cento della retribuzione precedente e nella sua fattispecie straordinaria può durare fino a 36 mesi in un quinquennio.

Prototipo del modello che è stato definito "stagionale" è il settore agricolo. I trattamenti in questione sono apparentemente poco generosi, quanto all’ammontare (l’indennità ordinaria in agricoltura sostituisce solo il 30 per cento della retribuzione precedente) o alla durata (le indennità speciali, con tassi di sostituzione più alti – del 40 per cento o del 66 per cento a seconda della fattispecie – durano solo tre mesi), ma richiedono requisiti minimi di accesso (102 giornate di contribuzione nell’ultimo biennio per l’ordinaria, 151 giornate nell’anno per il trattamento speciale al 66 per cento) e interessano la gran parte dei lavoratori iscritti a tali gestioni assicurative (circa 590 mila trattamenti nel 2000 a fronte di circa 850 mila assicurati). Ne consegue un cronico disavanzo tra contribuzioni e prestazioni ed un uso peculiare dello strumento – a mo’ di integrazione permanente dei redditi da lavoro più che di copertura assicurativa d’un evento incerto. Da segnalare in proposito come più del 40 per cento dei beneficiari dell’indennità ordinaria in agricoltura maturi esattamente i requisiti minimi (51 giornate nell’anno) per poter ripetere i trattamenti ogni anno. Inoltre, i trattamenti vengono poi erogati l’anno successivo rispetto a quello in cui si sono maturati i requisiti e si è verificata la disoccupazione, indipendentemente dalla condizione lavorativa del momento.

Le logiche del modello stagionale, tradizionalmente circoscritte all’agricoltura, si sono peraltro ormai diffuse agli altri settori con il peculiare schema dell’indennità ordinaria con requisiti ridotti, uno schema che nel corso degli anni novanta, anche in parallelo con la crescita del lavoro a termine, ha quasi raddoppiato il numero dei beneficiari, pari nel 2000 a 387mila, a fronte dei 192mila dello schema di base prima descritto (l’indennità ordinaria con requisiti pieni). Tale istituto condivide con i trattamenti agricoli una limitata generosità (tasso di sostituzione al 30 per cento, durata pari al numero di giornate lavorate nell’anno precedente sino ad un massimo di 180), dei requisiti di accesso minimi (78 giornate di contribuzioni nell’anno), la modalità di richiesta del beneficio (l’anno successivo rispetto a quello in cui si è verificata la disoccupazione, indipendentemente dalla condizione al momento). Non (…) stupisce che i trattamenti ridotti condividano con gli schemi agricoli la tendenza all’uso ripetuto nel tempo dello strumento e quindi, come detto, il diffuso utilizzo a mo’ di integrazione permanente dei redditi da lavoro più che di copertura assicurativa d’un evento incerto: in media più della metà dei beneficiari di trattamenti ridotti ripete il trattamento dopo un anno, più del 40 per cento lo ripete dopo due anni e poco meno del 20 per cento dei beneficiari è interessato dallo schema a otto anni di distanza.

Se si considera l’evoluzione dei saldi finanziari – la differenza tra prestazioni (inclusi gli oneri per contribuzioni figurative) e contribuzioni – nel complesso degli ammortizzatori sociali si evidenzia una tendenza al miglioramento, con un saldo negativo che passa da circa 6mila milioni di euro nel 1994 a poco più di mille milioni nel 2001. Tale miglioramento è attribuibile al ridursi d’importanza dei prepensionamenti (che per definizione non hanno contribuzioni) più che all’evoluzione favorevole dell’occupazione negli ultimi anni.10 Distinguendo tra i vari settori, gli interventi del modello industriale appaiono in leggero avanzo, lo sbilancio strutturale della mobilità venendo più che compensato dall’avanzo della CIG, in particolare di quella ordinaria11. Negli altri settori, il mix dei trattamenti ordinari extra-agricoli è in leggero avanzo, grazie anche alla favorevole evoluzione dell’occupazione degli ultimi anni (che dal punto di vista delle spese impatta soprattutto sui trattamenti con requisiti pieni). Al netto dell’evoluzione ciclica, la progressiva crescita dei trattamenti con requisiti ridotti spinge peraltro in senso opposto. Ai livelli attuali, come detto poco generosi, dei trattamenti, le contribuzioni, previste nella misura dell’1,3 per cento della retribuzione lorda, sono infatti in grado di finanziare la spesa, incluse le integrazioni al reddito fornite dai requisiti ridotti. Cronicamente in disavanzo sono i trattamenti del comparto agricolo.

A sintesi, si può osservare come la presenza di livelli di tutela insoddisfacenti, quanto ad aree coperte ed a significatività dei trattamenti di base, sia la principale ma non l’unica area critica degli ammortizzatori sociali italiani. La sfida per affrontare le iniquità esistenti e colmare l’insufficienza dei livelli di tutela garantiti è operazione complessa, non solo dal punto di vista finanziario, ma anche perché un sistema più generoso evidenzierebbe maggiormente talune inefficienze del sistema attuale. Essenziale appare il rafforzamento del legame con le politiche attive e del ruolo di contrasto ad abusi e disincentivi alla ricerca di lavoro da parte dei servizi pubblici dell’impiego così come a mezzo di iniziative formative, anche gestite dalle parti (specie nel caso di schemi che siano integrativi rispetto ad un livello di base di (…) tipo generale). Un attento ridisegno dei criteri di accesso appare inoltre importante, specie in caso di (doveroso) innalzamento della generosità dei trattamenti di base, per tutelare gli equilibri finanziari del sistema, posti a rischio da trend come quello nei requisiti ridotti extra-agricoli o dalla presenza di squilibri sistematici, come lo sbilancio permanente dei trattamenti agricoli. L’uso d’integrazione permanente al reddito di schemi formalmente disegnati come assicurativi appare infine distorsivo, oltre che poco trasparente, quelle esigenze di sostegno ai redditi bassi e precari essendo meglio affrontabili per altra via.

IV.1.3 La riforma del sistema previdenziale

Nel corso dei prossimi decenni la popolazione italiana sarà soggetta a un marcato processo di invecchiamento, che avrà implicazioni rilevanti sulla finanza pubblica e, in modo particolare, sulla spesa per pensioni.

La spesa pensionistica in Italia è circa 4 punti percentuali di PIL superiore rispetto alla media europea. Si prevede, inoltre, che essa aumenterà progressivamente nei prossimi decenni, per effetto dell’invecchiamento della popolazione, fino a raggiungere un massimo di 16 punti percentuali di PIL nel 2031.

Nonostante la vita attesa della popolazione italiana sia in costante aumento, il tasso di partecipazione al mercato del lavoro degli individui più anziani ha subito una riduzione significativa. Nel 2001 il numero di occupati tra i 55 ed i 64 anni di età sul totale della forza lavoro è stato pari al 28 per cento, mentre la media europea si aggirava intorno al 38,2 per cento. Nell’ultimo Piano di Azione Nazionale sull’occupazione il Governo si è, pertanto, posto l’obiettivo di un significativo aumento di tale variabile.

La riforma del sistema previdenziale sarà orientata a migliorare i livelli di equità sociale, a innalzare l’età effettiva di pensionamento e il tasso di partecipazione degli anziani, e a stimolare significativamente lo sviluppo della previdenza complementare in linea con quanto richiesto dalla Commissione Europea in sede di Indirizzi di Massima di Politica Economica. Nel riformare il sistema previdenziale il Governo terrà conto dei riflessi in termini di competitività Paese, costo del lavoro e sviluppo dell’occupazione al fine di garantire un funzionamento efficiente del sistema pensionistico.

Per quanto concerne l’obiettivo di una maggiore equità sociale, il Governo ha già provveduto a incrementare le pensioni minime, attraverso l’approvazione del Disegno di Legge Finanziaria 2002, che ha elevato il livello minimo di prestazione previdenziale a 516 Euro mensili. Tale provvedimento si è mosso nella direzione di garantire una maggiore giustizia sociale in favore delle fasce più bisognose della popolazione anziana.

Sempre nell’ambito del pilastro previdenziale pubblico, la Legge Delega in materia previdenziale punta al riequilibrio delle aliquote contributive, al riordino degli enti previdenziali nella direzione dell’efficienza, e alla liberalizzazione dell’età di pensionamento al fine di aumentare il tasso di partecipazione al mercato del lavoro da parte degli anziani. A quest’ultimo proposito vengono previsti incentivi di natura fiscale e contributiva che rendano più conveniente la continuazione dell’attività lavorativa per gli individui che abbiano maturato i requisiti minimi di pensionamento. In questo filone si inserisce anche il provvedimento che introduce la certificazione del conseguimento del diritto alla pensione al momento della maturazione dei requisiti. Nell’ambito della delega il Governo procederà anche alla progressiva abolizione del divieto di cumulo tra pensione e redditi da lavoro, eventualmente fruibile al conseguimento di requisiti superiori a quelli minimi per il pensionamento. Tale provvedimento rappresenterebbe un ulteriore incentivo a posticipare il momento della pensione. La progressiva abolizione del cumulo è anche volta a favorire l’emersione del lavoro sommerso dei pensionati, obiettivo che verrebbe perseguito anche con l’adozione di ulteriori misure, di natura specifica, in linea con quelle previste dalla normativa sull’emersione del sommerso.

Con riferimento allo sviluppo della previdenza complementare, la legge delega prevede specifiche misure di sostegno, tra cui la destinazione ai fondi pensione delle risorse del nuovo trattamento di fine rapporto (TFR); la riforma della disciplina fiscale per ampliare la deducibilità della contribuzione ai fondi pensione; la revisione, in senso più favorevole, della tassazione dei rendimenti delle forme pensionistiche complementari, anche nell’ottica di una maggiore armonizzazione europea. Inoltre, verrà definita la riduzione delle aliquote contributive, dovute dal datore di lavoro sulle nuove assunzioni a tempo indeterminato, dai 3 ai 5 punti percentuali. Considerato il ruolo cruciale che la previdenza complementare ricoprirà nell’accrescere i livelli di efficienza dei mercati finanziari, il Governo intende inoltre perfezionare l’omogeneità del sistema di vigilanza sull’intero settore e semplificare le procedure amministrative.

Riquadro: LE TENDENZE DI MEDIO-LUNGO PERIODO DEL SISTEMA PENSIONISTICO ITALIANO

La "previsione 2002" del sistema pensionistico obbligatorio sconta gli effetti delle modifiche al quadro normativo-istituzionale introdotte dalla legge finanziaria per il 2002 e, in particolare, ingloba l’aumento a 516 euro previsto per le pensioni minime. Riguardo al quadro macroeconomico, essa conferma le ipotesi sulla produttività e sulle dinamiche occupazionali adottate nella precedente previsione. In particolare, la produttività per occupato si attesta attorno all’1,8 per cento medio annuo (2 per cento a partire dal 2026 e gradualmente crescente verso tale valore negli anni precedenti) mentre le ipotesi relative al mercato del lavoro dello scenario base determinano una dinamica del tasso di occupazione che passa, nella fascia di età 15-64, dal 53,5 del 2000 al 64,2 del 2050. Relativamente al quadro demografico, la previsione recepisce le ipotesi di fecondità, mortalità e flussi migratori sottostanti lo scenario centrale elaborato dall’Istat con base 2001. La dinamica endogena del PIL conseguente alle ipotesi macroeconomiche e demografiche adottate, si attesta attorno all’1,5 per cento medio annuo nell’intero periodo di previsione.

Al fine di cogliere gli andamenti di lungo periodo dei fattori che condizionano gli equilibri strutturali del sistema pensionistico (quali le trasformazioni demografiche, la modificazione della struttura dei tassi di attività e di occupazione, la dinamica di lungo periodo della produttività), per il periodo 2003-2006, lo scenario base assume, in coerenza con la scelta già operata nelle precedenti previsioni, un tasso di crescita del PIL pari a circa il 2 per cento, sostanzialmente in linea con l’andamento medio degli ultimi 20 anni.

Nel lungo periodo, la "nuova" previsione del sistema pensionistico obbligatorio conferma gli andamenti ormai noti in quanto nessuno dei fattori sottostanti la dinamica strutturale del fenomeno ha subito modificazioni rilevanti per effetto delle operazioni di aggiornamento. Il rapporto fra spesa pensionistica e PIL presenta una rapida crescita nel primo trentennio di previsione dove fa registrare un incremento di oltre 2 punti percentuali di PIL passando dal 13,8 per cento del 2000 al valore massimo di 16 per cento nel 2033. Dopodiché decresce rapidamente attestandosi al 13,6 per cento nel 2050. La dinamica dei primi 15 anni, fatta eccezione per il primo quinquennio, è dovuta quasi esclusivamente ad un aumento del numero di pensioni in presenza di una sostanziale invarianza del rapporto fra pensione media e produttività. Tale ultimo rapporto decresce nella parte centrale del periodo di previsione per effetto dell’introduzione graduale del sistema di calcolo contributivo (regime misto) provocando un rallentamento della crescita della spesa pensionistica.

Nell’ultima fase, il rapporto spesa per pensioni/PIL cala rapidamente con il passaggio dal sistema di calcolo misto a quello contributivo in presenza di un rallentamento, prima, e di una inversione di tendenza, poi, del rapporto fra numero di pensioni e numero di occupati. Quest’ultimo fenomeno consegue alla progressiva eliminazione per morte delle generazioni del baby boom.

Rispetto alla precedente previsione, si registra un aumento del rapporto spesa/PIL nella parte centrale e finale del periodo di previsione in gran parte dovuto all’aumento delle pensioni minime di cui si è detto. Nella prima parte del periodo di previsione, tale effetto è più che compensato dalla riduzione del numero di pensioni di vecchiaia conseguente alla revisione della base assicurativa del FPLD e delle gestioni dei lavoratori autonomi recentemente effettuata dall’INPS. Tale riduzione è dovuta sostanzialmente ai minori flussi di pensionamento di vecchiaia generati dalla componente "silente" della base assicurativa (si tratta degli assicurati portatori di diritti pensionistici che non hanno contribuito al sistema nell’anno di riferimento) la quale è risultata ridimensionata, rispetto ai livelli contemplati nella precedente base dati, proprio nelle fasce di età ed anzianità contributiva compatibili con l’accesso al pensionamento di vecchiaia del primo decennio di previsione.

La curva tratteggiata indica, invece, l’andamento del rapporto fra spesa pensionistica e PIL, qualora si scontino le politiche programmate in termini di crescita occupazionale e di andamento della produttività inglobate nel presente DPEF per il periodo 2003–2006.

(…)

LE TENDENZE DI MEDIO-LUNGO PERIODO DEL SISTEMA SANITARIO ITALIANO

La "previsione 2002" del rapporto fra spesa sanitaria pubblica e PIL è stata effettuata sulla base delle indicazioni metodologiche concordate nell’ambito del gruppo di lavoro per l’analisi delle conseguenze dell’invecchiamento demografico costituito presso il Comitato di Politica Economica del Consiglio Ecofin (EPCWGA).

In particolare, l’evoluzione di medio-lungo periodo della spesa sanitaria viene espressa in funzione di tre fattori. Il primo misura la variazione della spesa imputabile all’evoluzione per età e sesso della popolazione; il secondo esprime l’effetto della modificazione della struttura dei consumi specifici per età, sesso e tipologia di prestazione; il terzo misura la variazione della spesa sanitaria nell’ipotesi di invarianza della struttura demografica e dei consumi specifici. Più precisamente, quest’ultimo fattore esprime l’evoluzione del consumo di un generico individuo a prescindere dalla sua appartenenza ad una certa classe di bisogno sanitario specificata in funzione dell’età e del sesso (consumo pro capite standardizzato).

Coerentemente con le scelte metodologiche adottate dall’EPC-WGA, la struttura dei consumi specifici è stata assunta costante per l’intero periodo di previsione, mentre il consumo pro capite standardizzato è stato ipotizzato evolvere in linea con il PIL pro capite. Tuttavia, per il periodo 2002-2006, in parziale deroga alle indicazioni metodologiche sopra indicate, la previsione della spesa sanitaria è stata effettuata tenendo conto degli effetti finanziari conseguenti all’accordo fra Stato e Regioni dell’8 agosto 2001, delle misure di contenimento già previste dalla normativa vigente e delle risultanze del sistema informativo della Sanità relative al quarto trimestre del 2001.

Per quanto attiene alla definizione delle variabili del quadro demografico e macroeconomico dello scenario base, le ipotesi adottate ricalcano esattamente quelle sottostanti la previsione della spesa pensionistica (cfr. box: tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico italiano).

La previsione del rapporto fra spesa sanitaria pubblica e PIL, nelle ipotesi dello scenario base (curva continua), mostra una crescita piuttosto regolare fino al 2035.

Solo nell’ultimo quindicennio il ritmo di crescita presenta una flessione per le ben note ragioni demografiche (uscita per morte delle generazioni del baby boom).

Nell’intero periodo di previsione, il rapporto si incrementa di 1,9 punti percentuali passando dal 6,0% del 2001 al 7,9% del 2050.

La crescita prevista della spesa sanitaria pubblica potrà essere contrastata efficacemente solo con l’adozione di politiche economiche finalizzate a ridurre il consumo pro capite standardizzato in misura sufficiente a compensare l’espansione dei consumi imputabile all’invecchiamento demografico. Tale riduzione risulta, però, di proporzioni consistenti se valutata in termini di PIL pro capite. Ciò significa che per soddisfare i bisogni sanitari di ciascun cittadino si disporrà di un ammontare di risorse, in rapporto a quelle complessivamente prodotte, notevolmente inferiore a quello attuale. Per cui, sarà necessario aumentare in modo significativo l’efficienza e l’efficacia del sistema sanitario pubblico per evitare un peggioramento progressivo del livello di "benessere sanitario" raggiunto.68 L’analisi della dinamica della spesa sanitaria per macrofunzioni evidenzia una crescita della componente long term care percentualmente più rilevante rispetto alla componente acute, secondo una tendenza comune a molti altri paesi economicamente avanzati. Tuttavia, occorre segnalare che l’incidenza della long term care risulta assai limitata in Italia (circa il 10% del totale della spesa sanitaria pubblica) a differenza dei paesi del nord Europa.

L’attuazione delle politiche programmate in termini di crescita occupazionale e di andamento della produttività inglobate nel presente DPEF produce gli effetti indicati dalla curva tratteggiata riportata nella figura. In particolare, la maggiore crescita economica assunta in tale scenario per il periodo 2003-2006 si traduce in una riduzione iniziale del rapporto fra spesa sanitaria e PIL la quale risulterà acquisita, in modo pressoché costante, per l’intero periodo di previsione.IV.1.4 Le pari opportunità Uno degli obiettivi che caratterizzerà l’azione di Governo, in materia di parità di accesso alle cariche elettive e ai luoghi decisionali, sarà quello di incentivare la partecipazione femminile alle competizioni elettorali.

E’, altresì, necessario integrare le misure per l’occupazione con le politiche per le pari opportunità incrementando la qualità dei servizi destinati a favorire la conciliazione tra le esigenze familiari e quelle lavorative per agevolare l’inserimento e la permanenza della donna nel mondo professionale e garantire al contempo la cura dei figli. Il Governo svilupperà politiche per l’occupazione femminile, soprattutto nel Mezzogiorno del Paese, per la parità di progressione nella carriera e nella retribuzione e per la formazione continua finalizzata a facilitare l’inserimento delle donne nei settori produttivi in cui sono sottorappresentate.

Occorre, inoltre, contrastare tutte le forme di discriminazione che maturano negli ambienti lavorativi con particolare riguardo al fenomeno delle molestie sessuali e del mobbing.

Le garanzie delle pari opportunità si realizzano anche attraverso il sostegno dell’inclusione sociale ed il contrasto a tutte le forme di discriminazione. Il Governo, pertanto, promuoverà politiche di prevenzione e di rimozione di ogni discriminazione, con particolare riferimento a quelle basate sulla razza e sull’origine etnica, attraverso l’istituzione di un apposito Ufficio di controllo e garanzia che dovrà essere istituito presso il Dipartimento per le pari opportunità.

E’ necessario favorire, inoltre, l’adozione di misure adeguate per contrastare la pedofilia e la tratta di persone finalizzata allo sfruttamento sessuale delle vittime garantendo altresì il loro recupero e il loro reinserimento sociale attraverso l’adozione di mirati programmi operativi.IV.2 Le riforme istituzionali-sociali

IV.2.1 Le riforme della Finanza pubblica Legge di stabilità

Il Governo ha avviato un processo volto ad una nuova definizione del complesso delle regole di bilancio a fine di tener conto pienamente degli impegni sottoscritti a 70 livello europeo e in sede nazionale della nuova formulazione del Titolo V della Costituzione. I due aspetti sono strettamente interrelati nella misura in cui il Patto di Stabilità e Crescita impegna l’insieme delle pubbliche amministrazioni, incluse quelle locali.

Le nuove ripartizione delle competenze tra i vari livelli di governo e il conseguente mutamento dell’assetto della finanza pubblica rende necessario un ripensamento dei principali strumenti finanziari per permettere allo Stato centrale di svolgere un ruolo fondamentale di coordinamento. Tale esigenza trova il suo fondamento nella nuova formulazione dell’art 117 che attribuisce, infatti, allo Stato centrale il compito di garantire il rispetto degli impegni assunti in sede europea. Alla luce del nuovo quadro istituzionale, si prevede di modificare la struttura della Legge Finanziaria, per trasformarla in una Legge di Stabilità, che adegui annualmente la legislazione nazionale al contenuto e agli obiettivi del Patto di Stabilità e Crescita e che coinvolga ciascun livello di governo al rispetto del Patto stesso. L’indicazione di previsioni tendenziali e programmatiche dell’indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni, distinto per sottosettori (amministrazioni centrali, territoriali e previdenziali), sia nel Documento di Programmazione Economico-Finanziaria, sia nella Legge di Stabilità consentirà di responsabilizzare pienamente i vari livelli di governo.

Il Governo intende impostare la nuova Legge di Stabilità sulla base di un contenuto più semplice, l rafforzando il divieto di introdurre interventi di carattere microsettoriale, eliminando le interpretazioni estensive utilizzate negli ultimi anni e infine sollecitando la modifica dei regolamenti parlamentari relativi alla sessione di bilancio e l’introduzione di limiti più rigorosi all’attività di emendamento sia parlamentare che governativa.La riforma del bilancio

Il Governo si è impegnato a portare a compimento la riforma del bilancio dello Stato, varata con la legge n. 94 del 1997, per migliorarne la trasparenza, la leggibilità, la flessibilità e l’efficienza. Queste finalità saranno perseguite attraverso una precisa definizione degli obiettivi di risultato e dei corrispondenti centri di responsabilità amministrativa in modo da renderli più coerenti con quelli di responsabilità dirigenziale e permettere una più immediata verifica e valutazione dei risultati.

Per agevolare il pieno raggiungimento degli obiettivi dei vari ministeri sarà consentita, pur nel rispetto delle diverse tipologie di spesa (spese in conto corrente, in conto capitale, oneri legislativi e di fabbisogno), una maggiore flessibilità nello spostamento di risorse fra capitoli di bilancio.

Per rendere più trasparente e leggibile il bilancio dello Stato si amplierà il contenuto delle note preliminari che accompagnano i singoli stati di previsione dei singoli Ministeri, nell’ottica di una maggiore precisazione dei macro-obiettivi delle politiche pubbliche di settore per l’anno successivo, raccordandoli con le risorse finanziarie destinate a ciascun Ministero e con le Direttive annuali sull’attività amministrativa e sulla gestione. Questo al fine di permettere al Parlamento una piena valutazione dei programmi di spesa e del relativo stato di attuazione.

Verrà completato il processo di classificazione delle poste del bilancio dello Stato in base ai criteri di contabilità nazionale con l’estensione di tale processo alla gestione di tesoreria al fine di consentirne un più efficace ed agevole consolidamento.

Il rigore e l’efficienza nella politica di spesa sarà ulteriormente rafforzato attraverso un più ampio utilizzo delle procedure di acquisto centralizzate e informatizzate gestite da Consip S.p.A., il cui ruolo verrà progressivamente esteso a polo di aggregazione della domanda dell’intera Pubblica Amministrazione.Il federalismo fiscale

Il Governo intende procedere sulla strada dell’applicazione del nuovo Titolo V della Costituzione attraverso l’adeguamento dell’ordinamento giuridico e ricercando la collaborazione, con la creazione di un tavolo comune di lavoro. Tra le soluzioni che potranno essere accolte, quella di identificare come criterio di imposizione la produzione reale e non la finzione della personalità giuridica.

Si prevede, in particolare, la devoluzione progressiva di competenze e funzioni amministrative agli enti decentrati con la contestuale assegnazione di fonti autonome di entrata per il finanziamento dei nuovi compiti.

La gestione dell’entrate e delle spese dovrà essere, comunque, orientata al rispetto degli equilibri di bilancio e compatibile con i vincoli finanziari individuati per i vari livelli di Governo per il rispetto del Patto di Stabilità e Crescita.

IV.2.2 La riforma della Scuola e dell’Università e la Ricerca

In materia di istruzione, università e ricerca l’azione del Governo proseguirà attraverso interventi diretti alla modernizzazione e al potenziamento del sistema educativo nazionale, al fine di migliorare i livelli generali e individuali di apprendimento e a diminuire gli elevati tassi di abbandono.Nell’ambito della scuola e formazione professionale le misure previste nel progetto di riforma della scuola italiana, attualmente all’esame del Parlamento, si ispirano ad una nuova organizzazione del sistema e al potenziamento ed adeguamento delle strutture e dell’organizzazione dei servizi. Il progetto di cambiamento sarà sostenuto da un piano pluriennale di misure finanziarie, da verificare nella loro compatibilità con i conti pubblici, per il conseguimento dei seguenti obiettivi: (1) riforma degli ordinamenti e interventi connessi con la loro attuazione e istituzione del Servizio nazionale di valutazione dell’istruzione; (2) sviluppo delle tecnologie multimediali; (3) valorizzazione professionale del personale docente e amministrativo e autoaggiornamento; (4) misure volte a prevenire e rimuovere il disagio giovanile al fine di assicurare la piena realizzazione del diritto-dovere di istruzione e formazione; (5) interventi per lo sviluppo dell’istruzione e formazione tecnica superiore e per l’educazione degli adulti e di adeguamento delle strutture di edilizia scolastica.

Per l’alta formazione artistica e musicale il Governo è impegnato nell’attuazione del processo di autonomia. La riorganizzazione amministrativa e gestionale di tali istituzioni favorirà la razionalizzazione delle risorse.

Nel sistema universitario, l’azione del Governo si incentrerà ad aumentare il numero dei laureati, a ridurre i tempi effettivi per il conseguimento dei titoli universitari e a garantire maggiori sbocchi professionali. L’avvio della riforma e il superamento dei punti critici del sistema impongono di raggiungere gli obiettivi del Governo con adeguati stanziamenti nell’ambito dei complessivi equilibri di finanza pubblica. Per intervenire efficacemente sul sistema universitario si prevede quindi, compatibilmente con gli equilibri di finanza pubblica, per i prossimi quattro anni un incremento delle risorse finanziarie finalizzate: (1) al finanziamento della riforma degli ordinamenti didattici e al potenziamento delle attività di orientamento, di tutorato e di internalizzazione; (2) alla realizzazione sostanziale del diritto allo studio per mezzo di interventi diretti e indiretti a favore degli studenti quali la copertura delle tasse versate alle università legalmente riconosciute per garantire agli studenti capaci ma privi di mezzi il diritto di scelta; (3) agli investimenti strutturali al fine di fornire agli studenti un ambiente idoneo alle funzioni didattiche; (4) al potenziamento della ricerca scientifica attraverso l’utilizzo di incentivi per le istituzioni che più proficuamente utilizzano i fondi per la ricerca.

Nell’area della ricerca il Governo, compatibilmente agli impegni di bilancio assunti in sede europea, intende promuovere l’attività di ricerca attraverso una rigorosa e strutturata strategia che individui e risolva le debolezze del sistema italiano e incentivi i suoi punti di forza. La nuova strategia adottata dal Governo è definita nel documento "Linee guida per la politica scientifica e tecnologica del Governo" approvato dal CIPE il 19 aprile 2002. Gli obiettivi del Governo sono di favorire l’impatto economico, occupazionale e sociale degli investimenti in ricerca e sviluppo ed il posizionamento internazionale del sistema italiano, con particolare attenzione agli effetti sull’attività di innovazione dei prodotti, dei processi e dei servizi offerti. Tali obiettivi saranno conseguiti attraverso l’applicazione di rigorose tecniche e metodologie di valutazione ex-ante ed ex-post dell’attività di ricerca.

Inoltre, l’azione del Governo si evolverà su cinque assi strategici: (1) sostegno alla ricerca di base; (2) supporto alla ricerca su tecnologie chiave a carattere multisettoriale; (3) potenziamento delle attività di ricerca industriale al fine di aumentare la capacità del sistema industriale italiano a trasformare le nuove conoscenze in maggior valore aggiunto; (4) promozione delle capacità di innovazione nei processi e nei prodotti da parte di piccole e medie imprese valorizzando sinergie a livello territoriale; (5) promozione del sistema di rete delle grandi infrastrutture e promozione dei processi di internazionalizzazione dell’attività di ricerca. Attraverso tali linee guide e con l’obiettivo di concorrere a rafforzare il sistema economico italiano e aumentarne la competitività nelle produzioni ad alta tecnologia, il Governo, compatibilmente con gli equilibri di finanza pubblica, intende aumentare i finanziamenti assegnati nel prossimo quadriennio al sistema pubblico di ricerca dall’attuale 0,6 per cento verso l’1 per cento del PIL. Tale impegno pubblico, alla luce dell’evoluzione degli investimenti in ricerca effettuati dal sistema industriale italiano e tenendo conto dei meccanismi di cofinanziamento pubblico/privato, dovrebbe tradursi in un aumento degli investimenti complessivi nel settore della ricerca. L’obiettivo quantitativo perseguito dal Governo risulta coerente con l’impegno assunto dal Consiglio Europeo di Lisbona (marzo 2000), e ribadito nel 74 Consiglio Europeo di Barcellona (marzo 2002), di aumentare gli investimenti in ricerca dell’Unione Europea nel suo complesso ad un livello prossimo al 3 per cento del PIL entro il 2010.IV.2.3 I Beni Culturali

Nel comparto dei Beni e delle attività Culturali, la spesa prevista per il periodo 2003-2006 dovrà essere caratterizzata da una duplice ridefinizione.

In termini qualitativi, dovrà passare da spesa tradizionalmente "corrente" spesa prevalentemente "per investimento", in quanto di importanza strategica per lo sviluppo di rilevanti settori economico e finanziari (dal turismo alla promozione nazionale e internazionale di gran parte delle attività produttive associate al marchio made in Italy) In termini quantitativi, la spesa in questione dovrà registrare, compatibilmente con gli equilibri di finanza pubblica, un consistente e progressivo adeguamento tale da metterla in grado di provvedere alle straordinarie dimensioni del nostro patrimonio artistico nazionale e di risultare significativamente compatibile con analoghi livelli raggiunti dagli altri grandi paesi in materia artistico-culturale.

L’azione di direzione politico-amministrativa del comparto dovrà proseguire, muovendo lungo i quattro assi fondamentali:

• la costruzione di efficaci strumenti per favorire l’acquisizione di risorse private, quali la partecipazione del Ministero dei Beni e delle attività Culturali a fondazioni e società nonché l’affidamento in concessione a privati della gestione di servizi finalizzati al miglioramento della fruizione pubblica dei beni culturali; • una rivisitazione delle forme organizzative, delle procedure amministrative e dei meccanismi di incentivazioni che dovranno essere volti verso una più razionale ed economica utilizzazione delle risorse; • la predisposizione di forme di forme di raccordo più attive tra i diversi livelli di Governo (Stato, Regioni, Enti Locali); • la realizzazione di nuove forme di connessione tra politiche culturali e dello sport e da altre politiche, quali quelle dei trasporti, del turismo, delle altre attività produttive e dell’ambiente.

Considerato nel suo insieme, il complesso della spesa per il settore è orientato, compatibilmente con gli equilibri di finanza pubblica, a conseguire l’obiettivo di un adeguamento a percentuali di livello europeo rispetto al PIL, grazie a due forme complementari di flussi finanziari:

• un considerevole incremento delle risorse provenienti dal settore privato, attraverso il coinvolgimento delle imprese nella gestione dei beni culturali e la predisposizione di opportune misure incentivanti, già in corso di elaborazione, mirate all’incremento delle donazioni e delle varie forme di sponsorizzazione, nonché alla creazione di fondi etici; • il progressivo adeguamento della spesa pubblica di competenza del Ministero per i Beni e Attività Culturali, attraverso incrementi annuali compatibili con lo stato generale della finanza pubblica.

IV.2.4 La Salute e l’Ambiente

La Salute Il sistema sanitario è stato interessato nell’ultimo decennio da un ampio ciclo di riforme, che ne ha ridisegnato l’assetto organizzativo attraverso il progressivo decentramento delle responsabilità amministrative e gestionali, l’introduzione di criteri di competitività, l’applicazione del principio di uniformità dell’assistenza per le prestazioni ritenute essenziali. Il processo di decentramento ha trovato completamento nell’attribuzione di una piena autonomia legislativa e finanziaria alle Regioni sia pure all’interno di un quadro normativo di riferimento stabilito a livello centrale.

In tale rinnovato contesto istituzionale il Governo, nell’ambito del sostegno al processo di devoluzione delle funzioni di organizzazione e gestione della sanità alle Regioni, intende maggiormente incidere nella sua azione di coordinamento, di monitoraggio e di verifica al fine di garantire il rispetto dei principi universalistici e solidaristici del servizio sanitario nazionale, nonché l’uniformità, l’appropriatezza e la qualità delle prestazioni erogate su tutto il territorio nazionale.

Occorrerà monitorare in modo sistematico e puntuale l’effettiva erogazione qualitativa e quantitativa dei LEA (Livelli essenziali di assistenza); rafforzare gli strumenti di coordinamento con le Regioni per individuare ed eliminare le persistenti sacche di inappropriatezza, e quindi degli sprechi, nella erogazione delle prestazioni; 76 migliorare e completare i sistemi di controllo dei costi del SSN; intensificare le attività ispettive del Ministero della Salute, anche attraverso l’adeguamento del Nucleo dei Carabinieri per la Salute; assicurare, attraverso la realizzazione del nuovo sistema informativo del SSN, la possibilità, per tutti gli attori istituzionali coinvolti, di una più ampia e costantemente aggiornata conoscenza dei dati di rilevanza sanitaria. Tale strumento sarà finalizzato soprattutto ad un puntuale monitoraggio dei tempi di attesa per le prestazioni contenute nei LEA.

Si procederà a rivedere il sistema dei prezzi dei farmaci rimborsabili, con particolare riferimento ai farmaci innovativi autorizzati con la registrazione europea, e al contempo, nell’ambito di un puntuale controllo della spesa farmaceutica, si individueranno nuove possibilità di classificazione dei farmaci rimborsabili. Allo stesso tempo, per evitare sprechi a carico del SSN e contemporaneamente garantire l’effettiva copertura terapeutica ai cittadini, saranno previste modalità di confezionamento ridotto dei farmaci.

Inoltre il Governo intende concentrare maggiore attenzione nei confronti della grande sfida posta al sistema sanitario dall’incremento della popolazione anziana e dalla connessa maggiore incidenza di patologie croniche e degenerative. A tal fine è necessario qualificare il sistema delle prestazioni sanitarie socio-assistenziali anche attraverso l’introduzione, in via sperimentale, di mutue integrative e/o sostitutive.

Occorre potenziare l’attività di ricerca sanitaria sviluppando reti di ricerca in ambito nazionale e internazionale, partenariati con i privati e iniziative di benchmarking per la misurazione degli esiti di alcuni interventi terapeutici (trapianti, cardiochirurgia, etc.) nonché sostenere lo sviluppo delle conoscenze sulle malattie rare.

Occorre sviluppare le attività di telemedicina ai fini di assistenza sanitaria, di miglioramento della capacità di diagnosi e cura.

Nella convinzione dell’importanza che riveste la formazione nel processo qualitativo del sistema è necessario implementare l’attività di formazione continua in medicina rivolta a tutti gli operatori del SSN in particolare, attivando programmi di e-learning in ambito aziendale, cui indirizzare anche l’attività di informazione sui farmaci rivolte ai medici. Allo stesso tempo è necessario procedere all’attuazione della legge 368/99 che prevede la trasformazione delle attuali borse di studio per i medici che frequentano i corsi di specializzazione in contratti di formazione lavoro.

Occorrerà, inoltre, assicurare una presenza rilevante ed una serie di attività specifiche sui temi della salute nell’ambito del semestre di presidenza italiana dell’Unione Europea, congiuntamente ad una serie di interventi quali il gemellaggio con gli ospedali dei Paesi in via di sviluppo e la rete degli ospedali italiani all’estero, per sostenere lo sviluppo di Paesi del sud del mondo.L’Ambiente

Dai principali indicatori di sostenibilità ambientale emerge un quadro di progresso nella riduzione delle pressioni sull’ambiente derivanti dalla crescita economica. A fronte di un aumento del PIL negli anni novanta del 17 per cento, si registra una diminuzione delle emissioni di SOx del 46 per cento, una riduzione delle emissioni di NOx del 24 per cento e una riduzione dell’intensità energetica del 2 per cento.

Sono tuttavia materia di preoccupazione l’aumento del 6 per cento delle emissioni di CO2, la pressione sulle risorse idriche e la continua crescita dei rifiuti urbani al 33 per cento, un ritmo doppio rispetto al PIL. Continua, inoltre, a crescere rapidamente anche la pressione da traffico stradale: i km/veicolo percorsi su strada sono aumentati del 50 per cento, ossia tre volte l’aumento del PIL, assegnando all’Italia uno dei più alti tassi di motorizzazione fra i Paesi membri dell’OCSE.

Il Governo intende perseguire con vigore l’obiettivo di un ulteriore de-coupling delle pressioni ambientali dalla crescita economica. Gli obiettivi di tale azione sono descritti nel 6° Piano d’Azione ambientale dell’Unione Europea, nella Strategia Europea per lo Sviluppo Sostenibile adottata a Goteborg e nella Strategia Nazionale di Azione Ambientale per lo Sviluppo Sostenibile. In tale contesto, seppure nei limiti compatibili con gli equilibri di finanza pubblica, verrà data piena attuazione all’utilizzo del fondo per lo sviluppo sostenibile dedicato al supporto di meccanismi flessibili di orientamento al mondo dell’impresa e del consumo.

• Ambiente, salute e qualità della vita: migliorare il livello di qualità della vita e di benessere sociale riducendo i livelli d’inquinamento, garantire la sicurezza alimentare anche attraverso lo sviluppo di una mirata ingegneria genetica, rendere sicure le attività produttive con particolare riguardo alla produzione e all’utilizzo delle sostanze chimiche.

• Cambiamenti climatici: ridurre, in ossequio agli impegni internazionali assunti e alle misure introdotte dalla legge di ratifica del Protocollo di Kyoto, le emissioni inquinanti in un quadro di azioni che tenga conto della competitività del sistema economico. L’incremento dell’uso delle fonti energetiche rinnovabili 78 garantirà una significativa riduzione delle emissioni di CO2 stimata in 14 Mt al 2010; il miglioramento dell’efficienza energetica consentirà ulteriori riduzioni per 7 Mt l’anno.

• Natura e biodiversità: Nelle aree sottoposte a vincolo ambientale dovrà progressivamente affermarsi una logica di compatibilità tra esigenze di tutela ambientale e opportunità di sviluppo socio-economico con l’uso di strumenti economici per l’autofinanziamento. Specifiche misure verranno adottate per la tutela e valorizzazione dell’ambiente marino e della fascia costiera.

• Gestione delle risorse naturali e dei rifiuti: In molte parti del Paese la sicurezza del territorio è diventata un elemento della competitività del sistema.

Sono necessarie robuste azioni preventive per superare la logica dell’emergenza e contrastare il rischio derivante dalla diffusa instabilità idrogeologica del territorio.

Il Governo sta sia adottando misure efficaci per fronteggiare la crisi idrica nelle aree del centro-sud, sia mettendo a punto politiche che possano migliorare permanentemente il sistema idrico italiano, tra queste vi è un maggiore utilizzo delle acque reflue in agricoltura. Andrà rafforzata l’attività relativa alla valutazione d’impatto ambientale.

Nel settore dei rifiuti occorre superare diffuse situazioni di emergenza, avviando una razionalizzazione complessiva del ciclo integrato di produzione e smaltimento che porti prioritariamente alla riduzione della produzione dei rifiuti, al riciclaggio, al recupero di energia e di materia, alla copertura dei costi e allo smaltimento finale in condizioni di sicurezza. Le revisioni dei sistemi tariffari dovranno contenere il divario fra ricavi e costi del servizio. L’aumento della percentuale di materiale riciclato, soprattutto nel sud del Paese dove spesso manca un sistema di raccolta differenziata, dovrà essere aumentata anche in applicazione della legge finanziaria per il 2002.

• Bonifica dei siti contaminati: La dimensione del problema dei siti inquinati nel Paese non è minore di quella di altri paesi industrializzati e risulta essere uno dei fattori limitanti per uno sviluppo anche industriale. Rapporti ufficiali delle amministrazioni competenti riportano l’esistenza di alcune migliaia di siti da sottoporre ad intervento di ripristino per una successiva riutilizzazione. L’azione del Governo sarà tesa ad aumentare le sinergie tra la Pubblica Amministrazione e i diversi settori produttivi e finanziari interessati nelle operazioni di bonifica, nello spirito già proposto nel collegato ambientale alla finanziaria per il 2002 ove viene individuata una metodologia che stimola l’intervento del capitale privato.

• Fiscalità ambientale: La riforma della fiscalità ambientale si inserisce a pieno titolo nella più generale riforma del sistema fiscale. Il Governo intende utilizzare la leva fiscale per la correzione delle esternalità connesse all’ambiente, l’incentivazione di comportamenti attenti alla conservazione e protezione di quest’ultimo, la promozione di tecnologie sostenibili e la progressiva eliminazione di sussidi dannosi per l’ambiente. In tal senso il maggior favore per le aziende certificate EMAS sarà un segnale importante.IV.2.5 Politiche Comunitarie, Devoluzione e Affari Regionali

Le Politiche Comunitarie

Gli sforzi del Dipartimento per le politiche comunitarie sono stati volti a conseguire l’obiettivo di un pieno adeguamento strutturale e funzionale rispetto alle esigenze poste dalla più recente evoluzione del fenomeno comunitario.

Pieno conseguimento dell’obiettivo di porre in essere una legge comunitaria in linea con il nuovo assetto costituzionale fissato dalla Legge cost. 3/01. In tale prospettiva si dovranno consolidare gli strumenti che consentano di ottemperare con maggiore proficuità all’obbligo di trasmissione al Parlamento e alle regioni dei progetti degli atti normativi e di indirizzo dell’Unione europea. Gli obiettivi del Governo sono i seguenti • Rendere più incisiva l’azione di attuazione delle direttive comunitarie con l’obiettivo di ridurre il deficit di recepimento fino al raggiungimento dell’obiettivo fissato dell’1,5% entro la primavera del 2003.

• Diminuire ulteriormente il numero di procedure di infrazione ancora pendenti presso la Commissione europea, nel solco del miglioramento registrato nell’ultima rilevazione del 10 giugno u.s., esperendo tutti i tentativi per la ricerca di eventuali possibili soluzioni non contenziose delle vertenze ancora pendenti.

• Continuare l’attività di coordinamento della posizione italiana su direttive e regolamenti comunitari riguardanti i settori di turismo, consumatori, 80 industria, energia, trasporti, telecomunicazioni, ambiente, sanità, agricoltura, lavoro e affari sociali, ricerca scientifica, educazione, cultura e libera circolazione dei professionisti da rappresentare al Consiglio dell’Unione europea.

• Incrementare la partecipazione alla fase di elaborazione e predisposizione delle proposte di norme concernenti l’armonizzazione fiscale per il conseguimento degli obiettivi previsti dalla strategia del mercato interno 2000-2005 riguardanti la libera circolazione delle merci e la libera prestazione dei servizi.

• Ridurre preventivamente il volume di procedure pre contenziose relative all’applicazione del principio del mutuo riconoscimento attraverso il meccanismo di cooperazione amministrativa denominato Centro di coordinamento per il mercato interno.

• Sviluppare il coordinamento interministeriale per la definizione di una posizione nazionale unitaria su proposte di provvedimenti comunitari.

• Fornire un supporto alle Regioni del Mezzogiorno, tramite operazioni di assistenza tecnica sulla normativa comunitaria vigente ed in fase di elaborazione, al fine di migliorarne il grado di conoscenza e utilizzo, per garantire la coerenza dei programmi regionali cofinanziati dai Fondi strutturali con la normativa comunitaria.

• Promuovere e coordinare iniziative di formazione, informazione e documentazione sulle politiche dell’Unione europea, in particolare sulle iniziative comunitarie in tema di politiche di coesione, anche nei confronti di Paesi candidati all’ingresso nel contesto comunitario.

• Proseguire l’attività dell’"Osservatorio sulla Convenzione", istituito presso il Dipartimento per le politiche comunitarie con il compito di operare un monitoraggio sui lavori della Convenzione nata dal Consiglio europeo di Laeken, che costituisce ideale punto di raccordo fra i rappresentanti italiani nella Convenzione e le iniziative che su tutti i temi trattati all’interno della Convenzione stessa sono in atto o verranno ad essere promosse nel Paese.La Devoluzione

Le riforme istituzionali, si dovranno integrare in modo armonico con la piena attuazione della riforma del titolo V della Costituzione, introdotta nel 2001.

L’attuazione sarà posta in essere attraverso un ulteriore sviluppo dell’assetto regionalistico e autonomistico delineato dalla riforma.

Risulta evidente, per l’attuazione di tale nuovo assetto, la necessità che le Regioni siano poste in grado di esercitare le nuove competenze legislative e amministrative loro riconosciute, attraverso la disponibilità delle occorrenti risorse finanziarie nei tempi e nei limiti compatibili con gli equilibri di finanza pubblica. Il meccanismo finanziario riveste un ruolo fondamentale nella concretizzazione dell’autonomia del sistema regionale; l’autonomia legislativa, organizzatoria e politica delle Regioni necessita, per esplicarsi, di adeguati supporti finanziari per il perseguimento dei fini di volta in volta individuati: in particolare, i settori della sanità, dell’istruzione e della sicurezza, oggetto del disegno di legge costituzionale di devoluzione di poteri alle regioni, che modifica l’articolo 117 della Costituzione, nel senso di prevedere l’attivazione della potestà legislativa esclusiva regionale in materia di assistenza e organizzazione sanitaria; di organizzazione scolastica, gestione degli istituti scolastici e di formazione; di definizione di parte dei programmi scolastici e formativi; di polizia locale.

Occorre altresì dedicare la massima attenzione all’esigenza di regolare gli effetti dell’entrata in vigore di un nuovo assetto di tipo federale nel contesto degli impegni in materia di finanza pubblica assunti nei confronti dell’Unione europea. Tale processo di ridefinizione degli strumenti di finanza pubblica – che secondo una recente iniziativa legislativa dovrebbe ristrutturare il contenuto e modificare la stessa denominazione della "legge finanziaria" in "legge di stabilità" non dovrà però concludersi con la messa a disposizione dello Stato di uno strumento congiunturale per regolare i flussi complessivi di finanza pubblica, che si sviluppi in una logica unilaterale e penalizzante nei confronti delle varie componenti territoriali della Repubblica in vista del rispetto degli obiettivi di cui al patto di stabilità e di crescita.

Più di recente, l’intesa interistituzionale sancita dalla Conferenza Unificata del 30 maggio scorso ha convenuto, tra l’altro, sulla necessità di avviare l’individuazione delle funzioni da trasferire e di avviare il trasferimento delle risorse necessarie allo svolgimento delle competenze legislative esclusive e delle funzioni amministrative da definire nella legge finanziaria "senza oneri finanziari addizionali, con contestuale riduzione delle corrispondenti voci di costo a carico del bilancio dello Stato, con particolare riferimento alle spese per le strutture ed il personale statali".

E’ essenziale, quindi, che sia disposto l’avvio dei trasferimenti di risorse finanziarie necessarie a consentire l’esercizio dell’autonomia regionale, secondo criteri di economicità, in conformità ai quali siano evitate duplicazioni di strutture e di competenze e conseguenti aggravi di spesa per il bilancio dello Stato.Gli Affari Regionali

La recente riforma del Titolo V della Costituzione innova la missione del Dipartimento degli Affari Regionali (DAR) che si pone come elemento di cerniera in grado di "accompagnare" e facilitare il processo federalista in atto, promuovendo il principio di leale collaborazione fra i vari livelli di governo.

In particolare le attività del DAR si suddividono in 1) Attività Generali 2) Nuove Attività 3) Politiche Settoriali.

• Attività Generali. In quest’ambito si dovranno garantire l’attuazione delle politiche inerenti le autonomie speciali, implementare la funzione di raccordo con le "Conferenze" e avviare un’azione di studio, monitoraggio e concertazione sulle politiche locali, soprattutto in tema di produzione legislativa e regolamentare, allocazione delle funzioni amministrative, sviluppo economico locale, programmazione territoriale, partecipazione delle regioni e altri enti locali a progetti e politiche comunitarie, potenziamento della comunicazione istituzionale e del processo di informatizzazione.

• Nuove Attività. In quest’ambito è stato costituito un comitato denominato PORE-Progetto opportunità delle Regioni in Europa con lo scopo di fornire al sistema delle autonomie strumenti atti a sviluppare capacità negoziali e progettuali, assicurare l’elaborazione la raccolta e la diffusione di linee metodologiche e di analisi in grado di valorizzare e trasferire le migliori pratiche.

IL DAR intende inoltre stabilire una linea di collegamento con il Comitato delle Regioni presso la UE e con la Commissione Europea nonché con i nuclei di valutazione e monitoraggio degli investimenti pubblici presso le Amministrazioni centrali e regionali. L’abrogazione dell’art. 130 della Costituzione comporta la costituzione di un collegamento strutturato con le Sezioni regionali della Corte dei Conti ai fini del coordinamento degli equilibri di finanza pubblica.

• Politiche Settoriali. In quest’ambito l’operatività concerne le politiche sulla Montagna e quelle sulla insularità (con particolare riferimento alle isole minori).

In particolare nell’ambito delle politiche sulla Montagna si è costituito l’Osservatorio per la Montagna i cui interventi coordinati si svilupperanno secondo una triplice direttrice; revisione normativa, alla luce della modifica del Titolo V della Costituzione, difesa del territorio montano e rilancio dell’attività economica della Montagna. Sono quindi necessari, nel rispetto delle compatibilità finanziarie, interventi strategici funzionali al sostegno e allo sviluppo della Montagna.

In particolare, compatibilmente con gli equilibri di finanza pubblica, gli obiettivi sono l’ incremento del Fondo Nazionale della Montagna, l’istituzione di un fondo speciale per la manutenzione dei servizi in loco di carattere straordinario e con vincolo di destinazione, il rifinanziamento dei mutui quindicennali alle Comunità Montane, il sostegno del settore agricolo e forestale e lo sviluppo del sistema informativo della Montagna.IV.2.5 L’Amministrazione Generale del Territorio, la Sicurezza, il Servizio Civile Nazionale, la Giustizia, la Difesa, i Rapporti Internazionali e gli Italiani nel Mondo

L’Amministrazione Generale del TerritorioIl DPEF dello scorso anno individuava nella istituzione degli Uffici Territoriali del Governo e nel potenziamento dei sistemi informativi e della loro efficace interconnessione, uno degli strumenti idonei a perseguire il risultato del miglioramento della Pubblica Amministrazione.

Proseguendo nella linea mirante ad agevolare il rapporto tra il cittadino e le istituzioni, si ritiene ineludibile fornire di un’adeguata informatizzazione gli Uffici Territoriali del Governo, presso i quali sarà aperto lo "sportello unico per l’immigrazione" e le cui incombenze andranno ad aggiungersi a quelle derivanti dalla accresciuta "depenalizzazione", affrontata finora senza aumento di personale e in una situazione di costante decremento delle risorse di bilancio.

Nell’ambito del piano nazionale di e-government sull’impiego delle tecnologie dell’informazione per lo sviluppo dei servizi al cittadino, necessitano di adeguata implementazione la realizzazione del sistema di accesso e interscambio anagrafici e dell’indice Nazionale delle Anagrafi nonché la Carta di identità elettronica.

Il progetto tiene conto dell’introduzione della Carta nazionale dei servizi, che si avvarrà del medesimo circuito di sicurezza al fine di consentire alle Pubbliche Amministrazioni l’erogazione di servizi in rete. Entro la fine della legislatura si potrebbe così pervenire alla sostituzione su tutto il nazionale, dell’attuale carta d’identità con la nova carta elettronica.

Un’attenzione particolare andrà alla individuazione di forme di riqualificazione e finanziamento della spesa anche per i Fondi istituiti presso il Ministero specificamente a quelli di amministrazione del personale.

La Sicurezza La sicurezza da tutti i rischi, dalla criminalità agli eventi di danno ascrivibili a fatto dell’uomo o naturali, costituisce un fattore fondamentale per lo sviluppo del Paese e l’attuazione di ogni riforma, e deve caratterizzare in maniera irrinunciabile l’azione politica del Governo.

In tale ottica è necessario portare a compimento le riforme e gli interventi già avviati col DPEF del 2002 e ufficialmente confermate dal Governo in tema di rinnovi contrattuali delle Forze di polizia, del loro potenziamento tecnologico e degli organici, e del migliore impiego delle Forze stesse grazie anche ad una più idonea dislocazione sul territorio.

Occorrerà prevedere interventi contro la criminalità a favore delle imprese, in particolare di quelle medio piccole, più esposte al fenomeno, per consentire un più vasto ricorso a sistemi di prevenzione dalle aggressioni anche mediante l’incentivazione dell’impiego di circuiti televisivi di controllo.

Il Governo conferma l’impegno assunto per il completamento del processo di parametrizzazione retributiva del personale sicurezza e difesa.

A completamento del quadro di riordino del settore sicurezza sarà posta allo studio la riunione dei vigili del fuoco alle altre forze impegnate per la sicurezza del Paese, estendendo al personale del Corpo nazionale la disciplina del rapporto di impiego del "Comparto Sicurezza e Difesa", provvedendo al loro potenziamento in uomini e mezzi, anche nel settore aeroportuale.

Nel campo della Protezione Civile si rende necessario rafforzare l’azione volta a contenere il rischio di eventi capaci di determinare perdite di vite umane e danni al patrimonio del Paese.

In questo contesto particolare rilievo assumono le iniziative di costituzione di una rete di controllo territoriale per l’emergenza meteorologica ed idropotabile, e per il potenziamento dei mezzi aerei necessari alla intensificazione delle lotta contro gli incendi boschivi.Il Servizio Civile Nazionale

Il Governo intende sviluppare e potenziare il servizio civile nazionale, inteso come forza non armata al servizio del paese, occasione di impegno per ragazzi e ragazze che intendono dedicare un anno della loro vita collaborando a progetti di volontariato in Italia e all’estero.La Giustizia

Il Governo intende riformare, semplificare e ammodernare l’ordinamento, l’organizzazione e la gestione dell’amministrazione giudiziaria, penitenziaria e della giustizia minorile al fine di assicurare maggiore certezza, qualità, efficacia, efficienza ed economicità al funzionamento dei servizi inerenti la Giustizia, perseguendo in particolare i seguenti obiettivi di interesse generale:

• la riduzione del debito giudiziario e la riduzione dei tempi e dei costi del processo civile e penale;

• la prevenzione e il contrasto dei reati, anche in sede internazionale, con particolare riferimento alla criminalità comune, a quella organizzata, al terrorismo, all’immigrazione clandestina, alla tratta delle persone, alla pedofilia e alla pedopornografia;

• la certezza della pena e contestualmente la dignità delle condizioni detentive, favorendo il recupero sociale dei condannati e la diminuzione della recidiva;

• la tutela dei minori e la prevenzione e il contrasto della devianza minorile.

Con queste finalità , verranno favoriti i seguenti interventi:

• la riforma dei codici, la delegificazione e la revisione del diritto societario e fallimentare;

• la revisione delle circoscrizioni giudiziarie e l’avvio di un processo di decentramento sul territorio dell’amministrazione giudiziaria per l’allocazione razionale delle risorse umane e strumentali a livello territoriale;

• la predisposizione e la realizzazione di piani per la dotazione di spazi e di strumenti tecnici e materiali funzionali al lavoro dei magistrati;

• la valorizzazione della professionalità della magistratura togata e della magistratura onoraria;

• l’introduzione di criteri di managerialità e produttività nella organizzazione delle attività e del lavoro degli uffici giudiziari;

• l’adeguamento del trattamento economico del personale della magistratura, all’uopo prevedendo incrementi differenziati per i giovani magistrati e particolari compensi accessori per coloro che sono chiamati a svolgere funzioni direttive, al fine di poter svincolare la progressione economica da meri automatismi connessi al solo parametro dell’anzianità;

• l’introduzione di nuovi sistemi tecnologici di fono-registrazione e di multivideoconferenza (processo telematico);

• l’innovazione tecnologica dell’intero "sistema giustizia", anche attraverso lo sviluppo di un sistema di rilevazione e miglioramento della "customer satisfaction" degli utenti degli uffici giudiziari e la realizzazione del portale degli uffici giudiziari civili;

• il potenziamento dell’edilizia giudiziaria, penitenziaria e minorile attraverso la realizzazione di nuove strutture, la ristrutturazione di quelle esistenti e l’eventuale recupero di quelle abbandonate, all’uopo utilizzando anche strumenti finanziari alternativi ed esplorando possibili positive sinergie con enti locali e soggetti privati;

• il decentramento e la revisione del sistema carcerario, tenendo conto delle specificità territoriali e del diverso grado di pericolosità sociale dei detenuti, favorendo l’introduzione di circuiti penitenziari differenziati e aumentando la possibilità e le opportunità di lavoro per i detenuti durante e dopo la pena;

• la valorizzazione del ruolo, della professionalità e delle competenze del personale addetto ai servizi penitenziari, anche minorili;

• l’abolizione dei tribunali minorili in campo civile e la contestuale creazione di sezioni specializzate per la Famiglia presso i tribunali ordinari;

• il potenziamento della cooperazione giudiziaria e penitenziaria internazionale ed il rafforzamento delle strutture ministeriali preposte;

• l’idonea preparazione del semestre di presidenza UE per quanto riguarda i consigli GAI.La Difesa

Nel primo anno del suo mandato, il Governo ha inteso sviluppare una politica di difesa nazionale nel segno del rafforzamento dei legami con l’Alleanza Atlantica e con l’Unione Europea, nella consapevolezza che il processo di crescita della dimensione europea di sicurezza e di difesa rappresenta un importante fattore trainante per l’Europa del futuro. Il ruolo decisivo rivestito dall’Italia in occasione del recente Accordo di Pratica di Mare, tra i Paesi N.A.T.O. e la Federazione Russa costituisce la sintesi e il più evidente traguardo intermedio di tale intendimento.

Agli effetti dei provvedimenti interni, questa volontà si è trasfusa in un’azione di continuità nella ristrutturazione dello strumento militare, proteso sempre più verso un sistema di professionisti e volontari da impiegare in unità di numero e dimensioni contenuti rispetto al passato ma caratterizzate da maggiore agilità, flessibilità, prontezza ed efficacia operativa.

Proseguendo su tale linea, il Governo intende favorire innanzitutto una cultura della difesa nazionale, perché si consolidi nel Paese la coscienza delle nuove esigenze imposte anche dalla comparsa sullo scenario internazionale della minaccia terroristica. Tale fenomeno fa assumere alla tutela della sicurezza un’accezione più ampia, includendo, oltre al concorso alla stabilità e alla pace internazionali, la legittima salvaguardia e la tutela degli interessi nazionali, nonché la prevenzione dei rischi vecchi e nuovi.

In tale contesto, si inserisce la volontà governativa di accelerare il processo di attuazione di un nuovo modello di difesa, anticipando la sospensione del servizio militare obbligatorio, in modo da ridurre la fase di transizione dalla "leva" al "professionismo" militare e pervenire, entro la fine della legislatura, alla formazione di Forze armate interamente professionali. Un sostegno determinante al conseguimento di detto obiettivo potrà derivare dall’adozione sia di interventi di natura economica, sia di misure volte a favorire l’assorbimento dei volontari nelle categorie del personale di carriera delle stesse Forze armate e di polizia o, in alternativa, il qualificato inserimento nel mondo del lavoro.

Le riforme strutturali, pertanto, dovranno incidere sull’architettura del sistema in modo da disegnarla secondo un modello coerente e calibrato alle missioni probabili e alle dimensioni economicamente sostenibili. A tale riguardo, sulla base delle esigenze e del quadro complessivo della finanza pubblica, necessita far conto su un trend tendenzialmente in crescita delle risorse finanziarie per la funzione difesa, tale da perseguire la graduale risalita del rapporto funzione difesa/PIL tendente verso l’1,5 per cento, allorché reso compatibile dal contesto economico generale. Nella prospettiva di interventi di ammodernamento e razionalizzazione, volti ad una maggiore efficienza dell’organizzazione della Difesa ai fini delle esigenze nazionali e di partecipazione a missioni internazionali sotto egida ONU, N.A.T.O. e U.E., il Governo intende perseguire prioritariamente i programmi di seguito indicati, preordinando, compatibilmente con gli equilibri di finanza pubblica, le risorse finanziarie necessarie:

• migliorare i sistemi di reclutamento e formazione, con ampio ricorso alle moderne tecnologie informatiche e di comunicazione telematica;

• attivare la previdenza complementare a favore del personale dipendente, attraverso la creazione di uno o più fondi pensione, anche mediante il riassorbimento degli assetti patrimoniali delle casse militari;

• attivare un piano di fattibilità per la realizzazione di alloggi per il personale militare con famiglia, anche con il ricorso a forme di finanziamento privato;

• disporre di unità operativamente in grado di sostenere l’azione della comunità internazionale nella prevenzione e gestione delle crisi e di fornire, sul piano interno, un adeguato concorso ai servizi di prevenzione e controllo del territorio, nonché alle esigenze di pubblica necessità e tutela ambientale;

• realizzare una sempre maggiore integrazione interforze nel settore logistico, dando priorità al riordino della sanità militare anche in funzione complementare rispetto al servizio sanitario nazionale;

• procedere, adottando strumenti legislativi che consentano impegni di spesa pluriennali, all’ammodernamento ed al rinnovamento di materiali, sistemi d’arma e mezzi, allo scopo di colmare il divario tecnologico rispetto ai maggiori paesi alleati;

• fare ampio ricorso, quando economicamente conveniente, alle procedure di acquisizione di beni e servizi in outsourcing ed e-procurement, per liberare risorse umane e finanziarie da impegnare nei reparti operativi;

• accelerare le dismissioni del patrimonio demaniale della Difesa, non più necessario o rispondente alle esigenze, al fine di recuperare risorse da destinare agli investimenti;

• proseguire ed ampliare i programmi di ricerca e sviluppo tecnologico, valorizzando la cooperazione con i partners nel settore e la partecipazione dell’industria italiana alla realizzazione di progetti internazionali.I Rapporti Internazionali e gli Aiuti Pubblici allo Sviluppo

Il Governo proseguirà nel suo impegno ad assicurare la pace, la sicurezza e la stabilità internazionale, in particolare in Medio Oriente attraverso un programma quadro di iniziative volte alla ricostruzione e allo sviluppo dell’economia palestinese, per il quale sarà eventualmente emanato un apposito provvedimento normativo. Nel contempo, il Governo asseconderà il processo di crescita sociale, economica e culturale dell’Italia, rinnovando le proprie strutture per porsi con valore aggiunto al servizio degli interessi dei cittadini e delle imprese italiane all’estero. Occorrerà pertanto rafforzarne la capacità di coordinare le iniziative di promozione del Sistema- Italia e il processo di internazionalizzazione delle imprese italiane. In questo contesto sarà altresì necessario sostenere le attività all’estero delle istituzioni di partenariato internazionale costituite dal mondo professionale e accademico, dalle autonomie locali e dalla società civile, anche allo scopo di indirizzare in un contesto organico e coerente le azioni condotte dalle Regioni a seguito della riforma del titolo V della Costituzione. Ugualmente importante sarà il rilancio della diplomazia culturale quale strumento di miglioramento dell’immagine del nostro Sistema-Paese, che comporta positive ricadute anche nel settore economico. A tal fine, sarà indispensabile provvedere al finanziamento delle iniziative normative per la promozione della cultura, della lingua e della scienza italiana all’estero, ivi compresi grandi eventi culturali.

Occorrerà poi porre le premesse affinché la Presidenza italiana dell’Unione Europea, nel secondo semestre del 2003, assuma un ruolo determinante nel processo 90 di costruzione, riunificazione e rafforzamento dell'Europa, sia per l’attuazione delle decisioni del Consiglio di Barcellona in tema di strategia per la crescita, l'occupazione e la competitività dell’Europa, sia per la gestione delle relazioni esterne dell’Unione.

Il coinvolgimento degli italiani residenti all’estero nella vita politica ed economica del Paese rappresenterà un ulteriore passaggio di particolare spessore negli anni a venire. In tale prospettiva, e in connessione con le attività di preparazione all’esercizio del voto per i connazionali all’estero, si dovrà completare l’anagrafe consolare centralizzata, ed informatizzare i servizi disponibili per i cittadini e le imprese italiane operanti all’estero. Quale potenziale di promozione per il Sistema- Italia, occorrerà inoltre consolidare i legami fra l’Italia e gli stranieri di origine italiana, anche attraverso un vasto programma di iniziative mediatiche e culturali a loro dirette.

La gestione dei flussi migratori assumerà parimenti notevole significato per le prospettive di crescita del Paese. Il Ministero degli Affari Esteri dovrà intervenire nella concessione dei visti – nel quadro della procedura Schengen - con accresciuta capacità d’analisi e di controllo, al fine di selezionare le risorse umane qualitativamente e quantitativamente compatibili con gli obiettivi del sistema produttivo. Nel contempo, sarà necessario mettere allo studio progetti mirati alla formazione linguistica e tecnica dei lavoratori stranieri diretti in Italia, in collaborazione con le autorità dei Paesi d’origine.

Il rilancio dell’Aiuto Pubblico allo Sviluppo costituirà uno degli strumenti fondamentali per perseguire – unitamente agli obiettivi di lotta alla povertà - la stabilità e la crescita dell’economia mondiale, secondo la Dichiarazione del Millennio, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel settembre 2000 e gli esiti della Conferenza Internazionale sul finanziamento dello Sviluppo di Monterrey del marzo 2002. All’aumento finanziario dell’aiuto entro il 2006 sino alla soglia minima dello 0,33% del PIL, in linea con la posizione italiana ai Consigli Europei di Goteborg, Laeken e Barcellona, dovrà corrispondere un aumento dell’efficacia, della trasparenza e della coerenza dei programmi di sviluppo bilaterali e multilaterali. Il governo si è impegnato a perseguire il traguardo dello 0,33 % del PIL nel rispetto dei vincoli posti dal Patto di Stabilità e Crescita, attraverso due modalità: 1) aumenti graduali delle risorse allocate per l’APS in tutte le sue diverse componenti; 2) cancellazioni del debito bilaterale dei PVS verso cui l’Italia vanta dei crediti sovrani (crediti d’aiuto e crediti commerciali assicurati dalla SACE) in attuazione della L. 209/2000. Essendo necessario un approccio graduale, il governo delinea il seguente calendario, che dovrà essere rivisto anno per anno fino al 2006 in base agli equilibri di finanza pubblica: nel 2003 lo 0,19-0,20 %; nel 2004 lo 0,23- 0,24 per cento; nel 2005 lo 0,27-0,28 per cento; nel 2006 lo 0,33 per cento. Inoltre il governo si è fatto promotore di un nuovo meccanismo di tipo fiscale (la de-tax), basato sul coinvolgimento, su base volontaria, del settore privato nel finanziamento dello sviluppo. Le risorse mobilitate in questo modo andrebbero ad aggiungersi all’assistenza pubblica ufficiale e nel complesso rafforzerebbero il contributo del nostro Paese allo sviluppo e alla lotta alla povertà.

L’esercizio di nuove o accresciute responsabilità istituzionali da parte del Ministero degli Affari Esteri richiederà un adeguato potenziamento infrastrutturale, da raggiungere in più anni anche mediante appositi provvedimenti legislativi, ed un ampliamento delle dotazioni di personale tramite concorso. In particolare, sarà indispensabile preparare tecnologicamente i suoi uffici all’estero a gestire una vasta gamma di servizi informatici a distanza rivolti ai cittadini ed alle imprese italiani. In tale prospettiva, dovrà proseguire il processo volto ad aumentare, compatibilmente con gli equilibri di finanza pubblica, l’incidenza percentuale della quota del Ministero degli Affari Esteri sul bilancio complessivo dello Stato, che resta attualmente – con il solo 0,30 per cento - drasticamente inferiore rispetto a quello di altri partners europei ed extraeuropei anche in valori assoluti.Gli Italiani nel Mondo

Dopo il conseguimento del diritto di voto ai cittadini italiani residenti all’estero, obiettivo del Governo è avviare una reale politica in favore delle nostre comunità all’estero, attraverso una serie di interventi non più procrastinabili. Questi interventi concernono più settori:

• Settore istituzionale.

• Settore sociale e previdenziale.

• Settore scolastico e culturale.

• Settore dei diritti.

• Interscambio e integrazione tra collettività italiane e tra queste e il paese di origine.

Sul piano legislativo, un Regolamento disciplinerà le modalità di attuazione della Legge 459/2001, che prevede l’esercizio del diritto di voto per corrispondenza da parte degli Italiani all’estero.

Anche in previsione del voto all’estero, verrà rafforzata sensibilmente la rete diplomatico-consolare, anche onoraria,con le risorse umane necessarie.

Verrà inoltre varata una riforma dei COMITES (Comitati degli Italiani all’estero) e una riforma del CGIE (Consiglio generale degli Italiani all’estero).

Compatibilmente con le risorse finanziarie che si renderanno disponibili, accanto alla parità dei diritti politici, sancita costituzionalmente, deve essere posta l’attenzione sulla garanzia della tutela dei cittadini italiani all’estero in campo sociale e previdenziale; ciò appare tanto più necessario, in quanto spesso la vita dei nostri connazionali all’estero si svolge in Paesi dalla struttura economica debole e priva delle garanzie sociali minime. Pertanto si ritiene necessario realizzare interventi in tale campo, anche attraverso l’ampliamento delle convenzioni internazionali di sicurezza sociale, che appaiono lo strumento più idoneo per assicurare la necessaria tutela in campo sociale e previdenziale ai cittadini italiani residenti all’estero.

Di particolare importanza sarà la realizzazione della cosiddetta "informazione di ritorno", ovvero della diffusione sul territorio nazionale di notizie concernenti l’attività delle comunità italiane all’estero.

Il Governo intende promuovere, nel quadro del rafforzamento dei legami delle collettività degli Italiani all’estero con la Madre Patria, una serie di convegni e di manifestazioni a carattere tematico.

Poiché inoltre le comunità italiane all’estero costituiscono una risorsa per l’Italia è opportuno, con adeguati provvedimenti, stimolare la collocazione in Italia dei risparmi dei nostri connazionali, nonché potenziare il ruolo delle comunità d’affari italiane all’estero, quale elemento di raccordo tra il Paese Estero e il tessuto produttivo italiano.

E’ altresì importante stimolare ulteriormente, anche attraverso iniziative permanenti di carattere culturale, l turismo di ritorno.

IV.2. La Pubblica Amministrazione, l’e-government e le Politiche di Razionalizzazione degli Acquisti

La Riforma della Pubblica Amministrazione

Le performance di un sistema-paese discendono anche dalla capacità del settore pubblico di progettare interventi per lo sviluppo e di erogare servizi adeguati alle esigenze dei cittadini e delle imprese.

Nei tempi e nei limiti compatibili con gli equilibri di finanza pubblica, gli obiettivi del Governo sono i seguenti.

I soggetti pubblici devono operare con la massima prossimità possibile al cittadino-utente in modo tale da interpretarne nel miglior modo possibile i bisogni e da far coincidere la qualità erogata con la qualità attesa dai cittadini.

La gestione dei servizi pubblici deve essere condotta attraverso una progressiva aziendalizzazione orientata al raggiungimento di standard di efficienza, efficacia, produttività ed economicità omogenei su tutto il territorio nazionale. L'efficienza gestionale può essere perseguita solo con l'introduzione di elementi di managerialità nella pubblica amministrazione che consentano il governo dei processi di riorganizzazione, la riallocazione delle risorse, il controllo di gestione, la valutazione di dirigenti e funzionari, l'individuazione delle esigenze formative.

Nell’ultimo anno, è proseguito il processo di riforma amministrativa e di semplificazione di norme e procedure, che si è tradotto in una consistente riduzione degli adempimenti amministrativi e in un conseguente risparmio di spesa per gli utenti.

Ad ottobre 2001 sono state introdotte una serie di misure dirette ad agevolare e semplificare il carico amministrativo per le imprese, sopprimendo una serie di adempimenti fiscali e contabili per un ammontare annuo di oltre 190 milioni di adempimenti.

Si prospetta, inoltre, nei limiti delle compatibilità finanziarie, l’apertura di Sportelli per lo Sviluppo che, alla luce dell’esperienza maturata con lo sportello unico alle imprese, costituiranno, oltre ad un punto di riferimento di carattere eminentemente burocratico, un vero e proprio centro di informazione, indirizzo e di raccordo tra amministrazione locale e la piccola e media impresa, per uno sviluppo coerente con la realtà sociale e territoriale.

In questo quadro, il Governo intende perseguire gli obiettivi di

• Snellimento delle strutture organizzative, anche attraverso la già disposta riapertura della delega della L. 59/97, la realizzazione del governo elettronico e il ricorso all’esternalizzazione .

• Ulteriore semplificazione delle regole e delle procedure, attraverso la riduzione quantitativa e il miglioramento qualitativo delle norme che regolano l’attività di cittadini, imprese e delle stesse pubbliche amministrazioni, e la diffusione dell’analisi preventiva dell’impatto delle regolamentazioni.

• Miglioramento della qualità dei servizi ai cittadini, alimentando la competizione fra pubblico e privato, esternalizzando le attività in cui la gestione pubblica non risulta indispensabile e promuovendo i processi di modernizzazione delle pubbliche amministrazioni mediante strumenti consensuali che coinvolgano istituzioni e utenti.

• Sviluppo dell’attività di formazione nelle Pubbliche amministrazioni attraverso un aumento degli investimenti nei limiti di compatibilità di finanza pubblica, verso il 2 per cento del monte salari e l’utilizzo delle moderne tecnologie informatiche.

• Diffusione, anche nel settore pubblico, dei modelli flessibili di lavoro e incentivazione della mobilità della dirigenza statale, anche a seguito dell’entrata in vigore della relativa legge di riforma.

• Rideterminazione delle risorse per i rinnovi contrattuali e per gli adeguamenti retributivi indicati nella legge finanziaria 2002, allo scopo di attribuire incrementi retributivi medi complessivi del 5,56 per cento relativamente al biennio 2002-2003, comprendendo l’ulteriore incentivo dello 0,99 per cento, previsto dai protocolli di intesa con le Organizzazioni Sindacali e in coerenza con gli accordi del comparto sicurezza, da destinare prevalentemente alla incentivazione della produttività dei dipendenti.L’e-government

Il miglioramento del livello di servizio della Pubblica Amministrazione nei confronti dei cittadini e delle imprese, attraverso l’uso delle nuove tecnologie, è un obiettivo primario del Governo, anche come catalizzatore di cambiamenti di portata più ampia.

Il piano di e-Government individua gli obiettivi essenziali per l’ammodernamento della PA: potenziamento dei servizi in rete ai cittadini e alle imprese, miglioramento dell’efficienza della PA, valorizzazione delle risorse umane, trasparenza e qualità dei servizi.

Allo scopo di perseguire l’efficienza e l’economicità dell’azione amministrativa, nonché la modernizzazione e lo sviluppo del Paese, verranno promossi progetti di grande contenuto innovativo, di rilevanza strategica, di preminente interesse nazionale, di carattere intersettoriale, assicurando il necessario coordinamento delle diverse amministrazioni. A tal fine si costituirà un apposito fondo per il sostegno dei progetti strategici.

La condivisione degli obiettivi e la cooperazione tra Governo, Regioni ed Enti Locali è un fattore chiave per la piena attuazione della nuova architettura federalista dello Stato, che vede nell’ICT una fondamentale leva per la sua attuazione.

Particolare importanza assumono le autonomie locali sia per le politiche di innovazione, sia per l’e-Government.

Al fine di proseguire nel sostegno alle politiche di innovazione avviate nel 2002 con i progetti di e-Government in tutte le Regioni, Province e nella maggior parte dei comuni italiani si intende rinnovare il fondo nazionale di cofinanziamento delle iniziative locali volte allo sviluppo di servizi ai cittadini ed alle imprese.

Per conseguire una maggiore razionalizzazione delle risorse e delle spese ICT si intende inoltre attuare nuovi modelli di gestione in grado di determinare sostanziali economie: (1) condivisione di applicazioni comuni e di infrastrutture (ad esempio reti telematiche, centri di calcolo e call center); (2) acquisti centralizzati e utilizzo di piattaforme di e-Procurement; (3) esternalizzazione di attività; (4) altri interventi.

Per la realizzazione delle diverse iniziative delle Amministrazioni centrali e locali fattori abilitanti di base sono: (1) portali nazionali per i cittadini e le imprese per facilitare l’accesso e la fruizione di servizi; (2) Carta d’identità elettronica/Carta nazionale dei servizi per la creazione di uno standard sicuro e diffuso di identificazione digitale; (3) evoluzione delle reti esistenti verso un sistema pubblico di connettività che renda perfettamente interoperabili tutte le reti della Pubbliche Amministrazioni centrali e locali con i necessari requisiti di sicurezza; (4) utilizzo di un’infrastruttura integrata di pagamento elettronico che permetta di effettuare transazioni con la PA secondo modalità sicure e certificate.Le Politiche di Razionalizzazione degli Acquisti di Beni e Servizi della Pubblica Amministrazione

L’andamento della spesa per acquisti di beni e servizi della Pubblica Amministrazione nel quadriennio 1998-2001 presenta un continuo aumento ed una crescente incidenza sul PIL. Per il 2002 è previsto un incremento contenuto della spesa (+1 per cento su 2001) con un’inferiore incidenza sul PIL (7,6 per cento verso 7,9 per cento nel 2001).(…)

Nell’anno 2001, mentre la spesa del comparto Stato ha mostrato una contenuta flessione, la spesa del comparto Sanità è aumentata in misura significativa (incremento di oltre 8 miliardi di Euro). In aumento anche la spesa da parte di Comuni e Province e da parte di Altri Enti.

È ferma intenzione del Governo procedere alla riduzione della spesa di beni e servizi attraverso un incisivo programma di razionalizzazione.L’ambito del programma di razionalizzazione di beni e servizi

Il Programma per la razionalizzazione della spesa per acquisto di beni e servizi opera secondo il sistema delle convenzioni nazionali accessibili a tutte le amministrazioni e svolge attività di sperimentazione attraverso l’utilizzo di nuove tecnologie informatiche (aste on-line).

Con riferimento alle convenzioni nazionali, il Programma è basato sulla definizione di convenzioni quadro con i fornitori, i cui beni e servizi offerti sono riflessi in negozi elettronici per gli acquisti on-line di tutte le Pubbliche Amministrazioni.

Per la realizzazione del Programma, il Governo si avvale della CONSIP S.p.A., interamente posseduta dal Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Il Programma permette di razionalizzare, attraverso il sistema delle convenzioni quadro, aggregati di spesa per beni e servizi della Pubblica Amministrazione pari a circa 33.200 milioni di Euro dei 96.661 complessivi. In tale ambito, nel 2001, il Programma ha realizzato convenzioni quadro su sedici categorie merceologiche, corrispondenti a una spesa della Pubblica Amministrazione pari a 4.280 milioni di Euro; la riduzione media dei costi unitari ottenuta attraverso le convenzioni quadro è stata del 33 per cento. L’obiettivo è di realizzare entro il 2006 interventi per la razionalizzazione di aggregati di spesa su almeno 40.000 milioni di Euro.

Tale allargamento prevede la progressiva copertura di ulteriori aggregati di spesa con l’obiettivo di realizzare interventi di razionalizzazione anche attraverso l’introduzione delle nuove tecnologie abilitanti per l’e-procurement. Su tali aggregati di spesa è prevista l’estensione del ruolo CONSIP come centrale di acquisto e polo di aggregazione della domanda della Pubblica Amministrazione.Gli obiettivi del Programma

Il Programma ha i seguenti obiettivi:

• riduzione dei costi unitari di acquisto, attraverso l’aggregazione della domanda e l’ottenimento di economie di scala; • contenimento dei consumi, attraverso il monitoraggio e la razionalizzazione dei volumi acquistati; • recupero di efficienza dei processi di acquisto della P.A., attraverso la semplificazione, la standardizzazione e l’automazione dei processi stessi; • supporto alla riduzione degli stanziamenti e dei trasferimenti per il finanziamento della spesa per beni e servizi, attraverso la definizione di un piano dei risparmi per il quadriennio 2003-2006, segmentato per tipologia di spesa e per comparto.

Il Programma mira a conseguire, quindi, un ulteriore contenimento della spesa per beni e servizi, oltre a quello consentito dai risparmi di costi unitari all’interno dell’attuale e nuovo ambito di interevento, attraverso il monitoraggio e la 98 razionalizzazione dei consumi, agendo quindi oltre che sulla variabile "prezzo" anche sulla leva "quantità".

Si prevede una prima fase di monitoraggio, che permetta di definire standard di consumo e spesa per categoria merceologica e per tipologia di ente. In una seconda fase gli standard individuati sono applicati a parametri specifici dei singoli enti, consentendo la razionalizzazione delle quantità acquistate ed il monitoraggio della spesa. Tale approccio consente altresì di avviare un sistematico benchmarking tra le Pubbliche Amministrazioni, in grado di evidenziare le best practices verso le quali far tendere il processo di spesa pubblica per beni e servizi.Gli effetti sulla spesa per beni e servizi

Il potenziale di riduzione di spesa del Programma al 2006 è pari a 7.900 milioni di Euro, di cui: 5.600 milioni di Euro derivano dalla riduzione dei prezzi degli aggregati di spesa; 2.500 milioni di Euro dal contenimento dei volumi acquistati.

A regime, l’impatto di riduzione della spesa sarà, quindi, pari al 8,2 per cento della spesa totale per beni e servizi della Pubblica Amministrazione, di cui 5,6 per cento imputabile all’effetto di riduzione dei prezzi unitari e 2,6 per cento all’ effetto contenimento volumi.

(…)

Il Programma consente, inoltre, di conseguire ulteriori benefici in termini di semplificazione delle procedure d’acquisto, riduzione dei tempi di accesso al mercato da parte delle Pubbliche Amministrazioni, recupero di efficienza e riqualificazione delle risorse interne per attività a valore aggiunto, trasparenza nei rapporti con il mercato.IV.3 Il patrimonio, le infrastrutture e la modernizzazione del Paese IV.

3.1 Gestione e valorizzazione del patrimonio pubblico A fronte di un debito pubblico molto ingente, lo Stato italiano possiede un patrimonio materiale e immateriale di grandi dimensioni. Solo una parte di tale patrimonio, tuttavia, è contabilizzata nel Conto generale del patrimonio dello Stato, non vi compaiono, per esempio, attività intangibili quali concessioni, diritti d’uso, new properties e parte del patrimonio immobiliare pubblico. Inoltre, il patrimonio contabilizzato, che include attività finanziarie, partecipazioni, beni mobili e immobili, è spesso a prezzi storici e non a prezzi di mercato. Conseguenza principale di questo fatto è che, mentre il passivo del bilancio dello Stato è tutto sul mercato, l’attivo patrimoniale lo è solo in parte.

Nel nostro Paese, da oltre cinquant’anni e, con un’accelerazione a partire dagli anni novanta, si sottolinea l’utilizzo poco efficiente che i poteri pubblici fanno delle proprie risorse patrimoniali. I canoni d’affitto pagati sui terreni e sugli edifici e su altri diritti d’uso e concessioni sono in gran parte al di sotto dei valori di mercato; la spesa per la manutenzione dei beni è alta e raramente compensata dal reddito che essi generano; infine, di una larga parte di questi beni si conosce poco, e quello che si conosce non è in grado di soddisfare esigenze di tipo economico e finanziario.

Quindi dalla gestione del patrimonio lo Stato ottiene rendimenti mediamente molto modesti, se non nulli o perfino negativi.

La contabilità pubblica e il sistema attuale di gestione non garantiscono né favoriscono un uso economico del patrimonio. È, dunque, necessario attuare una riforma del sistema, agendo direttamente sui meccanismi che stanno a monte del processo. Per un verso, attraverso una graduale riforma delle metodologie contabili relative al patrimonio, per l’altro attraverso la costituzione di Patrimonio dello Stato SpA una società per azioni che si propone di attuare un salto di efficienza nella valorizzazione del patrimonio dello Stato. Nella realizzazione di questa missione, i meccanismi propri e tipici della società per azioni costituiscono un incentivo particolarmente forte per indurre disciplina e buona gestione di queste attività, creando così il presupposto per la loro migliore valorizzazione.

Il graduale trasferimento dei beni in un’unica società per azioni, avrà come primo risultato quella di mettere ordine, attraverso una classificazione funzionale dei beni, nel vasto e frammentato patrimonio pubblico. La raccolta delle informazioni e, successivamente dei beni, permetterà innanzitutto una valutazione del valore attuale e dello stato del loro utilizzo.

La Patrimonio dello Stato SpA opererà con la massima trasparenza in modo da evidenziare i valori dei beni, il reddito prodotto, gli aumenti richiesti, le spese per la valorizzazione, le entrate da eventuali dismissioni. L’eventuale cessione a soggetti pubblici o privati di beni conferiti alla società avverrà attraverso procedure improntate a trasparenza ed efficacia, secondo criteri economici propri di una società per azioni che opera sul mercato. In questo modo emergerà il valore che si è riusciti ad estrarre dai beni e le inefficienze che si è riusciti a sanare. Questo dovrebbe anche stimolare gli uffici pubblici al calcolo economico, alla gestione razionale delle risorse pubbliche. Da ultimo, il processo si propone di riportare in un ambito economico anche gli scambi di beni e servizi all’interno della stessa amministrazione dello Stato, in modo da fare emergere il costo-opportunità dei singoli beni posseduti e utilizzati dal settore pubblico.

Il trasferimento di beni pubblici a Patrimonio dello Stato SpA non inciderà in alcun modo sui diversi vincoli che ne tutelano il carattere storico, artistico e paesaggistico. Ne consegue che i beni demaniali che fossero trasferiti alla società Patrimonio dello Stato SpA continueranno ad essere assoggettati al regime giuridico che li caratterizzava inizialmente. In particolare, come espressamente previsto dall’articolo 823 del codice civile, essi resteranno inalienabili.

Infine, il CIPE avrà il compito di definire le direttive di massima sugli indirizzi strategici della Società, che saranno quindi il frutto del coordinamento tra i ministeri 101 competenti, in particolare del Ministro per i beni e le attività culturali e del Ministro dell’ambiente e tutela del territorio.

Con la costituzione di Patrimonio dello Stato SpA si avvia una riforma strutturale del nostro sistema economico che va nella direzione di una gestione più trasparente ed economica dell’attivo dello Stato.

Riquadro:LE ESPERIENZE NEGLI ALTRI PAESI E LA LOGICA DELLA VALORIZZAZIONE DEI BENI PUBBLICI

Con l’iniziativa del Governo di avviare la valorizzare dei beni patrimoniali pubblici attraverso la costituzione della Patrimono dello Stato SpA, lo Stato italiano si pone, in questo particolare ambito dell’attività pubblica, all’avanguardia tra i paesi più avanzati. Da alcuni anni, infatti, molte nazioni hanno incominciato a porsi il problema della valorizzazione delle attività pubbliche; pochi, tuttavia, hanno preso iniziative concrete al riguardo. Ancora poco numerosi, ad esempio, sono quei paesi che hanno disposto un inventario dettagliato dei beni pubblici utilizzati dal Governo; meno ancora, sono quei paesi che hanno cercato di assegnare un valore di mercato a tali beni; quasi nessuno ha utilizzato tali valori nell’uso dei beni per finalità pubbliche. I vincoli di carattere economico (costo della valorizzazione), di carattere politico e sociale (difficoltà di fare emergere il costo-opportunità del bene pubblico e difficoltà nella determinazione del valore sociale del bene) e di carattere legale (cambiamento della destinazione d’uso) hanno spesso agito come forti deterrenti per avviare i necessari processi di riforma.

Dal punto di vista conoscitivo l’Italia, con l’istituzione della Commissione di indagine sul patrimonio pubblico nel 1985, è stata una delle prime nazioni del mondo ad avviare un serio processo di ricognizione. Tuttavia, la Commissione ha dovuto scontrarsi con serie difficoltà di reperimento dei dati, ma soprattutto poco ha potuto fare per stimare il valore di mercato dei singoli beni, il loro potenziale reddito ed esaminare le alternative possibili per un uso più produttivo. Il valore complessivo del patrimonio immobiliare pubblico è comunque stato stimato, in senso conservativo, in circa il 31 per cento del PIL del 1981; secondo una recente rivalutazione, effettuata dal Ministero dell’Economia e delle finanze sui dati della Commissione, tale valore sarebbe preliminarmente valutato in oltre il 70 per cento del PIL del 2001.

Recentemente, anche la Francia e il Regno Unito hanno avviato analoghi censimenti e hanno annunciato di voler intraprendere processi di valorizzazione e gestione economica dei beni pubblici prendendo esempio dal caso italiano.

Pionieristiche sono invece le esperienze dell’Australia e della Nuova Zelanda. Il bilancio statale di questi due paesi contiene attività finanziarie, attività patrimoniali e altri investimenti a prezzo di mercato al netto degli ammortamenti, mentre il conto economico misura e registra le entrate e le uscite ottenute dai singoli gruppi di attivi (titoli, partecipazioni, crediti, altri investimenti, beni mobili, beni immobili – come edifici, terreni, autostrade – e beni immateriali), e misura attraverso indici di performance la loro redditività.

I casi dell’Australia e della Nuova Zelanda sono stati recentemente presi ad esempio anche dagli Stati Uniti. In particolare, molto è stato fatto a livello di singoli stati per aggiornare gli inventari dei beni secondo valori di mercato, anche al fine di ottenere un miglior merito di credito da parte delle Agenzie di Rating sull’indebitamento bancario e sull’emissione di obbligazioni municipali.

Negli ultimi anni, quindi, molti paesi hanno incominciato a occuparsi della valorizzazione dei beni pubblici e alcuni di essi hanno già tradotto le riflessioni in azioni politiche. La prima delle azioni intrapresa è stata quella di creare inventari centralizzati secondo criteri funzionali di mercato. Così hanno fatto o stanno attualmente facendo, in ordine cronologico, l’Italia, la Nuova Zelanda, l’Australia, il Regno Unito e la Francia. Secondo passo è stato quello di introdurre nuovi principi e metodologie contabili per meglio registrare e seguire la creazione di valore dei beni. Il terzo passo, che solo in pochi per il momento hanno compiuto, è quello di avviare azioni concrete per la valorizzazione e per una loro gestione economica.

Con la nascita di Patrimonio dello Stato SpA, lo Stato italiano si pone così tra le prime nazioni al mondo in un settore importante ed innovativo delle politiche pubbliche e nell’evoluzione verso il mercato della contabilità dello Stato.IV.3.2 I nuovi interventi per le opere pubbliche: Infrastrutture SpA La creazione del mercato unico europeo ha comportato l’affermazione di un modello di Stato che non interviene direttamente nei processi produttivi, ma che favorisce – anche attraverso apposite istituzioni – lo svolgimento di determinate attività organizzate e gestite da operatori privati che agiscono in concorrenza tra di loro. Tra tali attività rientrano anche quelle relative alla realizzazione e gestione di opere di pubblica utilità.

In questa logica il Governo ha costituito Infrastrutture S.p.A., una società di capitali, creata dalla Cassa depositi e prestiti, nell’ambito delle linee guida dettate dall’art. 47 della legge Finanziaria per l’anno 2002, con la qualifica di intermediario finanziario, e come tale sottoposta alla vigilanza della Banca d’Italia.

Infrastrutture SpA si propone di favorire il maggiore coinvolgimento possibile di soggetti privati nella realizzazione e gestione di importanti opere infrastrutturali pubbliche e opere per lo sviluppo, attraverso finanziamenti prevalentemente di lunga durata . In tale ambito, essa perseguirà logiche di economia di mercato in aree di investimento che, fino ad oggi, sono state tipiche attività d’intervento pubblico.

Con la creazione di Infrastrutture SpA, il nostro Paese si dota di una tipologia di intermediario finanziario simile a quella già presente da tempo in altri paesi europei (v. Riquadro).

Nella scelta degli investimenti di co-finanziamento, Infrastrutture SpA opererà come un qualunque altro intermediario finanziario, scegliendo gli interventi in base ad una valutazione di pura finanziabilità dell’opera. In altre parole, le scelte di 103 Infrastrutture SpA saranno orientate dagli stessi principi che giustificano l’intervento dei finanziatori privati. Nella ricerca dell’equilibrio economico e finanziario di Infrastrutture SpA avrà un ruolo preminente la partecipazione di altri soggetti di mercato nella realizzazione delle infrastrutture finanziate. Così come altre istituzioni analoghe che operano già da tempo in altri paesi europei, anche Infrastrutture SpA utilizzerà la tecnica della finanza di progetto. Essa rappresenta quindi un’occasione per contribuire allo sviluppo, anche in Italia, di una tecnica finanziaria che finora ha avuto minore diffusione che in altri paesi, attraverso:

• l’accentramento e successivo sviluppo in Infrastrutture SpA di competenze specifiche nella valutazione dei progetti. Queste competenze saranno complementari a quelle che si stanno sviluppando nel settore bancario italiano, accelerando la propensione generale del sistema verso la finanza di progetto; • complementarietà e stimolo dell’intervento privato; • disponibilità di finanziamenti a lungo periodo a complemento dei finanziamenti a scadenze più brevi, tipicamente offerti dal settore bancario privato.

La nuova Società risponderà così sia ad una richiesta del mercato e sia ad una esigenza pubblica, creando un circolo virtuoso tra le finalità imprenditoriali del privato e gli obbiettivi di sviluppo e maggiore efficienza interna del settore pubblico.

Infrastrutture SpA, per un efficiente esercizio della sua funzione, sarà dotata di una struttura patrimoniale solida e di un impianto organizzativo snello e qualificato.

Essa dovrà attuare una politica degli impieghi capace di una razionale diversificazione dei rischi, tale che il profilo rischio-rendimento dell’attivo consenta, data la struttura del passivo, un ottimale equilibrio economico e finanziario. Tali elementi concorreranno a sostenere un elevato merito di credito, consentendo ad Infrastrutture SpA di operare sul mercato in maniera efficiente, così che la prevista garanzia dello Stato debba essere considerata una mera eventualità.

Riquadro: LE ESPERIENZE ESTERE DI FINANZIAMENTO DELLE OPERE INFRASTRUTTURALI E’ emersa in Europa una comune esigenza degli Stati a dotarsi di intermediari finanziari specializzati nel finanziamento di opere infrastrutturali che, pur 104 necessitando di finanziamenti di lungo periodo, sono capaci di generare un reddito sufficiente a coinvolgere in misura significativa capitali privati.

Con la costituzione di Infrastrutture SpA l’Italia si dota di un strumento già presente in altri Paesi europei (KFW in Germania; OKB in Austria; ICO in Spagna). Si tratta di soggetti che emettono debito a lungo termine, beneficiano della garanzia dello Stato e operano, sempre più spesso, insieme ad operatori privati.

Attraverso questo tipo di istituzioni sono finanziate piccole e medie imprese, il credito all'esportazione e, attraverso il ricorso alla finanza di progetto, infrastrutture ed opere di interesse pubblico.

In Germania opera la KFW, una banca pubblica detenuta per l'80 per cento dal Governo federale tedesco e per il 20 per cento dalle autorità locali (Lander). La sua attività si svolge a favore del Governo tedesco ed è soggetto alla supervisione del Ministero delle Finanze. La costituzione di KFW risale al 1948, quando fu avviata come una banca di sviluppo per la ricostruzione della Germania. La banca promuove lo sviluppo dell’economia tedesca garantendo prestiti per investimenti di lungo periodo, crediti all’esportazione e finanza di progetto. Più recentemente la KFW ha partecipato all’opera di ristrutturazione industriale e infrastrutturale della Germania dell’Est e alle privatizzazioni. KFW, inoltre, concede prestiti a istituzioni creditizie destinati a finanziamenti a piccole e medie imprese tedesche.

Nel 2001 la KFW ha concesso prestiti per un totale di 10,7 miliardi di euro, di cui 4,1 in opere infrastrutturali e 6,6 a favore delle piccole e medie imprese (si veda tabella 1). Nel primo gruppo, la quota maggiore è costituita dai diversi settori dei trasporti (navale, aereo e reti di trasporto); quote considerevoli sono state assunte da industria e ambiente, energia e costruzioni e telecomunicazioni. Secondo la KFW il finanziamento alle piccole e medie imprese nel 2001 ha contribuito ha creare 42 mila nuovi posti di lavoro.

In Austria opera la OKB, una banca di lungo periodo prevalentemente concentrata nei finanziamenti all’esportazione. Costituita nel 1946 ha avuto negli anni un ruolo centrale nello sviluppo dell’economia austriaca. La OKB è un’agenzia pubblica in forma di società per azioni posseduta da alcune delle principali banche tedesche e dalla Banca d’Austria . I progetti finanziati dalla OKB beneficiano della piena garanzia della Stato. La banca è sottoposta alla vigilanza della banca centrale.

In Spagna opera ICO, controllato dal Ministero dell’economia ma con personalità giuridica privata, nella forma di entità pubblica di impresa. La banca è stata fondata nel 1971 con la missione di sostenere e promuovere lo sviluppo economico nazionale nei settori di pubblica utilità, favorendo la nascita di nuove imprese e lo sviluppo di settori ad alta tecnologia e altre attività quali la cultura (cinema e media) e la ricerca nel campo delle energie alternative. Così come le sue omologhe europee, anche ICO finanzia progetti di interesse pubblico che necessitano di finanziamenti di lungo periodo, condividendoli con soggetti privati. La vigilanza sulla banca viene esercitata dalla banca centrale spagnola.(…)Nel 2000, ICO ha concesso nuovi prestiti per un totale di 3,7 miliardi di euro, di cui 1,4 per il finanziamento di infrastrutture su larga scala e 2,3 a favore delle piccole e medie imprese (si veda tabella 1). La quota che riguarda le infrastrutture, che ha fatto ampio ricorso alla tecnica della finanza di progetto, è concentrata prevalentemente nei settori dell’energia e dei trasporti. Secondo stime della banca i finanziamenti alle piccole e medie imprese nel 2000 hanno contribuito alla creazione di oltre 30 mila nuovi posti di lavoro.La finanza di progetto

La finanza di progetto, nata negli Stati Uniti intorno agli anni trenta per finanziare le grandi opere avviate con il New Deal, ha trovato vasta applicazione in Europa a partire dagli anni ottanta, in particolare nel Regno Unito. In un contesto internazionale caratterizzato da una diffusa esigenza di contenimento del disavanzo pubblico e di miglioramento della qualità dei servizi pubblici prestati, la finanza di progetto ha consentito di realizzare infrastrutture tramite l’equilibrio tra interesse pubblico e interesse privato, divenendo, in molti Paesi, uno degli strumenti della politica governativa di sviluppo.

La diffusione della finanza di progetto è stata in Italia più limitata rispetto ad altri Paesi europei quali il Regno Unito, concentrandosi nella seconda metà degli anni novanta nel settore dell’energia e delle telecomunicazioni .

Le ragioni del minore sviluppo di questa tecnica nel nostro Paese sono legate a ragioni di natura generale e culturale, nonché a taluni aspetti del nostro sistema giuridico e del nostro sistema bancario. Tra queste, si sottolineano le seguenti:Difficoltà che derivano dall’aver introdotto uno strumento squisitamente privatisitico nell’alveo del complesso sistema amministrativo italiano.

La tecnica della finanza di progetto è principalmente utilizzata nei Paesi di common law come uno strumento privatistico, complesso, ma nel cui alveo entrambe le parti, settore pubblico e settore privato, attraverso una corretta negoziazione , giungono alla definizione delle rispettive obbligazioni contrattuali. Lo stesso non è vero in Italia

(…)

dal momento che l’introduzione del principale modello di finanza di progetto è stato incardinato nella legge-quadro in materia di lavori pubblici, disciplina che, per sua natura, impone una maggiore tutela del settore pubblico, il che limita la capacità negoziale del settore privato.Complessità dei processi amministrativi e inadeguatezza del quadro normativo.

L’aver ricondotto il contratto di finanza di progetto nel contesto del sistema amministrativo ha fatto sì che tali attività risentano della complessità dei processi amministrativi relativi ad autorizzazioni ed altri atti della Pubblica Amministrazione. Peraltro, anche in ambito civilistico si riscontrano delle distonie, rispetto al modello internazionalmente utilizzato, che limitano il ricorso all’istituto della finanza di progetto: si consideri, ad esempio, che il sistema giuridico italiano contempla solo garanzie reali.Minore cultura di progetto nel sistema bancario.

La finanza di progetto richiede tipicamente competenze specifiche. Tali competenze sono più facilmente riscontrabili in sistemi bancari caratterizzati da grandi banche internazionali con una tradizionale attenzione all’analisi del credito e dei progetti finanziati dal credito. Il nostro sistema bancario, caratterizzato storicamente dalla frammentazione e dall’erogazione del credito a realtà industriali consolidate (corporate finance), piuttosto che a progetti specifici, ha avuto in passato minore accesso a tali competenze.Scarsa disponibilità di fondi a lungo periodo.

Il sistema bancario italiano presenta una tradizionale scarsa propensione ad erogare finanziamenti oltre il medio periodo. I finanziamenti a lungo termine hanno il maggior livello di peso per i rapporti di capitale di vigilanza (coefficiente di rischio pari a 100 per cento) e tendono quindi ad assorbire una quantità più elevata di capitale. Questo aspetto è particolarmente penalizzante per le banche italiane, caratterizzate da livelli relativamente bassi di capitalizzazione. Allo stesso tempo, lo scarso sviluppo passato del mercato delle obbligazioni industriali non ha permesso l’utilizzo di forme di finanziamento complementari al finanziamento bancario, quali ad esempio le obbligazioni emesse dalle società di progetto.IV.3.3 La legge obiettivoL’entrata in vigore della legge 21 dicembre 2001, n.443, la c.d. Legge obiettivo, conferisce delega al Governo in materia di infrastrutture e insediamenti produttivi strategici e altri interventi per il rilancio delle attività produttive. La Legge nasce per dare una concreta risposta al programma di Governo, come esposto nel DPEF 2002- 2006, che prevedeva la realizzazione di un programma di opere strategiche per 52.000 milioni di euro ed è fortemente incentrato, sull’accelerazione dello sviluppo economico del Paese, attraverso un importante rilancio della politica infrastrutturale, 107 di sostegno alla domanda globale interna, nel rispetto di limiti di bilancio e del patto di stabilità interno.

Le opere considerate dalla Legge sono quelle di prevalente interesse nazionale e tali da accelerare la modernizzazione e lo sviluppo del Paese, avendo come obiettivo il riequilibrio economico e sociale dei diversi territori, con particolare attenzione al Mezzogiorno. L’individuazione è effettuata sulla base di un programma che, approvato con la procedura stabilita dalla Legge, è inserito nel DPEF con indicazione degli stanziamenti necessari per la loro realizzazione.

Tra gli scopi della Legge vi è quello di consentire al Governo di adottare, nel rispetto dei nuovi equilibri costituzionali Stato-Regioni, e quindi d’intesa con queste, una serie di strumenti legislativi atti a semplificare ed accelerare le procedure di aggiudicazione di quelle infrastrutture, e insediamenti produttivi, considerati, in funzione delle caratteristiche esposte, strategici per il Paese. Tale obiettivo ha come unico limite il rispetto dei principi comunitari e deve articolarsi attraverso il perseguimento di una serie di criteri direttivi, tra i quali vale menzionare:

• la centralità del ricorso alla tecnica della finanza di progetto, per finanziare, attraverso l’uso del capitale privato, la realizzazione delle succitate infrastrutture;

• l’affidamento della realizzazione, a seguito di gara di evidenza pubblica, a un unico contraente generale o concessionario; • una generale semplificazione degli istituti giuridici e delle procedure di affidamento, così da ricondurre il quadro giuridico italiano in coerenza con le direttive comunitarie, tanto dal punto di vista delle norme sostanziali, che procedurali;

• la centralità dell’attività svolta dal CIPE in termini di approvazione della programmazione delle opere strategiche, inclusa la fase istruttoria, e di identificazione dei fondi disponibili;

Nel contesto descritto, il Governo ha proceduto all’identificazione del 1° programma di infrastrutture e insediamenti produttivi da realizzare, approvato dal CIPE, nella seduta del 21 dicembre 2001, in via programmatica. Detto programma, elaborato sulla base di una verifica delle esigenze del Paese condotta dal Ministero delle infrastrutture – in collaborazione con il Ministero per gli affari regionali – attraverso un confronto ed un’intesa con le singole Regioni, ha formato oggetto di 108 attento esame nelle riunioni preparatorie della seduta CIPE. Il programma è articolato per sottosistemi che investono i macrocomparti della mobilità nelle sue varie componenti (valichi, ferrovie, viabilità, porti, interporti, sistemi urbani, etc.), dell’emergenza idrica nel Mezzogiorno, energetico e delle telecomunicazioni. Il programma individua gli interventi in una logica complessiva di sistema, che – per quanto attiene in particolare agli investimenti per la mobilità – è coerente con il disegno di rete tracciato dal Piano Generale dei Trasporti e presuppone una lettura integrata degli interventi medesimi e di quelli ricompresi nei piani dei singoli settori trasportistici. Include opere di grande rilevanza, tra cui il "Ponte sullo Stretto", inteso a risolvere il problema del collegamento stabile tra la penisola e la Sicilia che già aveva indotto il Parlamento ad approvare, nel 1971, una legge ad hoc.

Gli investimenti complessivi previsti ammontano a 125.858 milioni di euro, di cui il 45 per cento da destinarsi ad infrastrutture locate nel Mezzogiorno. Rispetto al totale, le previsioni di spesa per il primo triennio sono di 24.204 milioni di euro, e in particolare la percentuale da destinare al Mezzogiorno è stata identificata nel 46,5 per cento circa.

Il CIPE si è riservato una approfondita ricognizione di ciascun intervento, sulla base della istruttoria e delle proposte che saranno fornite dal Ministero delle Infrastrutture, esaminando in particolare le fonti di finanziamento specifiche, e, una volta approvato il collegato infrastrutturale, di ricostruire il quadro finanziario triennale, la cui copertura per risorse disponibili, comprendente quelle previste in leggi precedenti, nonché quelle recate dal disegno di legge collegato alla finanziaria 2002, è in corso di definitiva approvazione da parte del Parlamento.

Le prossime leggi finanziarie garantiranno la copertura aggiuntiva fino a raggiungere l’impegno globale assunto dal Governo nel DPEF dello scorso anno e, al tempo stesso, incentiveranno sempre più le soluzioni che coinvolgono capitali privati nella realizzazione delle grandi infrastrutture.

La delibera CIPE, al fine di promuovere il coinvolgimento del capitale privato presupposto dal menzionato D.P.E.F 2002-2006 e ribadito nella legge n. 443/2001, prevede che l’Unità tecnica Finanza di progetto (istituita presso il Comitato dalla legge n. 144/1999), proceda ad effettuare studi pilota selezionati, anche con riguardo alle finalità di riequilibrio socio-economico tra le varie aree del Paese, dai due Ministeri prioritariamente competenti in materia: alcuni di detti studi sono stati già individuati.

L’inserimento di tutti gli interventi individuati nel Programma nelle Intese Generali Quadro, nelle Intese istituzionali di programma e nei relativi Accordi di programma quadro potrà consentire di avvalersi di meccanismi di semplificazione e di monitoraggio propri di quegli strumenti.

In base all’art.1, comma 2 della Legge, il Governo è delegato a emanare uno o più decreti legislativi volti a definire l’iter procedurale finalizzato alla celere realizzazione delle infrastrutture individuate nel summenzionato programma. Tale delega è stata raccolta dal Ministero delle Infrastrutture che ha predisposto uno schema di legge delegata, il cui iter approvativo è in corso. Il Governo conta di predisporre ulteriori strumenti legislativi in applicazione della delega conferitagli per mezzo della Legge.

Si riportano quegli interventi che, sempre all’interno del Programma approvato dal CIPE nel dicembre 2001, costituiscono per dimesione, per incivisità sul territorio e per rilevanza a scala internazionale, le opere chiave dell’intera operazione attivata dal Governo con la citata delibera. E’ utile ricordare che il Mezzogiorno rappresenta in tale quadro oltre il 47 per cento degli investimenti.IV.3.4 La politica dei trasporti

Attualmente il settore dei trasporti in Italia presenta gravi carenze di tipo infrastrutturale e gestionale; questa situazione determina un freno all’espansione delle regioni più avanzate del paese e un’inibizione dello sviluppo delle aree più arretrate.

Il settore del trasporto merci e logistica italiano risulta caratterizzato da operatori che hanno una debole struttura imprenditoriale, anche a causa del deficit di

(…)

concorrenza, che li porta ad essere in una posizione subalterna rispetto ai concorrenti esteri, i quali sono più strutturati per dimensione, per capacità imprenditoriale e per livello organizzativo e tecnologico. Sono necessari quindi provvedimenti volti a ridurre questo svantaggio competitivo. In tale ottica, soprattutto dopo le forti penalizzazioni subite nell’ultimo biennio dal blocco di alcuni transiti lungo l’arco alpino, penalizzazioni che hanno raggiunto nel 1° trimestre 2002 un valore superiore ai 3.000 milioni di euro, occorrerà prevedere nei prossimi strumenti normativi, azioni mirate a supportare tutte le iniziative che rendano efficiente il sistema logistico e restituiscano alle aziende di trasporto quanto hanno perso in termini di efficienza proprio in questo ultimo biennio. E’ opportuno ricordare che sul tema dei valichi il Governo ha già prospettato in sede comunitaria questa grave emergenza che incrina la competitività dei nostri processi produttivi, soprattutto se si tiene conto che il volume di circa 135 milioni di tonnellate di merci, transitate lungo l’arco alpino nell’anno 2001, rappresenta oltre il 35 per cento del volume globale di import-export dell’Italia.

Sul territorio italiano si riscontra una disomogeneità nella dislocazione e nell’efficienza delle infrastrutture; la politica degli investimenti perciò dovrebbe essere affrontata in termini di potenziamento infrastrutturale e di aumento dei livelli di efficienza, in termini di qualità, affidabilità, e sicurezza.

Una condizione essenziale per consentire la riqualificazione del Mezzogiorno è legata alla qualità dell’offerta dei servizi da parte dei soggetti preposti alla gestione dei servizi di trasporto in quest’area.

Il Sistema Nazionale Integrato dei Trasporti (SNIT) dovrebbe dare un contributo alla chiara ripartizione delle competenza e delle responsabilità tra i diversi livelli di governo, garantendo un maggior coordinamento tra i vari soggetti pubblici, evitando così ritardi, e dispersione delle risorse economiche nella realizzazione degli interventi.

Un obiettivo particolare, anche alla luce di quanto definito dal Libro Bianco dell’Unione Europea, sarà quello di incentivare sia le forme di intermodalità che di interoperabilità (con particolare riferimento al settore ferroviario e marittimo).

Questa scelta non è mirata a penalizzare la modalità stradale, bensì ad ottimizzare i processi logistici, telematici, informatici e tecnologici, evitando in tal modo che segmenti essenziali, come la rete ferroviaria ed il sistema di trasporto via mare, non partecipino al processo organico dell’offerta di trasporto. Senza dubbio lo squilibrio verso la strada è stato generato dall’effetto dei processi di terziarizzazione e dei nuovi modelli di organizzazione della produzione e non ha trovato contestualmente un tessuto connettivo trasportistico capace di rispondere alla evoluzione della produzione e dei consumi e alla conseguente organizzazione del territorio.

L’incremento del traffico su gomma è all’origine di esternalità negative per impatto ambientale e incidentalità. Per ridurre questo squilibrio, alla luce anche degli obblighi imposti dal Protocollo di Kyoto, è prevista la promozione del cabotaggio, l’incremento dell’uso delle vie fluviali e della ferrovia e l’incremento della quota di domanda di trasporto pubblico. Tra gli obiettivi del Governo vi è quello di sostenere la liberalizzazione del settore ferroviario in modo da accrescere la quota di merci trasportata da questa modalità e incentivare il trasporto combinato dando contemporaneamente piena attuazione ai progetti delle "autostrade del mare". In tale ottica un ruolo determinante svolgono i nodi portuali ed in particolare i soggetti preposti alla gestione; cioè le Autorità portuali alle quali andrà sempre più riconosciuta una autonomia finanziaria e per le quali sarà messa allo studio la possibilità di recupero di una quota percentuale delle entrate doganali. Fermo restando che tali risorse siano destinate alla realizzazione delle opere previste nei programmi di infrastrutturazione definiti dal CIPE.

Nell’ottica di riduzione dei costi esterni particolare attenzione dovrà essere rivolta al riequilibrio modale attraverso il contenimento delle mobilità a maggiore impatto ambientale e lo sviluppo di servizi telematici alternativi alla mobilità.

In quest’ottica si inseriscono anche gli interventi volti a ridurre i rischi legati al trasporto di sostanze pericolose sia via mare che via terra.

Nella realizzazione degli interventi è tuttora scarso il coinvolgimento delle risorse private. L’approccio della finanza di progetto potrà dare un valido contributo all’impiego delle risorse di mercato e della capacità operativa dei soggetti privati.

Un punto nevralgico per il trasporto è rappresentato dalle aree urbane e metropolitane dove, a causa della concentrazione di attività residenziali e produttive, vi è un’elevata densità di mobilità. Il Governo intende integrare le politiche territoriali già avviate tramite la promozione di iniziative innovative finalizzate alla riqualificazione ed al rinnovamento dei sistemi urbani e metropolitani. A tale scopo il Governo intende operare secondo quattro assi rispondenti ciascuno ad altrettanti obiettivi di riqualificazione e rinnovamento dei sistemi urbani e metropolitani. Tali assi in particolare riguardano: la riqualificazione delle periferie, la riqualificazione di ambiti urbani in declino, la riqualificazione e ammodernamento delle reti infrastrutturali in funzione dello sviluppo sostenibile, le Società di trasformazione urbana.

In questo contesto il Governo, anche al fine di recuperare i ritardi infrastrutturali che ancora caratterizzano il Paese rispetto al resto d’Europa, intende perseguire i seguenti obiettivi:

• Individuare gli strumenti necessari all’attuazione delle politiche disegnate nei Piani Generali dei Trasporti approvati negli ultimi anni, dando certezza al percorso progettuale ed eliminando i vincoli normativi che ne hanno impedito la realizzazione.

• Dare piena attuazione ai provvedimenti che il Governo ha approvato nell’ultimo anno: la legge Obiettivo, la delibera CIPE del 21 dicembre 2001, il disegno di legge collegato alla Finanziaria 2002.

• Rafforzare lo snellimento delle procedure e dare chiarezza al quadro programmatico nel settore dei trasporti ancorandolo alle scelte strategiche del Paese, coerentemente con quanto stabilito dalla legge Obiettivo.

• In linea con i contenuti del disegno di legge collegato alla Finanziaria 2002, traguardare e attuare le seguenti finalità:

-aggiornamento dell’ultimo Piano Generale Trasporti; -accelerazione dei lavori pubblici attraverso la revisione della relativa normativa (legge Merloni); -identificazione delle modalità capaci di coinvolgere capitali privati e, al tempo stesso, capaci di accedere ai fondi previsti dall’Unione Europea, in modo da attuare il programma definito dal CIPE nella seduta del 21 dicembre 2001; -miglioramento della sicurezza nelle varie modalità di trasporto; -adeguamento delle normative relative al trasporto rapido di massa; -realizzazione del Piano triennale dell’Informatica nel sistema dei trasporti e della logistica; -rilancio del cabotaggio e delle intermodalità.IV.4 IL PROGETTO MEZZOGIORNO

Nella strategia del Governo continua ad assumere un ruolo centrale l’obiettivo di rilanciare il Sud del Paese, mirando a chiudere progressivamente i divari che ancora lo separano dal resto d’Europa, accrescendo il benessere dell’area, e facendone fattore propulsivo della crescita dell’intera Italia. In particolare, il Governo, attraverso un forte impulso degli investimenti d’impresa, della produttività e della competitività, mira a portare il tasso di crescita del Mezzogiorno a superare significativamente e a lungo il tasso di crescita medio europeo e a ridurre drasticamente il disagio sociale, elevando fortemente il tasso di attività della popolazione in età lavorativa.

L’accelerazione dello sviluppo al Sud può dare un contributo determinante nel raggiungere entrambi gli obiettivi europei di coesione economico-sociale e di stabilità finanziaria sanciti dal Trattato di Amsterdam. Sviluppo e coesione, specie se attuati con criteri di efficienza e rigore, possono dare alla stabilità finanziaria un forte contributo.IV.4.1 Gli obiettivi programmatici

A seguito di un prolungato sottoinvestimento in capitale pubblico, dell’inefficienza e inefficacia della spesa realizzata e della debolezza delle strutture dell’amministrazione pubblica, il Mezzogiorno ha accumulato, rispetto al resto del paese, un grave divario in termini di infrastrutture materiali e immateriali. Questo divario deve essere colmato attraverso un forte intervento aggiuntivo. Con il miglioramento sostanziale nelle comunicazioni, materiali e virtuali, nella logistica e sicurezza, nella ricerca e formazione, nella valorizzazione del patrimonio culturale e naturale, si potrà realizzare un balzo nella produttività e negli investimenti; ne è però condizione irrinunciabile il conseguimento di un grado essenziale di stabilità nell’erogazione dei servizi primari quali acqua ed energia.

Accelerazione e qualificazione degli investimenti pubblici e cofinanziati da privati in infrastrutture di servizio, materiali e immateriali; attuazione di progetti di qualità e integrati localmente; modernizzazione dell’amministrazione pubblica; promozione diretta degli investimenti privati: sono questi i quattro principali assi di intervento.

Essi verranno perseguiti con il rafforzamento di un impegno finanziario aggiuntivo in 115 termini di spesa in conto capitale e con la previsione di risorse ordinarie adeguate e opportunamente perequate. L’impegno finanziario aggiuntivo sarà concentrato nel "Fondo comunitario" e in un "Fondo nazionale per lo sviluppo", che raccoglierà le risorse nazionali tradizionalmente destinate alle "aree depresse" e al relativo Fondo, che sarà così ridenominato.

Si tratta di una strategia che mira a utilizzare pienamente le vaste risorse – umane, culturali e naturali – scarsamente utilizzate del Mezzogiorno, creando nuove opportunità di investimento e lavoro, che non potrebbero essere offerte da altre aree del paese. Esiste così e si rafforza una complementarietà fra i mercati delle due aree del paese e fra l’obiettivo di uno sviluppo accelerato del Mezzogiorno e il proseguimento della crescita nel Centro-Nord del paese. Saranno funzionali a questa complementarietà e coesione sia la riduzione decisa del gap infrastrutturale del Sud sia la realizzazione di un nuovo, forte progetto di marketing territoriale.

Il Governo opera in questo ambito in stretto e continuo partenariato istituzionale con le Regioni alle quali molte responsabilità sono state trasferite per norma costituzionale (nel caso delle risorse ordinarie) o per scelta politica (nel caso delle risorse aggiuntive, che, sempre per norma costituzionale - art. 119, comma 5 - lo Stato centrale destina "per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona"). Oltre che con le Regioni del Mezzogiorno, stretto e continuo è anche il partenariato istituzionale con le Regioni del Centro-Nord, anche in considerazione del fatto che l’intervento speciale a fini di riequilibrio economico e sociale è esteso a tutte le "aree sottoutilizzate" - espressione che meglio di quella correntemente in uso di "aree depresse" coglie le opportunità competitive racchiuse in un più alto utilizzo del potenziale - e forti somiglianze hanno i criteri programmatici di intervento nelle due aree del paese.

Il risultato da conseguire nel Sud è sintetizzato dagli obiettivi che il Programma concordato con la Commissione Europea ha fissato per la progettazione e per la realizzazione delle spese in conto capitale negli anni fino al 2008. Tali obiettivi riguardano sia il contesto economico-sociale, sia, più direttamente, il livello e la qualità delle infrastrutture. Essi danno dimensione concreta al miglioramento di benessere a cui il progetto Mezzogiorno mira e permettono il monitoraggio dei risultati conseguiti durante il percorso di convergenza.(…)

Alcuni di questi obiettivi vengono riportati di seguito e commentati nel riquadro; verranno poi aggiornati e discussi in dettaglio nel V Rapporto del Dipartimento per le Politiche di Sviluppo. I dati mostrano che alcuni risultati stanno seguendo il percorso programmatico. Per altri, invece, come l’erogazione dell’acqua, addirittura si accresce il livello di divario; altri ancora, come il grado di utilizzazione del mezzo ferroviario di comunicazione, mostrano notevole volatilità di breve termine e sostanziale invarianza di medio termine (….

Questi e altri obiettivi "fisici" del Progetto Mezzogiorno devono diventare, assieme all’obiettivo generale del tasso di crescita, punto di riferimento di tutte le azioni intraprese, dalle Regioni come dallo Stato. Devono costituire il metro con cui orientare oggi ogni decisione di spesa, con cui giudicare domani la sua efficacia, e devono quindi essere considerati come priorità dell’indirizzo strategico del Governo e delle Regioni.

OBIETTIVI DI INFRASTRUTTURAZIONE

I servizi che il Programma comunitario si propone di migliorare sono monitorati attraverso opportuni indicatori. Per ogni indicatore sono stati definiti valori obiettivo che incorporano i risultati attesi della realizzazione degli interventi programmati. Il quadro informativo che ne deriva consente di identificare in modo puntuale le criticità esistenti e di valutare nel corso del tempo l’impatto delle azioni intraprese. Consente anche di identificare le specifiche responsabilità di indirizzo che, in un Programma dove la gestione è in prevalenza affidata alle Regioni, sono assegnate alle singole Amministrazioni centrali: per svolgere tale funzione, queste ultime hanno ricevuto ampie risorse per "assistenza tecnica".

Con riguardo alle infrastrutture e ai servizi idrici, i risultati dell’indagine svolta dall’Istat sull’irregolarità nell’erogazione dell’acqua indicano che nel 2000 28 famiglie su 100 segnalavano irregolarità, a fronte di circa 8 nel Centro-Nord, con un peggioramento negli anni più recenti. Le Regioni più disagiate risultano Calabria, Sardegna e Sicilia.

(…)

Il notevole miglioramento previsto per la fine del Programma (riduzione a circa il 14 per cento delle famiglie interessate da irregolarità) tiene conto degli ingenti stanziamenti previsti a favore del settore idrico e dell’adeguamento istituzionale e organizzativo del settore oggi effettivamente in atto in diverse regioni del Sud. Nella stessa direzione agiscono le linee guida sull’approvvigionamento idrico in agricoltura e sullo sviluppo dell’irrigazione approvate dal CIPE.

Anche nella frequenza di utilizzazione dei treni, il Mezzogiorno appare largamente al di sotto del Centro-Nord (…). La diversificazione regionale interna appare assai marcata. Il valore obiettivo ipotizza significativi miglioramenti nell’offerta di trasporto ferroviario, connessi a un deciso aggiustamento della politica nazionale nel settore.

Fig. B Utilizzazione dei treni (persone che hanno utilizzato il treno almeno una volta l’anno; valori percentuali) La rete ferroviaria del Sud presenta dotazioni unitarie, per abitante e per superficie, inferiori alla media nazionale e caratteristiche più scadenti di quelle delle restanti aree del Paese, sia in termini di velocità che in termini di capacità delle linee. Anche per il trasporto merci la situazione è critica. Le caratteristiche principali che qualificano la rete infrastrutturale in relazione ai servizi merci riguardano il peso assiale, il peso lordo trainato, la sagoma limite e la lunghezza massima ammessa per il treno: in tutte queste tipologie il gap del Sud è ancora notevole (…).

E’ per queste ragioni che al potenziamento della rete ferroviaria è stata dedicata una particolare attenzione, con l’assunzione da parte della società Ferrovie dello Stato di nuovi e cogenti impegni, fra cui la costituzione di una struttura dedicata al Sud. Nella stessa direzione dovrà muoversi l’ANAS per quanto riguarda le comunicazioni stradali.IV.4.2 Le politiche di investimento Al fine di raggiungere gli obiettivi richiamati e in generale di attuare le linee programmatiche indicate nel DPEF 2002-2006 e nella successiva legge finanziaria molto è stato fatto. I risultati ottenuti sul piano dell’azione pubblica, nell’accelerazione e qualità della spesa come nella modernizzazione amministrativa sono richiamati nel riquadro. L’andamento dell’economia meridionale, sintetizzato nel capitolo II, ha beneficiato di questi risultati.

ATTUAZIONE DEL PRECEDENTE DPEF:

PRINCIPALI RISULTATI DELL’AZIONE DI GOVERNO E REGIONI NEL MEZZOGIORNO

Accelerazione degli investimenti:• Conclusione del ciclo di programmazione comunitaria 1994-99, con un innalzamento nel grado di utilizzo dei fondi dall’83 per cento in giugno a oltre il 93 per cento, in linea con la media comunitaria.• Avvio del ciclo di programmazione comunitaria 2000-06, con un grado di realizzazione dello stock di spesa programmata stimabile a fine 2001 attorno al 70 per cento.• Monitoraggio continuo e promozione, anche attraverso le Intese istituzionali e gli Accordi di programma quadro coordinati dal Ministero dell’Economia e Finanze, dell’utilizzo di tutte le risorse aggiuntive, per le "aree sottoutilizzate", con un incremento di spesa nel 2001 di circa il 50 per cento rispetto al 2000.• Introduzione, con delibera del CIPE attuativa dell’art. 73 della legge finanziaria per il 2002, di metodi semplici e meritocratici per un utilizzo rapido e di qualità delle risorse aggiuntive per le "aree sottoutilizzate" (85 per cento Sud).• Introduzione, con lo stesso strumento, di misure sanzionatorie per le Amministrazioni Centrali e Regionali che non procederanno alla programmazione entro fine 2003, del 100 per cento delle risorse per le "aree sottoutilizzate" assegnate loro negli anni 1999-2001.• Adozione, attraverso delibere CIPE e partenariato istituzionale, di misure (relative a trasporto ferroviario – con vincoli all’approvazione del Piano di priorità per la società Ferrovie dello Stato - e a grandi infrastrutture) atte a realizzare la "regola del 30 per cento", ossia l’obiettivo proprio del DPEF 2002-2006 di destinare al Sud, in base a un criterio perequativo, il 30 per cento delle risorse ordinarie in conto capitale: tale regola consente di garantire al Sud, assieme alle risorse aggiuntive, una quota della spesa totale in conto capitale pari al 45 per cento.• Accelerazione della spesa per patti territoriali e contratti di programma attraverso significative semplificazioni procedurali.• Concentrazione dell’utilizzo del credito di imposta nel Mezzogiorno, introduzione di criteri selettivi per tipologie di imprese e cumulabilità con altri benefici fiscali, incluso quello della l. 18 ottobre 2001, n. 383.

QUALITÀ DEI PROGETTI

• Completamento di circa 100 studi di fattibilità finalizzati a dare supporto tecnico alle decisioni di investimento, sia in merito ai profili di convenienza e opportunità che di realizzabilità istituzionale: assunzione di otto di questi come interventi prioritari per la "legge obiettivo".• Avvio delle attività di monitoraggio, supporto tecnico e valutazione, di concerto con le Regioni, per la realizzazione di progetti integrati territoriali (PIT) nell’ambito del programma comunitario 2000-2006.• Notevole arricchimento delle informazioni disponibili per misurare la qualità del contesto economico sociale e dell’infrastrutturazione materiale e immateriale e quindi gli effetti degli investimenti pubblici realizzati.

MODERNIZZAZIONE DELLE AMMINISTRAZIONI E DELLE SOCIETÀ PUBBLICHE

• Attuazione, attraverso verifiche, indagini e analisi, del sistema di premialità del programma comunitario 2000-2006 che destina il 10 per cento di tutte le sue risorse (4600 milioni di euro) alle Regioni e Amministrazioni centrali che realizzano innovazioni amministrative e riforme strutturali in alcuni settori strategici, in base a 20 indicatori. L’incentivo ha sinora consentito di ottenere risultati significativi e diffusi per i seguenti profili: valutazione della dirigenza pubblica; istituzione e operatività dei Nuclei di valutazione degli investimenti e delle Agenzie regionali per l’ambiente; nomina dei valutatori indipendenti dei programmi; istituzione di strutture di controllo.• Realizzazione da parte di Sviluppo Italia degli atti necessari al riordino societario e organizzativo e alla costruzione di un piano aziendale coerente con gli indirizzi del Governo e con il nuovo assetto istituzionale.Molto resta ancora da fare per cogliere l’opportunità storica che il Sud ha di creare effettivamente condizioni di sviluppo. Per ognuno dei quattro, principali assi di intervento e soprattutto nell’assicurare qualità agli investimenti pubblici, l’azione del Governo, d’intesa con le Regioni, verrà rafforzata e ne verrà accresciuta la tempestività e l’efficacia. Di tale azione si espongono di seguito le principali linee.

 

IV. 4.2.1 La quantità e l’ utilizzo delle risorse finanziarie pubbliche

Condizione prima per conseguire l’obiettivo di riequilibrio economico e sociale fissato per il Mezzogiorno è che le risorse pubbliche "aggiuntive" in conto capitale, nazionali e comunitarie, abbiano effettivamente natura addizionale rispetto ai flussi ordinari di spesa; solo in questo modo esse possono effettivamente concorrere a colmare un gap storico, ripristinando condizioni di normalità. È inoltre necessario che la misura di tali risorse sia predeterminata con largo anticipo e sia certa per tutti i soggetti, pubblici e privati. A questo fine:

• L’entità dei flussi sarà stabilita, come nel precedente DPEF, per un orizzonte temporale lungo che, in coerenza con la programmazione comunitaria di cassa, arriva fino al 2008. Il quadro finanziario unico pluriennale (cfr. Cap. IV) evidenzia il percorso utile per conseguire, coerentemente con gli impegni

comunitari, il valore obiettivo di una quota della spesa in conto capitale destinata al Mezzogiorno pari al 45 per cento per la media del periodo 2002- 08, con spese annue nel prossimo triennio attorno a 26 miliardi di euro.

Tali obiettivi programmatici di spesa in conto capitale potranno essere raggiunti solo se sarà garantito al Mezzogiorno un volume adeguato di assegnazioni finanziarie e se sarà altresì assicurato che tali risorse vengano spese in modo completo e con tempi rapidi: troppo spesso in passato a dotazioni finanziarie formali non ha corrisposto una effettiva capacità di utilizzo. A questa duplice finalità, oltre alle misure assunte a livello nazionale con il varo del Programma delle infrastrutture strategiche (cfr. Cap. 4.3), saranno orientate le seguenti azioni:

• Per le risorse aggiuntive, verranno assicurati, compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica:

- un livello di alimentazione delle risorse per investimenti pubblici e per incentivi nelle "aree sottoutilizzate" (per l’85 per cento destinati al Mezzogiorno) almeno pari, in rapporto al PIL, a quello medio degli ultimi anni, così come previsto nel quadro finanziario unico pluriennale;

- una composizione bilanciata fra investimenti pubblici e incentivi coerente con quella comunitaria;

- la necessaria alimentazione del cofinanziamento nazionale dei programmi comunitari.

• L’ulteriore accelerazione e la riqualificazione degli investimenti del Programma comunitario 2000-2006 saranno perseguite attraverso: il monitoraggio continuo e la soluzione tempestiva delle criticità, anche

attraverso gruppi di lavoro settoriali che si avvalgono del partenariato economico e sociale; l’impegno della Commissione europea di snellire e accelerare il processo decisionale; azioni sulla qualità più oltre dettagliate.

• Per le risorse ordinarie, deve trovare piena attuazione la regola di destinazione del 30 per cento delle risorse ordinarie in conto capitale al Mezzogiorno che, secondo il principio di perequazione dell’art. 119, comma terzo, della Costituzione e in base a un impegno comunitario, prevede che al Mezzogiorno sia destinata una quota intermedia fra quota del PIL – circa 24 per cento – e quota della popolazione (36 per cento). La regola verrà attuata e verificata sia per tutti i settori della Pubblica Amministrazione, sia per gli enti esterni appartenenti alla componente allargata del settore pubblico, che concorrono a formare la spesa in conto capitale a cui si applicano le verifiche e le sanzioni comunitarie in tema di addizionalità (e che più si sono allontanati in questi anni dall’obiettivo programmatico di riparto territoriale).

• In particolare, i piani di spesa degli enti responsabili per la realizzazione delle

infrastrutture, segnatamente di Ferrovie dello Stato e Anas, verranno strettamente monitorati, dando cogenza e diffusione al ruolo ispettivo affidato al Ministero delle infrastrutture e trasporti. Nell’ambito di un rapporto di partenariato con le parti economiche e sociali che si impegnino a concorrere anche attraverso accordi sull’organizzazione del lavoro, sarà possibile prevedere l’accertamento e la pubblicità delle cause e delle responsabilità per gli eventuali ritardi.

• L’effettivo utilizzo dei fondi ordinari e aggiuntivi, ivi compresi quelli destinati al programma delle grandi opere, sarà perseguito attraverso un rafforzamento dell’operatività delle Intese istituzionali di programma e degli Accordi di Programma Quadro e il pieno sfruttamento della loro componente contrattuale privata. Verrà data forza al monitoraggio realizzato attraverso gli Accordi di programma quadro, facendone oggetto di partenariato economico e sociale, anche al fine di adottare le necessarie iniziative per l’accelerazione e la qualificazione della spesa. Verranno inoltre introdotti, sulla base dell’esperienza già conseguita in molte Regioni, e come concordato in sede di Conferenza Stato-Regioni e previsto dalla delibera CIPE 3 maggio 2002, meccanismi di incentivazione, estesi anche al personale dirigente delle Amministrazioni e degli Enti, volti a premiare i comportamenti virtuosi dei responsabili dell’attuazione dei programmi di investimento.

• A parità di risorse pubbliche, l’ampliamento dei mezzi finanziari per gli investimenti pubblici nel Sud sarà perseguito attraverso il ricorso alla finanza privata, secondo gli impegni assunti nel Programma comunitario. Un contributo di rilievo potrà venire dalla costituzione della nuova struttura del Ministero dell’Economia e Finanze per l’ottimizzazione del ricorso ai capitali privati nel settore delle infrastrutture. In tale contesto l’Unità tecnica Finanza di Progetto, che opera presso il CIPE, potrà utilmente collaborare con simili strutture tecniche di cui si vanno dotando le Regioni. Le operazioni di partenariato pubblico-privato da predisporre per il mercato dovranno essere tali da assicurare che il concorso di capitale privato consenta, per il settore pubblico, non solo una compressione del costo immediato, ma anche un onere complessivo attualizzato inferiore, attraverso una gestione più efficiente.

Oltre all’assegnazione di risorse aggiuntive in conto capitale e alla perequazione delle risorse ordinarie, sempre in conto capitale, l’altra gamba finanziaria della politica di coesione a favore delle aree svantaggiate è rappresentata dalla perequazione delle risorse ordinarie in conto corrente. La individuazione dei metodi più appropriati per attuarla dovrà, fra l’altro, fare riferimento alla capacità delle Regioni di adottare sistemi di programmazione, monitoraggio e controllo della spesa coerenti con gli obblighi di un Patto di stabilità interno. È questo il modo in cui coesione e stabilità possono dare vita a un circolo virtuoso.IV. 4.2.2. La qualità degli investimenti

Nuove azioni saranno intraprese al fine di garantire la qualità degli investimenti pubblici. È da tale qualità, non dall’ "effetto cantiere" – che pure aiuta a sostenere la domanda aggregata nel breve periodo – che dipende la possibilità degli investimenti pubblici di accrescere effettivamente la produttività delle iniziative private e di promuovere stabilmente gli investimenti privati e lo sviluppo. Le principali azioni sono di seguito sintetizzate.

• Essendosi gli studi di fattibilità dimostrati strumento indispensabile per la certezza progettuale e per la qualità di investimento, verranno assunte azioni di concerto con le Regioni affinché, anche con il contributo delle parti economiche e sociali, agli studi già realizzati venga data la massima diffusione,

e affinché essi alimentino progetti e opere nella fase di massima accelerazione del programma di investimenti pubblici dal 2003-2004. La società Sviluppo Italia svolgerà un ruolo di advisor e supporto tecnico all’iter attuativo. Nella traduzione degli studi in progetti operativi, verrà ricercato il contributo anche finanziario di soggetti del terzo settore. Nuovi studi verranno promossi, anche per l’appropriato vaglio tecnico di opere inserite nel primo elenco per la "legge obiettivo" e per alimentare tale elenco di ulteriori opere strategiche: queste dovranno essere mirate in modo esplicito agli obiettivi programmatici di contesto e di chiusura del gap infrastrutturale prima richiamati.

• Verifica, di concerto con le Regioni e con le Amministrazioni centrali responsabili di programmi operativi nazionali, della effettiva, esplicita e convincente coerenza delle misure adottate nei programmi comunitari con gli obiettivi programmatici di contesto e infrastrutturali.

• Verifica dei programmi di assistenza tecnica orizzontali affidati dal Programma comunitario alle Amministrazioni centrali in relazione alla loro efficacia nel sostenere la realizzazione degli obiettivi programmatici di contesto e infrastrutturali di pertinenza; adozione, ove necessario, di azioni

correttive.

• Verifica dei risultati dei Programmi operativi, al fine di impostare, ove necessario, con le Regioni e con le Amministrazioni Centrali competenti, la riprogrammazione delle risorse, anche sulla base degli studi di fattibilità e delle attività di valutazione intermedia.

• Potenziamento anche con risorse ordinarie, degli investimenti nel settore della ricerca, comparto decisivo per lo sviluppo della produttività nel Sud e nell’intera Italia: l’obiettivo del 30 per cento verrà perseguito assieme a quello di una quota nazionale delle spese per ricerca sul PIL simile a quella europea.

• Definizione da parte del CIPE di linee strategiche di indirizzo per il rafforzamento del coordinamento tra le Amministrazioni centrali e le Regioni finalizzato a una migliore programmazione delle risorse idriche per evitare sprechi e ottimizzarne l’utilizzo.

• Verifica dello stato di attuazione e impulso dei Progetti integrati territoriali, d’intesa con le Regioni e attraverso un coinvolgimento delle parti economiche e sociali, sia a livello nazionale che regionale.

• Valutazione, di concerto con le Regioni, dell’opportunità di rafforzare, attraverso le Intese istituzionali e secondo quanto previsto dall’art. 117, comma 8, della Costituzione, gli interventi interregionali mirati alla soluzione di criticità relative alla mancanza di infrastrutture ricadenti sul territorio di più

regioni.IV. 4.2.3 La modernizzazione delle Amministrazioni pubbliche

Investimenti pubblici di qualità richiedono amministrazioni pubbliche capaci ed efficienti. In questa direzione:

• Rigorosa sarà l’attuazione delle regole di premialità del Programma comunitario legate ai risultati che le Regioni e le Amministrazioni Centrali otterranno entro il 2003 nei processi di modernizzazione amministrativa e nella riforma degli assetti industriali e organizzativi dei settori che producono servizi

di pubblica utilità (v. riquadro per lo stato di attuazione); queste regole introducono un principio concorrenziale di quasi-mercato in base al quale l’accesso dei territori sottoutilizzati alla politica europea e nazionale di coesione è legata alla soddisfazione di requisiti circa la capacità dei loro governi locali di trarre giovamento da quella stessa politica.

• Risultati urgenti dovranno essere comunque realizzati nei prossimi mesi dalle Regioni nell’attuazione del servizio idrico integrato, nella gestione dei rifiuti urbani, nella pianificazione territoriale e Paesistica, nella pianificazione trasportistica, dal momento che la mancanza di questi e altri atti blocca gli

investimenti pubblici di qualità e pregiudica così la coesione sociale e la tutela di livelli essenziali di prestazione: verranno valutate tutte le iniziative necessarie a garantire tali progressi.

• Azione di Sviluppo Italia di supporto alle Regioni per il miglioramento della capacità e della qualità della committenza pubblica.

• Non è rinviabile l’effettiva introduzione, presso le Amministrazioni regionali e locali, di sistemi di programmazione, controllo strategico e gestione, per il miglioramento della governance interna, essenziale per l’efficacia delle politiche di sviluppo.

• Alla costituzione dei Nuclei di valutazione (estesa alle Amministrazioni centrali e alle Regioni del Centro-Nord) dovrà seguire, in attuazione della L. 144/99 e d’intesa con le Regioni, la costituzione della Rete dei Nuclei che potrà favorire sia l’affermarsi di metodi condivisi fra strutture amministrative autonome e diverse, sia il rafforzamento e rinnovamento dei quadri tecnici preposti alla programmazione degli investimenti pubblici. Il completamento di questo assetto federato e la sua piena operatività potranno richiedere interventi normativi nazionali e regionali in merito all’inquadramento organizzativo e retributivo dei Nuclei.

STATO DELLA MODERNIZZAZIONE AMMINISTRATIVA IN BASE AGLI INDICATORI DI PREMIALITÀ

Condizione indispensabile per accelerare e riqualificare gli investimenti pubblici nel Mezzogiorno è che il processo di modernizzazione della Pubblica Amministrazione abbia luogo in tempi brevi. (Cfr DPEF 2002-06 e DPEF 2002-06 Analisi) In questa direzione sta operando il sistema di premialità istituito nell’ambito del Programma comunitario, che consente di premiare le amministrazioni responsabili dei programmi in base ai risultati ottenuti.

Il monitoraggio relativo alla stato di avanzamento effettuato a inizio 2002 indica che:

• Le riforme amministrative legate all’attuazione dei principi del D.lgs 29/93 e al D.lgs 286/99, relative rispettivamente alla separazione delle competenze fra dirigenza amministrativa e organi politici, all’attuazione di modalità di conferimento degli incarichi dirigenziali che includano l’adozione e l’applicazione di modelli di valutazione delle attività dirigenziali e all’istituzione e operatività del controllo interno di gestione, sono in fase di attuazione da parte di tutte le amministrazioni,

sebbene sI registri un ritardo, in particolar modo per le Regioni, con riguardo all’operatività del controllo interno di gestione;

• Fra gli strumenti organizzativi individuati per migliorare la qualità della spesa, si osservano i progressi registrati, specie nelle Regioni, nell’attivazione dei Nuclei di valutazione ai sensi della L.144/99 e nella diffusione di tecnologie dell’informazione. Queste innovazioni organizzative non sono ancora state in grado, tuttavia, di influenzare significativamente la capacità di selezione dei progetti secondo criteri di qualità (fattibilità tecnico-economica, sostenibilità ambientale, pari opportunità).

Le amministrazioni regionali responsabili dei Programmi operativi Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia e le amministrazioni centrali responsabili dei Programmi operativi nazionali Scuola, Ricerca, Industria, Pesca, Sicurezza, Trasporti e Assistenza tecnica (Ministero dell’Economia e Finanze)

• La semplificazione delle procedure, legata nel sistema di premialità agli indicatori relativi all’attuazione dello sportello unico per le imprese e all’attuazione della riforma dei servizi per l’impiego, non ha trovato ancora piena applicazione in molte Regioni; nel primo caso, la copertura del servizio è ancora lontana dal target dell’80 per cento della popolazione residente e permangono le incertezze circa l’effettiva operatività degli sportelli; nel secondo caso invece solo Basilicata e Puglia hanno attivato i servizi per l’impiego in aree in cui risiede una popolazione vicina al target del 50 per cento e sono già in grado di assicurare in molti centri le funzioni di servizio informative e di accoglienza, di orientamento e consulenza, di mediazione fra domanda e offerta di lavoro.

• L’attuazione delle riforme per la riorganizzazione in senso industriale dei servizi di gestione delle risorse idriche e dei rifiuti urbani, nella salvaguardia del sistema idrogeologico, per la pianificazione territoriale e paesistica (TU 490/99) e per il monitoraggio ambientale fa registrare alcuni successi, come nel caso della istituzione e operatività delle Agenzie Regionali per l’Ambiente; si osservano invece

forti ritardi in tutte le Regioni nell’attuazione delle riforme relative ai servizi pubblici locali e nella pianificazione territoriale e paesistica, a eccezione della Regione Calabria, che nello scorso anno ha dato attuazione alla riforma dei rifiuti urbani e della Regione Campania per l’attuazione della riforma dei servizi idrici.

• Gli strumenti e le modalità organizzative disegnati per accrescere l’efficacia dell'intervento pubblico e la buona gestione amministrativa e finanziaria dei Programmi finanziati con i fondi strutturali comunitari sono stati adottati e sono operativi in tutte le amministrazioni.

Per quanto riguarda le prospettive di medio-lungo termine, il Governo si adopererà al fine di assicurare nel prossimo negoziato sul futuro della politica regionale di coesione comunitaria (post-2006) che il Sud benefici del massimo di risorse comunitarie e che il complesso della politica di coesione, rivolta anche alle aree del Centro-Nord e agli altri Paesi della UE, sia favorevole agli interessi strategici del nostro paese. A tale riguardo, su iniziativa del Ministero dell’Economia e delle Finanze e del Ministero degli Esteri, è stata predisposta una piattaforma tecnica attraverso un partenariato fra Stato centrale, Regioni, Enti Locali e parti economiche e sociali. La piattaforma verrà utilizzata per la predisposizione di un secondo Memorandum dell’Italia da inviare alla Commissione europea.

IV. 4.2.4 Gli incentivi e il marketing territoriale

L’azione primaria volta a eliminare progressivamente il divario in termini di capitale infrastrutturale e sociale accumulato dal Mezzogiorno deve essere accompagnata dalla promozione diretta degli investimenti privati a mezzo di incentivi alle imprese, con il fine di compensare, in questa fase di transizione, le condizioni di minore attrattività del Mezzogiorno e di promuovere specifiche attività innovative, concentrazioni produttive e opportunità di localizzazione.

In questo campo il Governo, d’intesa con le Regioni che, con riguardo all’azione ordinaria, hanno potestà legislativa per la politica di sviluppo, mira ai seguenti obiettivi: semplificare, dare flessibilità di impiego e in generale regionalizzare gli incentivi assicurando coerenza degli interventi pubblici sull’intero teritorio nazionale; ottimizzare gli strumenti rivolti all’imprenditorialità autonoma e a incentivare la concertazione progettuale fra imprese; attrarre investimenti dall’esterno dell’area attraverso un nuovo progetto di marketing territoriale affidato a Sviluppo Italia; sviluppare il capitale di rischio.

Tre sono le diverse e complementari funzioni assegnate agli incentivi: a) la compensazione generalizzata, certa e automatica di maggiori costi di investimento nel Mezzogiorno, realizzata oggi da un credito d’imposta opportunamente riformato e finanziato; b) la compensazione delle gravi e persistenti inefficienze del mercato del credito, a favore di imprese con date caratteristiche, predefinite dalla programmazione, e selezionate, via bando o con metodo negoziale, con la legge 488/92, i contratti di programma, e gli altri interventi per l’imprenditorialità, l’autoimprenditorialità e l’autoimpiego; c) la promozione della partecipazione delle imprese al disegno di progetti territoriali integrati con altre imprese, soggetti pubblici e partners sociali, realizzata dai patti territoriali, dove gli incentivi hanno ruolo sussidiario. Con riguardo a questi strumenti, il Governo si impegna nelle seguenti ulteriori direzioni.

• Alla diverse tipologie di intervento verranno assicurate adeguate risorse aggiuntive. Le modalità di assegnazione e di impiego relative alla seconda e terza tipologia, non automatiche, faranno riferimento a tre esigenze:semplificare la scelta e il ricorso agli strumenti; concentrare i fondi destinati ai diversi strumenti, così da assicurare una piena flessibilità di allocazione e rimodulazione delle risorse tra essi, in relazione alle specificità territoriali e alla domanda delle imprese; tenere conto della competenza ordinaria nel campo dello sviluppo locale, salvo che in presenza di chiare economie di scala o di scopo. In questo contesto, si potrà prevedere un utilizzo congiunto e sinergico del credito d’imposta e dei patti territoriali o di altri strumenti di progettazione integrata, laddove i secondi possono assicurare le condizioni per l’efficacia del primo.

• Saranno valutati, d’intesa con le Regioni, eventuali nuovi strumenti e modalità di incentivazione anche sulla base dei risultati conseguiti.

A tali scelte sarà rivolto il lavoro di razionalizzazione in corso presso il Ministero delle Attività produttive. Negli interventi da realizzare a favore dei soggetti responsabili dei patti territoriali, si terrà conto dell’esito dell’indagine sui patti stessi avviata, nell’ambito del Programma comunitario 2000-2006,

con l’indirizzo tecnico-scientifico dei Ministeri Economia e Finanze e Attività Produttive e delle parti economiche e sociali, al fine di ricavare dalle esperienze fatte lezioni puntuali per gli interventi rivolti allo sviluppo locale del Sud.

L’offerta di un sistema di incentivazione semplificato, flessibile, adeguato alle esigenze del territorio, deve essere accompagnata da una decisa azione volta ad attrarre capitali di rischio e nuove imprese nel Sud, che abbia carattere di solidità e stabilità nel tempo e dotazione finanziaria adeguata.

• Verrà costruito e avviato un programma pluriennale di marketing mirato all’attrazione degli investimenti dall’esterno. Tale missione, affidata a Sviluppo Italia, che potrà garantire la gestione integrata e coordinata delle diverse fasi del processo di localizzazione, anche attraverso l’articolazione territoriale della propria struttura e di intesa con le Regioni, richiederà ulteriori forme di semplificazione amministrativa e la costruzione di veri e propri "contratti di localizzazione" a natura privatistica fra soggetti investitori e soggetti pubblici. Il programma sarà coadiuvato da un’analisi sull’immagine del Mezzogiorno a livello internazionale promossa nell’ambito del Programma comunitario 2000-

2006, al fine di rilevare, in modo ripetuto nel tempo, la percezione del Mezzogiorno e della sua trasformazione da parte di operatori industriali, finanziari, turistici e commerciali di alcuni grandi Paesi esteri.

• Il programma potrà avvalersi di un potenziamento dello strumento del contratto di programma, che sarà anche orientato allo scopo, prevedendo un forte partenariato istituzionale e finanziario fra Ministeri centrali e Regioni.

• Andrà specificamente affrontata, anche con il concorso di Sviluppo Italia, la difficoltà delle imprese ad approvvigionarsi in modo adeguato di capitale di rischio e di accedere al mercato del credito finanziario. Si dovrà valutare l’opportunità di elementi di maggiore responsabilizzazione da parte delle

banche coinvolte nelle attività istruttorie per la concessione di incentivi.

Infine, per quanto riguarda il mercato del lavoro, all’impegno per un rinnovamento dei sistemi di formazione, si accompagnerà l’ulteriore affinamento delle modalità di implementazione della recente normativa mirata per la promozione all’economia regolare delle attività economiche sommerse. Questa azione rafforzerà e offrirà prospettive agli interventi previsti dal programma comunitario 2000-2006 in

tema di emersione, che prevedono fornitura di servizi formativi, informativi e di sostegno all’accesso a migliori condizioni di operatività, crescita e localizzazione di attività economiche a rischio di irregolarità.IV.5 Il sistema produttivo

IV.5.1 Privatizzazioni e liberalizzazioni

Il Programma di privatizzazioni per gli anni 2002 – 2003 e le Prospettive future – in fase di elaborazione da parte del Governo – muove dall’obiettivo di riavviare un piano di dismissioni mediante cessione nel breve periodo (entro i diciotto mesi) di tutte le partecipazioni non strategiche, riduzione significativa della partecipazione pubblica nelle altre imprese e attenta opera di ristrutturazione nelle restanti, ai fini di

una loro privatizzazione nel medio periodo.

Il Programma tiene conto delle partecipazioni attualmente detenute direttamente e indirettamente dal Ministero dell’economia, degli obiettivi contenuti nel Programma di stabilità per il 2001, delle condizioni dei mercati e delle situazioni specifiche delle singole società partecipate dal Ministero dell’economia.

In estrema sintesi, viene prevista, nel breve periodo, la cessione delle seguenti partecipazioni.

Operazioni a breve termine:

Telecom Italia

Seat

ETI

ENEL

Mediocredito Friuli Venezia Giulia

Coopercredito

Tirrenia

Fincantieri

Terna

Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale

Alitalia – Linee Aeree Italiane

Oggetto di dismissione sarebbero le intere quote di partecipazione possedute direttamente e indirettamente dal Ministero dell’economia, ad eccezione di ENEL, Terna, Gestore della Rete di Trasmissione e Alitalia per le quali viene ipotizzata in questa prima fase una riduzione della quota di partecipazione non al di sotto del 30 per cento.

Il totale degli introiti al momento prevedibili per le operazioni da realizzare nel breve termine, calcolati sulla base della capitalizzazione di mercato delle società quotate, del patrimonio netto contabile per le non quotate e delle stime di alcuni analisti, ammonta a circa 20 miliardi di euro.

Si tratta di un Programma molto ambizioso - in particolare per quanto riguarda ENEL, per la quale si presuppone la cessione del 37,58 per cento del capitale sociale - la cui fattibilità rimane comunque subordinata alle condizioni favorevoli dei mercati e che contribuirà in maniera rilevante al programma di riduzione del rapporto debito/PIL.

Il Programma conserva come importante corollario l’attento processo di monitoraggio e governo delle società partecipate dallo Stato.

Il Ministero dell’economia intende, infatti, proseguire le operazioni di riassetto e valorizzazione delle partecipazioni residue, attraverso indirizzi di corporate governance e di strategia industriale, questi ultimi volti ad una maggiore focalizzazione delle aziende sul proprio core business. Parallelamente verranno

ulteriormente implementati i processi di liberalizzazione nell’ambito delle direttive comunitarie, così come lo sviluppo e la trasparenza dei mercati finanziari, anche al fine di tutela degli azionisti di minoranza.

Una volta verificatesi le due condizioni – sviluppo dei mercati finanziari, anche con l’ingresso di nuovi soggetti, e focalizzazione delle imprese – il Programma di privatizzazioni proseguirà nel medio periodo con la dismissione delle partecipazioni residue ancora detenute.

La salvaguardia degli assetti azionari – in particolare per le aziende operanti in settori strategici – potrà avvenire anche con la costituzione di nuclei stabili di azionisti, atti ad assicurare indirizzi strategici e stabilità/continuità aziendale.

Lo stimolo al processo di privatizzazione richiede, particolarmente nel caso dei servizi di pubblica utilità, un’attenta considerazione dei problemi relativi alla tutela ed alla promozione della concorrenza. Il processo di privatizzazione e apertura dei mercati deve, come è già avvenuto negli anni recenti, accompagnarsi ad una incisiva riforma della regolamentazione volta a ridefinire il quadro istituzionale entro il quale tali servizi venivano offerti ai consumatori.

Il processo di promozione della concorrenza verrà rafforzato dalla riforma del titolo V della Costituzione con la quale si è esplicitamente inserita la tutela della concorrenza tra le materie di responsabilità esclusiva del legislatore nazionale. Si tratta di uno strumento importante che il Governo centrale ha a disposizione per incoraggiare i progressi delle riforme in quanto per la prima volta la concorrenza e la sua tutela trovano un formale riconoscimento nel testo costituzionale.

Tale principio dovrà porsi come chiave di lettura nella ridefinizione delle competenze tra Stato e Regioni nelle materie di rilevanza strategica.

Il progressivo ampliamento dei settori alla concorrenza non si è però sempre accompagnato ad una riduzione delle tariffe praticate all’utenza, in ragione dei numerosi ostacoli che ancora si pongono nella definizione di un quadro regolatorio certo e pro-concorrenziale.

Le esperienze di liberalizzazione finora avviate in Italia, in particolare nel settore delle telecomunicazioni, indicano che esiste uno stretto legame di dipendenza tra grado di apertura dei mercati, sviluppo economico, ed effettivi benefici per i consumatori. Il Governo intende rafforzare tali legami tramite la promozione di un chiaro quadro generale di riferimento sia per gli operatori che per i regolatori, al fine

di consolidare il meccanismo attraverso il quale la concorrenza si traduce in migliori condizioni per i consumatori.

Politiche industriali e settoriali: La promozione della competitività

Il Governo intende potenziare la competitività strutturale delle imprese nel mercato globale e la capacità della nostra economia, in particolare delle zone svantaggiate del Paese, di attrarre investimenti. In tal senso si procederà:

- dando priorità agli interventi che favoriscono l’adozione di nuove tecnologie, l’innovazione e le attività di ricerca e sviluppo;

- destinando al Mezzogiorno una maggiore quota degli interventi statali;

- favorendo l’attrazione e la localizzazione delle attività produttive verso il Mezzogiorno attraverso un utilizzo mirato dei contratti di programma, che coinvolga le parti sociali in un rapporto di collaborazione diretto a rimuovere le remore agli investimenti;

- attuando un salto di qualità nelle forme di sostegno pubblico, con interventi che accrescano la produttività, stimolino le sinergie tra iniziative imprenditoriali sul territorio, come per i distretti industriali, e siano maggiormente selettivi;

- utilizzando meglio il potenziale delle garanzie finanziarie per moltiplicare il volume delle risorse mobilizzabili dalle imprese sul mercato e per ridurre il costo del capitale;

- privilegiando le forme d’intervento di più semplice e rapida erogazione, quali i crediti d’imposta, e concentrando le risorse su progetti di maggior rilievo e su fondi a carattere rotatorio;

- promuovendo fondi d’investimento specializzati, per le imprese operanti in settori innovativi e in aree in cui minore è lo sviluppo del mercato azionario;

- completando la razionalizzazione e semplificazione del regime di aiuti alle imprese per ridurre i costi amministrativi sia per il bilancio, sia per i privati, in un quadro di collaborazione tra i diversi livelli di governo, secondo l’accordo interistituzionale del 20 giugno.

Nel quadro degli interventi diretti a promuovere la competitività delle imprese, il Ministero delle Attività Produttive svilupperà un’attività di valutazione e monitoraggio dell’impatto delle misure di politica economica, industriale, sociale ed ambientale sulla competitività del sistema produttivo.

La Proiezione Internazionale del Sistema Produttivo Italiano

La progressiva apertura dei mercati, parte di un più generale processo di globalizzazione, ha posto il nostro sistema produttivo dinanzi ad una più ampia, difficile e complessa sfida caratterizzata da scenari, tempi e attori radicalmente nuovi. Innanzi tutto, i campi dell’internazionalizzazione sono ormai diversificati, e non si riferiscono più solo agli aspetti di commercio estero ma sempre più riguardano

gli investimenti diretti all’estero e dall’estero; i tempi della competizione sono accelerati dalla logica dei nuovi soggetti della globalizzazione, sempre più multinazionali, e dalla diffusione di media globali; il numero degli attori è cresciuto di pari passo con l’affacciarsi di paesi emergenti e di economie più dinamiche, nonché con il ruolo crescente che, finalmente, stanno assumendo i Pvs;

Il nostro Paese deve rispondere in maniera adeguata a tale sfida, più e meglio di quanto abbia fatto finora: Gli ultimi anni hanno visto infatti una progressiva perdita di quote di commercio mondiale (dal 4,9 per cento del ’91 al 3,8 del 2000) e un preoccupante decremento degli investimenti diretti esteri. Il 2001 ha fatto invece registrare una incoraggiante inversione di tendenza nella capacità di internazionalizzazione dell’economia italiana che va supportata con una politica straordinaria da realizzarsi anche attraverso una riforma del comparto complessivo che imprima un focus maggiore sulla "diplomazia economica" e sugli strumenti finanziari. Infatti, malgrado la flessione del Commercio mondiale (-0,2% rispetto al 2000), lo scorso anno è aumentato di 3000 unità (+ 1,7%) il numero degli esportatori italiani e la cifra delle imprese impegnate in investimenti all’estero è oggi di 1.200 con partecipazioni in oltre 3.000 realtà omologhe. Le nostre esportazioni sono cresciute del 3,6% e ciò ha fatto registrare un aumento della quota italiana nel

commercio mondiale dal 3,8% al 4%. A fronte inoltre di un decremento a livello mondiale degli IDE (nei paesi OCSE è stato del 40%) l’Italia ha fatto registrare un significativo aumento in questo comparto tanto in entrata (da 13,4 miliardi di dollari del 2000 ai 14,9 del 2001) che in uscita (21,5 nel 2001 contro i 12,3 del 2000).

Nei prossimi due anni, inoltre, si realizzeranno i nuovi scenari nelle relazioni internazionali e noi dovremo agire affinché siano rispondenti agli interessi del nostro Paese. Saranno definite le nuove regole del commercio mondiale nell’ambito del round negoziale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) secondo l’agenda varata a Doha che contiene tutti i temi preminenti dei nostri settori produttivi e sarà definito il processo di allargamento dell’UE, che delimiterà il nuovo mercato interno europeo. Ai confini della "Nuova Europa" saranno realizzate aree di libero scambio nelle due aree di principale interesse strategico del nostro Paese: nei Balcani, al di là dell’Adriatico, dove sono già presenti migliaia di imprese italiane, e nella sponda sud del Mediterraneo (area Meda), che rimette in gioco il ruolo del nostro Mezzogiorno.

Questi eventi, avranno il loro momento centrale durante il semestre italiano di presidenza dell’Unione ed in tal senso andranno al meglio coinvolti in appositi vertici o riunioni informali i rappresentanti dei paesi di riferimento. Nella seconda parte del 2003, inoltre, si terrà in Messico la Quinta Conferenza Mondiale del WTO, sarà completato il processo di adesione dei paesi candidati all’Unione, si costituirà l’area di libero scambio dei Balcani e sarà rilanciato il processo di Barcellona.

Un tale nuovo scenario richiede nuove priorità e nuovi strumenti. L’azione di Internazionalizzazione della nostra economia dovrà realizzarsi secondo le seguenti priorità:

Innovazione (puntando su ricerca e formazione, quindi sulla produzione di qualità), Investimenti (sia in entrata che in uscita, con procedure semplici e tempi certi),

Infrastrutture (la legge obiettivo è la parte interna di un sistema che deve riguardare anche lo sviluppo dei corridoi paneuropei nell’area balcanica e di quelli marittimi nel Mediterraneo).

Questo processo deve consentire la crescita delle piccole imprese che devono essere aiutate nel loro processo di internazionalizzazione e per le quali vanno realizzati strumenti finanziari e supporti logistici adeguati. In tal senso, priorità sarà data all’attuazione degli Sportelli unici regionali e degli Sportelli Italia all’estero quale desk unico per le imprese, al fine di offrire agli operatori che intendono internazionalizzare" un’assistenza globale, in cui si integrino i contributi delle differenti istituzioni di supporto. Proprio in tale campo, per meglio coordinare, secondo una visione unitaria, gli sforzi compiuti dai diversi soggetti che operano nel campo dell’internazionalizzazione si opererà per una "messa a sistema" degli enti (Ice, Sace, Simest, Finest, Informest, Camere di Commercio all’estero) attraverso

l’apposito DDL di delega per il riordino (già presentato in Parlamento).

Sul piano normativo, inoltre, la redazione del "Testo Unico per il commercio estero", servirà a razionalizzare gli strumenti pubblici di sostegno alle imprese. Considerata, infine, l’importanza del contributo degli investimenti esteri all’avanzamento tecnologico e dimensionale, il Governo intende varare una "legge obiettivo" per gli investimenti diretti esteri, che faccia perno sulla semplificazione e

sulla erogazione di servizi di assistenza ed informazione.

Occorre, in sintesi, creare il "Sistema Italia" che promuova, nel nuovo contesto del mercato globale, non solo l’esportazione ma soprattutto gli investimenti che consentano di determinare migliori condizioni di competitività. La riforma del comparto "internazionalizzazione" deve razionalizzare, in una visione d’insieme, l’impiego delle risorse, le procedure e gli strumenti per meglio supportare le nostre imprese nella loro nuova mission economica

Il settore dell’energia

Il Governo intende completare il processo di liberalizzazione del settore dell’energia, in coerenza con gli accordi raggiunti nel Consiglio dei Ministri della Unione Europea di Barcellona dello scorso marzo e salvaguardando la reciprocità delle regole nei processi di apertura dei mercati tra i diversi Paesi della UE. La liberalizzazione dovrà essere attuata garantendo sicurezza, flessibilità ed economicità degli approvvigionamenti, in modo da soddisfare con efficienza la domanda di energia del Paese, nel rispetto degli obblighi di servizio pubblico.

Per attrarre nuovi operatori, favorire la realizzazione di investimenti e sviluppare la concorrenza, sarà necessario completare in tempi rapidi la definizione del quadro delle regole del settore, assicurando che esso sia certo e stabile nel tempo.

Per quanto riguarda il settore dell’energia elettrica, gli obiettivi primari sono la riduzione dei prezzi e la sicurezza della fornitura, la semplificazione delle procedure e la certezza del quadro regolamentare. Nel campo della generazione, il Governo continuerà a promuovere la crescita dell’offerta di energia elettrica disponibile per il Paese, favorendo ove possibile il riequilibrio territoriale nella localizzazione delle

centrali. Nel campo della trasmissione, saranno attuati gli interventi normativi necessari a semplificare le procedure di costruzione di nuove linee, in modo da assicurare l’espansione della rete nazionale di trasmissione, collegare rapidamente i nuovi impianti di produzione e potenziare le interconnessioni con gli altri Paesi europei. La realizzazione degli investimenti nelle reti di trasmissione e distribuzione

richiederà che vengano adeguate da parte dell’Autorità di settore competente la remunerazione riconosciuta su tali reti in maniera da allinearla sui valori delle altre nazioni europee. Inoltre, per rendere maggiormente efficiente la gestione della rete, si potranno incentivare le attività dirette a ridurre le congestioni.

In questo scenario si inserirà la riunificazione della proprietà e della gestione della rete di trasmissione in un unico soggetto quotato in Borsa.

L’obiettivo di creare un adeguato margine di sicurezza tra offerta e domanda di energia elettrica sarà perseguito sia aumentando l’offerta e diversificando le fonti, sia attraverso l’accrescimento dell’efficienza negli usi finali dell’energia. In particolare, per quanto concerne la diversificazione delle fonti, si svilupperà l’utilizzo di quelle rinnovabili e, nel pieno rispetto degli impegni previsti dal protocollo di Kyoto, si rimoduleranno i vincoli all’utilizzo di combustibili poco sfruttati in Italia, quale il

carbone, il cui uso potrà ridurre il costo di produzione dell’energia elettrica.

Andranno, poi, anche incoraggiati e riconosciuti gli investimenti in nuove tecnologie del sistema elettrico che favoriscano un utilizzo efficiente dell’energia elettrica da parte dei consumatori.

In termini di regolamentazione e assetto del settore, con la realizzazione del piano di dismissione di capacità produttiva da parte dell’Enel si sono create le condizioni per l’avvio della Borsa elettrica, in cui sarà concentrata l’offerta di energia elettrica, in modo da garantire stabilità e trasparenza nella formazione dei prezzi. Per assicurare un’efficace competizione sarà necessario che tutti gli operatori del settore

siano sottoposti alle medesime regole. Anche a tale fine il Governo valuterà l’opportunità di ridefinire gli "stranded costs", facendo comunque salvi i diritti maturati dagli operatori in base alla normativa previgente. Resterà, comunque, il rimborso dei costi non recuperabili connessi ai contratti di importazione di gas dalla Nigeria, nel cui computo si dovrà fare riferimento anche ai costi di rigassificazione

effettivamente sostenuti.

Per dare maggiore stabilità al quadro normativo sarà, inoltre, opportuno estendere il periodo di regolamentazione, in linea con gli altri Paesi europei ed affinare il meccanismo del price cap, tra l’altro individuando obiettivi di efficienza ambiziosi ma effettivamente raggiungibili da parte delle imprese e distribuendo simmetricamente tra mercato ed operatori le maggiori efficienze eventualmente conseguite da questi ultimi, in maniera tale da preservare anche nel medio periodo gli incentivi ad una riduzione dei costi.

Nel settore del gas, il Governo promuoverà il potenziamento le infrastrutture di approvvigionamento e trasporto e valorizzerà le risorse nazionali di idrocarburi.

L’apertura del settore sarà perseguita evitando la penalizzazione - in termini di accesso al sistema nazionale di trasporto del gas - dei titolari di contratti di approvvigionamento di lungo termine stipulati prima dell’emanazione del Decreto Legislativo 164/2000 e dei titolari di contratti che assicurino la differenziazione geografica delle fonti di approvvigionamento. A tale riguardo, dovrà essere altresì

assicurata coerenza tra la durata dei contratti di importazione e disponibilità di accesso alle infrastrutture di trasporto.

Il quadro regolamentare, in particolare per le attività di stoccaggio, dovrà essere completato in tempi rapidi, Si dovrà, inoltre, creare un sistema di regole che incentivi la realizzazione di nuove infrastrutture di approvvigionamento, stoccaggio, trasporto e distribuzione. Ciò potrà avvenire sia attraverso il riconoscimento di una remunerazione equa per le opere realizzate, sia garantendo condizioni di accesso ad esse, favorevoli per gli operatori che le hanno realizzate. Infine dovranno, essere previste misure di semplificazione delle procedure per la costruzione di nuovi gasdotti e si dovrà assicurare, nei mercati già liberalizzati, la libera formazione dei prezzi, nel rispetto della normativa vigente in materia di tutela della concorrenza. Commercio, Assicurazioni e Turismo

Nella politica commerciale con l’estero il Governo mira a tutelare sui mercati mondiali i prodotti tipici del "made in Italy". Il Governo intende, inoltre, seguire una politica di supporto al processo di internazionalizzazione, tenuto conto in particolare che il sistema produttivo italiano è caratterizzato dalla diffusa presenza di PMI, le quali spesso trovano difficoltà ad affermarsi sui mercati internazionali. Per sostenere l’internazionalizzazione delle imprese verrà potenziato lo strumento degli Sportelli unici regionali e si procederà alla costituzione degli Sportelli Italia all’estero. Un notevole progresso verso la razionalizzazione degli strumenti pubblici di sostegno alle attività estere delle imprese sarà realizzato attraverso la redazione di un "Testo unico per il commercio estero" e la messa a sistema dei diversi enti pubblici operanti nel settore. Sarà, altresì, predisposta una "legge obiettivo" per gli investimenti diretti

esteri, che farà perno sulla semplificazione e sull’erogazione di servizi di assistenza ed informazione attraverso gli sportelli regionali per l’internazionalizzazione. Per quanto attiene al settore del commercio, in linea con gli indirizzi del D. Lgs.114/1998 di tutela e di recupero dei centri storici, il Governo promuoverà la costituzione di "centri commerciali naturali", che assicurino l’assortimento

merceologico del commercio di vicinato, nonché lo sviluppo di nuove modalità di vendita, quali il franchising. Sarà inoltre accelerata la messa in rete di attività relative alla commercializzazione dei prodotti ed all’apertura di nuovi mercati, per favorire la "net economy". In tale quadro verranno adottate misure per favorire la crescita dimensionale degli esercizi di vicinato.

Riguardo al settore dei servizi, particolare attenzione sarà rivolta a promuovere il miglioramento della qualità sia nel comparto pubblico, sia in quello privato. Sul piano della politica assicurativa, il Governo intende promuovere la creazione di strumenti di vigilanza più idonei a stimolare una maggiore concorrenza. In particolare, nel settore dell’assicurazione RC-Auto il Governo interverrà affinché si

realizzi una maggiore trasparenza del mercato a tutela dei consumatori, anche attraverso misure volte ad elevare i livelli di informazione.

Attraverso azioni mirate alla diffusione di nuove forme di garanzia, il Governo darà attuazione alla normativa comunitaria nei settori del commercio elettronico e dei beni di consumo durevoli, al fine di una maggiore protezione dei consumatori.

Nel settore del turismo, si favorirà una politica coordinata tra i diversi livelli di governo per accrescere la capacità del sistema turistico nazionale di acquisire nuove quote di mercato, intercettando la domanda al di fuori dei picchi stagionali. A tal fine si svilupperà una maggiore collaborazione con altri Paesi, aprendo nuove opportunità di mercato, nonché indirizzando risorse adeguate verso un’azione promozionale più incisiva e strettamente collegata alle esigenze degli operatori.

Servizi pubblici locali

Lo scenario competitivo e regolatorio dei servizi pubblici locali è in rapida evoluzione anche sotto la spinta dei recenti provvedimenti tesi a definire un quadro normativo certo e uniforme entro il quale gli enti locali potranno disegnare l’assetto del mercato.

La normativa approvata in sede di Legge Finanziaria costituisce un significativo passo nella direzione di un riassetto del sistema in senso concorrenziale. In questo senso il Governo intende delineare le linee guida attraverso le quali dare attuazione all’art.35 indicando quali principi ispiratori del nuovo assetto dei servizi pubblici locali la liberalizzazione e la promozione della concorrenza e dell’efficienza.

Le direttrici indicate dal Governo dovranno essere sviluppate a livello di enti locali, i quali saranno chiamati a rispondere alla sfida rappresentata dal crescente grado di concorrenza che caratterizza già alcuni comparti. Obiettivo rilevante dell’azione del Governo è quello di fornire a livello locale gli strumenti per incentivare sempre maggiori investimenti nel settore anche in vista di una maggiore efficienza del servizio.

Il perfezionamento della riforma attraverso i provvedimenti attuativi non può ignorare le rapide trasformazioni che hanno caratterizzato numerosi settori, nei quali si è assistito ad una accelerata innovazione sul piano organizzativo e gestionale e ad una apertura verso assetti proprietari non esclusivamente pubblici.

In uno scenario in cui mutano le stesse caratteristiche strutturali dei mercati e si modificano le condizioni di concorrenza, la possibilità per queste imprese di poter competere in un contesto nazionale aperto alla concorrenza estera sarà sempre più legata alla promozione della loro efficienza. Il quadro regolatorio dovrà quindi accompagnare questa evoluzione favorendo la crescita della produttività e incoraggiando la rapida introduzione di strumenti che garantiscano il confronto e l’innovazione. In particolare i benefici del confronto competitivo dovranno essere incentivati attraverso un disegno corretto dei meccanismi di gara.

Ordini professionali

Come ribadito nelle BEPG del 2002 recentemente approvate dal Consiglio europeo, si impone per l’Italia l’esigenza di ridefinire gli assetti normativi e concorrenziali nel settore degli ordini professionali.

Tra i principi ispiratori del nuovo scenario regolatorio una parte rilevante avrà la constatazione che l’interesse del cittadino è garantito dal prezzo del servizio e dalla sua accertata qualità.. Gli ordini professionali svolgono una funzione essenziale al riguardo, rientrando nei loro compiti quello di valutare preventivamente la capacità del professionista di esercitare la professione , e di definire, nell’ambito delle norme esistenti, un insieme di "parametri di riferimento" per le tariffe.

Va riconosciuto che le professioni costituiscono un insieme eterogeneo che pone problematiche diverse a seconda si tratti di professioni disciplinate da un ordine, semplicemente riconosciute, oppure professioni emergenti che aspirano ad una regolamentazione.

Per alcune fattispecie, al fine di consentire un più ampio operare dei meccanismi concorrenziali, si stanno apprestando strumenti legislativi che consentano l’istituzione di associazioni professionali che, senza avere carattere di esclusività, rappresentino comunque un adeguato indice di qualità professionale a tutela

dell’utente. Per quanto riguarda i professionisti che esercitano attività non riservate in esclusiva dalla legge, è opportuna l’istituzione di un registro per il riconoscimento delle libere associazioni di prestatori di attività professionali non regolamentate.

Infine, lo sviluppo di un mercato concorrenziale può essere senza dubbio favorito dalla possibilità di costituire società tra professionisti. Tuttavia, a garanzia del cliente, è opportuno che la responsabilità sia attribuita in solido alla società, che la partecipazione di soci esclusivamente finanziatori sia limitata alle professioni tecniche e che la creazione di società multiprofessionali sia esclusa per alcune fattispecie.CONCORRENZA E PREZZI

L’esigenza di portare a termine il processo di convergenza del tasso di inflazione italiano verso quello dei principali concorrenti europei si è accentuata con l’ingresso dell’Italia nell’area dell’Euro. Con l’avvento della moneta unica, perdite di competitività dovute ad un differenziale positivo di inflazione non sono più

compensabili da svalutazioni della valuta nazionale.

Il processo di convergenza ha conosciuto un ulteriore impulso nella seconda metà degli anni 90 e, a partire dall’anno 2001, la forchetta rispetto al tasso medio di inflazione europeo sembra essersi chiusa. Eguale tendenza si intravede nella variabile inflazione di fondo, che è il tasso d’inflazione depurato dalle componenti volatili rappresentate dai prezzi dei beni energetici e dei prodotti alimentari freschi.

Non per questo si deve ritenere concluso lo sforzo di contenimento della dinamica dei prezzi interni; infatti permane un differenziale positivo con la Francia e la Germania (pari nel 2001 rispettivamente a 0,9 e 0,3 per cento). Inoltre va notato che il dato aggregato è spinto verso l’alto dai tassi d’inflazione di alcuni Stati che presentano – contrariamente all’Italia – un livello dell’output significativamente maggiore di quello potenziale o che si trovano ancora in una fase di convergenza dei prezzi nazionali rispetto al livello medio dell’area dell’euro. Si osserva infine, che la componente dei servizi che entra a far parte del paniere dei beni utilizzato per il computo dell’inflazione presenta ancora un differenziale marcatamente positivo.

(…)

Il grafico successivo evidenzia le voci dell’indice dei servizi che hanno accresciuto il differenziale dell’inflazione dei servizi rispetto all’area dell’Euro; i valori prospettati rappresentano lo scostamento rispetto al differenziale medio delle singole componenti. Tali voci risultano essere i servizi legati ai trasporti, al turismo, alla comunicazione ed i servizi domestici. Non necessariamente quei settori che in

Italia hanno registrato tassi di crescita dei prezzi inferiori alla dinamica dell’indice generale hanno portato ad una riduzione del differenziale d’inflazione con l’Europa.

Il caso dei servizi relativi alla comunicazione ne è una riprova: pur in presenza di una dinamica molto contenuta del loro prezzo (o in alcuni periodi di una riduzione), il grafico mostra che tra il 1997 ed il 2000 tale settore ha contribuito ad aumentare il differenziale.

La costruzione dei differenziali d’inflazione per macrovoci (elaborate da Eurostat) costituisce un primo livello di analisi; lo stadio successivo è volto ad isolare alcune delle voci di spesa che determinano l’andamento non virtuoso delle macrovoci.

L’esame del comportamento relativo rispetto all’Europa dei prezzi di alcune voci rilevanti – nonché le conseguenti prescrizioni di policy – deve tenere conto di alcuni elementi "istituzionali", quali il diverso timing delle riforme nel nostro paese, e della storia pregressa del settore di riferimento, come nel caso del diverso livello di partenza dei prezzi italiano rispetto ai prezzi europei.

Nel caso dei servizi di trasporto, l’indice include i premi delle assicurazioni per mezzi di trasporto, oggetto di ripetuti e notevoli rincari. Un’altra componente inflattiva si rinviene nelle tariffe ferroviarie, le quali evidenziano per l’Italia una dinamica dei prezzi superiore a quella dei principali partner europei, ma presentano livelli di prezzo inferiori (considerando sia i valori assoluti che i livelli espressi in parità di potere di acquisto).

(…) In relazione ai servizi di comunicazione, la tendenza evidenziata dai differenziali riflette essenzialmente l’andamento dei prezzi dei servizi di telecomunicazioni che, pur registrando riduzioni inferiori rispetto a quanto avvenuto negli altri Paesi, presentano in Italia livelli di partenza inferiori per le tariffe locali ed internazionali (verso gli USA).

Una analisi integrativa condotta sull’indice per l’intera collettività nazionale nel periodo 1996-2001, mostra che la componente trainante del comportamento dei servizi è costituita dal comparto dei servizi privati. La liberalizzazione dei prezzi in presenza di un mercato scarsamente concorrenziale, si è tradotta in una accelerazione delle dinamiche di prezzo: è il caso delle assicurazioni sulla responsabilità civile, aumentate del 92 per cento nei 6 anni dal 1996 al 2001, a fronte di una crescita dell’indice generale del 16 per cento. La crescita dei prezzi dei servizi pubblici (ivi inclusi acqua, gas ed energia elettrica), individuati come quelli le cui tariffe sono fissate dal CIPE o dalle Autorità di settore, è stata influenzata, da un lato, da alcune voci tariffarie (acqua potabile e trasporti ferroviari) il cui aumento, volto al risanamento economico-finanziario e strutturale delle imprese, è collegato al miglioramento della qualità del servizio offerto.

Alcune tariffe, invece, quali quelle del gas e dell’energia elettrica, presentano livelli medi di prezzo superiori a quelli degli altri Paesi europei e, nonostante il confronto dei dati medi abbia di validità limitata, i risultati ottenuti mettono in evidenza dei problemi di carattere strutturale esistenti in Italia nei due settori.

Le evidenze finora esposte portano a concludere che la dinamica più accentuata dei prezzi dei servizi e, in particolare, dei prezzi dei servizi privati, meno esposti alla concorrenza internazionale, indebolisce la competitività dell’economia. Infatti, benché la competitività si misuri in termini di prezzo relativo dei settori esposti alla concorrenza (per i quali il tasso di inflazione italiano è attualmente allineato a

quello estero), elevati prezzi nei servizi non esposti alla concorrenza costituiscono un costo per i produttori dei beni esposti alla concorrenza (agendo quindi indirettamente sulla dinamica di questi e/o limitando i loro profitti). Al contempo si verifica una riduzione di reddito reale per i consumatori, con l’effetto di comprimere la domanda interna.

(…)

PRIVATIZZAZIONI ED EVOLUZIONE FINANZIARIA IN ITALIA

I paesi che dispongono di mercati azionari più sviluppati sono avvantaggiati, soprattutto in fasi di intenso mutamento tecnologico, perché il riorientamento dei flussi finanziari verso le attività innovative è più veloce e ciò ne accelera la crescita. Al riguardo, nello scorso decennio, l’evoluzione finanziaria è stata più significativa in Italia che altrove: dal 10 per cento dei primi anni ’90, la capitalizzazione di Borsa

in rapporto al PIL si è portata al 70 per cento nel 2000 e si attesta al 55 per cento, anche dopo la fase calante dei corsi dell’ultimo biennio; inoltre è notevolmente aumentata la liquidità del mercato.

Il marcato sviluppo della Borsa italiana si è materializzato di concerto non solo a una prolungata fase di aumento dei corsi azionari italiani ed esteri, ma anche all’attuazione di un vasto programma di privatizzazioni di imprese pubbliche, che ancora ai primi anni ’90 rappresentavano circa il 19 per cento del valore aggiunto, il 24 per cento della formazione lorda di capitale fisso e il 16 per cento dell’occupazione non agricola. Negli anni 1990-2000, in effetti, il volume delle dismissioni pubbliche –sia in valori assoluti che in rapporto al PIL – e anche il ricorso alle OPV sul mercato sono stati massimi in Italia rispetto agli altri principali paesi interessati dal fenomeno (fig. A)13.

Alla vigilia della prevista ripresa delle dismissioni pubbliche è perciò utile chiedersi se e in che misura, oltre ai benefici per il bilancio pubblico e l’efficienza gestionale delle imprese, le passate privatizzazioni abbiano giovato al Paese contribuendo a espandere la Borsa.

Vi sono due canali attraverso cui le privatizzazioni possono ispessire la Borsa. Da un lato, si ha un effetto meccanico per l’ingresso al listino di società prima non quotate, ovvero per l’aumento di liquidità dovuto alla riduzione della partecipazione pubblica in società già quotate. Ma più interessante appare l’altro canale: le privatizzazioni possono far crescere la Borsa indirettamente, contribuendo a modificare l’atteggiamento dei risparmiatori nei confronti delle azioni.

Con riferimento al caso italiano, sul primo canale, sebbene sia ardua una quantificazione precisa, si può inferire il significativo contributo delle principali società interamente o parzialmente privatizzate14 alla capitalizzazione della Borsa italiana –il 42 per cento a fine marzo 2002– e alla sua liquidità –il rapporto tra scambi su queste società e scambi totali è salito dal 13 per cento del 1995 al 44 per cento dei primi mesi del 2002. L’interesse dei risparmiatori per le società privatizzate15 è inoltre testimoniato dal fatto che, mediamente: (i) le azioni richieste sono state il doppio di quelle assegnate; (ii) l’underpricing – cioè l’aumento del valore dell’azione il giorno successivo al collocamento, corretto per l’andamento del

Mibtel e per il beneficio dovuto alla bonus share– ponderato è stato del 9 per cento, valore ben inferiore al 34 per cento stimato con la stessa metodologia su un campione di 630 emissioni relative a privatizzazioni realizzate da 59 governi16. Sul periodo 1979-1999, l’Italia è seconda per introiti da privatizzazioni, dietro al Regno Unito le cui dismissioni si concentrarono negli anni ‘80.

(…)

Riguardo al secondo canale, si può ipotizzare che le privatizzazioni abbiano dato un apporto a diffondere la cultura azionaria presso le famiglie italiane. In effetti, nello scorso decennio, la partecipazione delle famiglie all’investimento azionario è cresciuta nei principali paesi sviluppati: tra il 1989 e il 1998, la percentuale di famiglie che, direttamente o indirettamente, investono in azioni è salita dal 32 al 49

per cento negli Stati Uniti, dal 23 al 31 per cento nel Regno Unito, dal 12 al 16 per cento (dato 1995) in Germania e dall’11 al 19 per cento in Italia17. E, proprio analizzando l’evoluzione in Italia, è stato osservato che l’investimento delle famiglie in attività rischiose si accresce più quando nuove famiglie scelgono di partecipare a questo tipo di investimento, piuttosto che con l’aumento dell’investimento per le

famiglie che già vi partecipano. Ciò esalta il ruolo giocato dalla disponibilità di informazioni sulle attività finanziarie che possono ridurre i "costi di partecipazione" delle famiglie.

Una prima evidenza sull’impatto delle privatizzazioni sulle famiglie italiane è fornita dal fatto che le OPV del programma di dismissioni italiano hanno coinvolto quasi 20 milioni di individui19 –solo 467.000 dei quali dipendenti delle società collocate– e a fine di maggio 2001 gli azionisti delle imprese privatizzate

superavano gli 8,2 milioni, valore non molto distante dai 10 milioni di azionisti creati con le privatizzazioni britanniche.

Si può inoltre verificare empiricamente l’ipotesi su un database raccolto presso il Tesoro in occasione delle varie operazioni di privatizzazione, realizzate tra novembre 1995 e novembre 1999. In pratica, per ogni operazione, venivano condotte varie indagini di mercato: quella iniziale prima di avviare la campagna pubblicitaria per l’OPV, quelle intermedie mentre la campagna era in corso e quella

finale al termine della campagna e a ridosso del lancio dell’OPV. Le indagini erano condotte su campioni casuali invariabilmente (da una stessa società) con metodo e approccio stabili. È ragionevole ipotizzare che queste campagne pubblicitarie abbiano esogenamente accresciuto per le famiglie italiane la diffusione di informazioni sull’investimento azionario, riducendo i costi di partecipazione e aumentando la detenzione di azioni.

In effetti, il grado di notorietà delle OPV in corso da parte degli intervistati è cresciuto significativamente dall’11 per cento della prima tranche ENI del 1995 al 42 per cento della privatizzazione ENEL del 1999. Inoltre, si riscontra una correlazione positiva tra l’aumento della notorietà dell’imminente OPV –come

risultato della campagna pubblicitaria– e l’incremento della propensione da parte degli intervistati ad acquistare quella OPV (figura B). Tuttavia, questa correlazione non è pienamente soddisfacente perché non controlla per le caratteristiche degli intervistati e per gli andamenti di Borsa, che potrebbero influenzare la propensione ad acquistare l’OPV. Controllando per questi fattori –mediante una analisi

statistica– si è stimato che a un aumento della notorietà del 10 per cento si associa un incremento della propensione all’acquisto dell’OPV compreso tra lo 0,5 e l’1 per cento. Dato che, tra la priva tranche ENI e la privatizzazione ENEL, la notorietà è mediamente aumentata di trenta punti, si può stimare che il solo effetto delle campagne pubblicitarie abbia mediamente accresciuto la propensione ad acquistare

le OPV da un minimo dell’1,5 per cento a un massimo del 3 per cento. Ma, com’è facile comprendere, il mero impatto delle campagne pubblicitarie sottostima l’effetto delle privatizzazioni sulla detenzione di azioni. Infatti, così facendo si quantifica soltanto l’effetto "locale" –relativo alla singola OPV– mentre ben maggiore sarebbe stato quello "globale" e cumulato.

Quest’ultimo, più difficile da precisare, è legato a un insieme di fattori che hanno operato progressivamente nel tempo, determinando un aumento della domanda di azioni. Infatti, in buona misura grazie al processo di privatizzazioni e al susseguirsi delle connesse campagne pubblicitarie, un pubblico sempre più ampio ha preso dimestichezza con le azioni e le loro caratteristiche di rendimento e rischio. È

dunque l’aumento di informazione legata alle privatizzazioni ad aver fornito un decisivo contributo alla diffusione dell’investimento in azioni presso le famiglie italiane. Perciò, le dismissioni pubbliche sono state un importante motore per lo sviluppo della Borsa, agevolando così per le imprese italiane il rafforzamento della capitalizzazione e il raggiungimento di una struttura finanziaria più equilibrata, con una riduzione del peso del debito bancario.

(…)

IV.5.2 Le politiche agricole

L’obiettivo del rafforzamento del sistema agricolo, agroalimentare e della pesca italiano è strategico per lo sviluppo del Paese. Il Governo intende proseguire le politiche avviate nel 2001 per il rilancio del settore, in coerenza con il "Programma di legislatura". Anche nella prospettiva della revisione di medio termine della Politica Agricola Comune, una politica nazionale diviene indispensabile per sostenere la competitività delle nostre imprese nel processo di globalizzazione attraverso strumenti di riposizionamento nei mercati premianti la qualità dei prodotti e dei processi.

Il sistema agroalimentare ha già dato prova di rinnovata competitività conquistando nuovi spazi sui mercati internazionali, orientandosi verso la qualità, aumentando il livello di tutela del consumatore ed incorporando i servizi nei prodotti.

Per affrontare queste sfide, le politiche strutturali comunitarie non sono sufficienti: è necessario che il Governo recuperi una prospettiva strategica degli interventi. Una strategia, che partendo dalla individuazione e riconoscimento di realtà territoriali e settoriali di successo, come i distretti agroalimentari o le filiere di prodotti di qualità, porti al rafforzamento di più ampi segmenti della nostra agricoltura.

Proprio nell’attuale momento in cui caratteristiche qualitative richieste dai consumatori europei per i prodotti agroalimentari, vengono a corrispondere sempre più con quelle delle produzioni italiane, in quanto determinate dalla tradizione e dalla vocazionalità del territorio, è necessario passare da una qualità dei prodotti ad una qualità del sistema. Vanno, perciò, combattute con forza le tendenze alla "contraffazione" dei prodotti agricoli ed agro alimentari italiani per coglierne la notorietà avvalendosi dei bassi costi delle materie prime di altra provenienza.

La competitività del sistema agroalimentare italiano deve quindi essere supportata da una qualificazione della componenti istituzionali che si pongano a garanzia ed a tutela del consumatore, della qualità dei sistemi agroalimentari e delle denominazioni protette.

La mancata salvaguardia della qualità significherebbe commettere un grave errore per il sistema, complessivamente inteso, già nel medio periodo e costituirebbe una grave scorrettezza per i consumatori, rendendo sempre più difficile la tracciabilità e tutte le forme di certificazione a difesa dei consumatori.

L’assenza di una organica politica agricola nazionale ha inoltre determinato situazioni di emergenza e precarietà normativa. Tutto ciò ha avuto un duplice costo: a) per il bilancio dello Stato, che ha dovuto fronteggiare le emergenze strutturali con ingenti interventi finanziari congiunturali;

b) per il settore agroalimentare, al quale sono state sottratte le risorse per lo sviluppo.

Il Governo italiano si è già inserito con autorevolezza nel dibattito di revisione di medio termine della Politica Agricola Comunitaria con una decisa posizione di riorientamento degli interventi comunitari verso la qualità e la sicurezza alimentare, il rispetto ambientale e la difesa dei livelli occupazionali, anche in vista di un riequilibrio delle erogazioni a favore dell’agricoltura nel nostro Paese. Una posizione capace di far collimare, nel tempo, le posizioni dei consumatori e contribuenti europei con quelle

degli agricoltori, italiani in particolare.

Il Governo, inoltre, ha avviato una nuova fase di relazioni tra Stato e Regioni sulla base del nuovo Titolo V della Costituzione. Questo nuovo rapporto tra i diversi livelli di governo, è un importante inizio perché il processo federalista avviato rappresenti una nuova opportunità di sviluppo. Infatti, d’intesa con la Conferenza Stato- Regioni, il Governo ha presentato in Parlamento il Disegno di legge collegato ordinamentale "Disposizioni in materia di agricoltura". Tale provvedimento conferisce una delega

specifica per la modernizzazione del settore agricolo, agroalimentare e della pesca al fine di costituire l’architettura normativa per le riforme previste nel programma governativo. I principali contenuti della delega sono i seguenti:

• sviluppare tutte le potenzialità imprenditoriali ed accrescere la competitività delle imprese, attraverso l’armonizzazione della normativa fiscale e previdenziale alla nuova figura di imprenditore agricolo e della pesca, incentivando forme societarie innovative, l’introduzione di nuovi strumenti finanziari e assicurativi e favorendo l’insediamento e la permanenza di giovani nel settore;

• sviluppare ed agevolare forme organizzative efficienti, al fine di supportare la posizione competitiva sul mercato dell’intero sistema agricolo ed agroalimentare anche attraverso forme di regolamentazione dei mercati;

• tutelare il consumatore e la sicurezza alimentare attraverso sistemi di tracciabilità, certificazione, etichettatura e controllo a garanzia della qualità delle stesse produzione e del processo;

• promuovere l’internazionalizzazione del sistema agroalimentare, anche attraverso nuovi strumenti e una strategia di comunicazione incisiva per i consumatori esteri;

• assicurare un idoneo supporto allo sviluppo occupazionale nel settore della pesca.

Il Governo, attraverso una riqualificazione della spesa ed i necessari investimenti strutturali, con il presente Documento di Programmazione Economica e Finanziaria, si pone i seguenti obiettivi:

1. Competitività delle imprese agricole ed agroalimentari e della pesca: liberare l’impresa dai vincoli, attraverso:

• la riqualificazione dei fattori della produzione e dei servizi, favorendo il ricambio generazionale e l’innovazione di processo e di prodotto;

• l’introduzione di strumenti finanziari ed assicurativi per favorire l’accesso al mercato dei capitali ed una efficace gestione del rischio d’impresa al di fuori delle misure di emergenza;

• la ridefinizione del sistema fiscale e previdenziale per il settore orientata alla creazione di occupazione e all’emersione delle attività sommerse, verificando i risultati ottenuti dalla prima applicazione del credito d’imposta in agricoltura;

• il rafforzamento e creazione di distretti agricoli ed agroindustriali, soprattutto nel Mezzogiorno, attraverso un rilancio della politica di ricomposizione fondiaria e la specializzazione degli strumenti della programmazione negoziata;

• la realizzazione delle necessarie infrastrutture materiali ed immateriali, anche in relazione alla maggiore efficacia dell’assetto istituzionale e gestionale del settore della distribuzione irrigua dell’acqua, attraverso specifici accordi di programma quadro nell’ambito delle Intese istituzionali di programma;

• lo sviluppo delle produzioni non alimentari.

2. Organizzazione, regolazione dei mercati ed internazionalizzazione: crescere per esportare, attraverso:

• il miglioramento della regolazione dei mercati e l’internazionalizzazione, favorendo il raggiungimento di economie di scala nei servizi attraverso forme organizzative innovative di filiera e di distretto;

• la promozione e la diffusione di servizi logistici e commerciali qualificati, al fine di favorire una maggiore penetrazione sui mercati internazionali;

• la definizione di una strategia di comunicazione e di promozione fondata sul legame con il territorio e la qualità riconosciuta delle produzioni alimentari italiane e mirata alla penetrazione dei nostri prodotti sui mercati interni e internazionali.

3. Qualità e tutela del consumatore, attraverso:

• il rafforzamento delle organizzazioni di filiera e dell’interprofessione per migliorare la qualità dei prodotti e la sicurezza del consumatore in termini sia di sicurezza igienico-sanitaria, sia di origine della materia prima, attraverso la promozione di un sistema di tracciabilità, articolato per filiera;

• il miglioramento della trasparenza ed efficienza delle strutture di controllo e certificazione (pubbliche e private) per accrescere la tutela del consumatore;

la promozione di una politica di educazione alimentare e di informazione del consumatore.IV.5.3 Innovazione tecnologica e telecomunicazioni

L’innovazione è uno dei principali fattori della crescita economica, sia a livello microeconomico, sia a livello macroeconomico. È pertanto urgente e necessario superare i ritardi che l’Italia registra sotto molti aspetti.

Figura III.5.3.1 Rapporto spesa IT su PIL negli anni novanta

(…)

Il Governo, quindi, nei tempi e nei limiti compatibili con gli equilibri di finanza pubblica si è posto i seguenti obiettivi:

• migliorare efficienza ed efficacia della Pubblica Amministrazione Centrale e Locale facendo leva sull’e-Government;

• favorire l’adozione di politiche industriali e finanziarie per la diffusione dell’ICT, con particolare riguardo alle PMI e al Sud;

• definire un quadro normativo favorevole allo sviluppo della Società dell’Informazione;

• adottare un Piano d’azione per la diffusione della Larga Banda;

• stimolare la crescita del capitale umano e prevenire forme di esclusione attraverso l’uso di nuove tecnologie;

• garantire al Paese un ruolo di primo piano nella elaborazione delle politiche comunitarie e nella cooperazione internazionale.

Le linee di azione di cui agli ultimi due punti sono trattate nelle sezioni dedicate ai settori corrispondenti in questo DPEF.

Politiche industriali, finanziarie e per il Mezzogiorno.

Il Governo intende promuovere l’economia ICT sia sul fronte della domanda, sia su quello dell’offerta

attraverso la ricerca applicata ICT ed il suo trasferimento industriale, lo sviluppo del Commercio Elettronico attraverso interventi che mirino all’accrescimento della fiducia degli utenti ed alla definizione del quadro normativo, l’adozione delle tecnologie ICT nel mondo produttivo, in particolare nelle PMI, l’utilizzo del telelavoro, della telemedicina e la diffusione delle tecnologie ICT nel turismo e nella

fruizione dei beni culturali.

Quadro normativo.

Obiettivo del Governo è superare l’attuale frammentazione in materia di normativa ICT per il settore pubblico e privato, semplificandola e realizzando uno strumento di riferimento utile per le Pubbliche Amministrazioni, i cittadini e le imprese, che abbia anche una funzione di promozione dell’ICT nel 0Paese.

Comunicazioni.

Nel settore delle comunicazioni, il Governo definirà il nuovo assetto regolatorio del settore, ormai riferito al complesso delle "reti di comunicazione elettronica".

L’accesso a larga banda, l’UMTS e la televisione digitale terrestre sono le nuove reti digitali terrestri, rispetto a cui è urgente definire il necessario quadro di riferimento per gli operatori e il mercato. Si tratta di un sistema di reti, convergenti tra loro, che supporterà i nuovi servizi interattivi, consentendo la piena transizione verso la Società dell’informazione.

In quest’ottica sarà data priorità alle politiche che favoriscono l’offerta di nuovi servizi ai cittadini e alle imprese sostenendo la transizione verso le nuove tecnologie e le nuove reti terrestri, integrandole con i sistemi di comunicazione satellitare, anche nella prospettiva delineata dal progetto "Galileo".

Dal punto di vista della domanda, proseguirà l’agevolazione per l’acquisto di apparati per l’accesso alle reti (decoder , modem, router).

La transizione verso la televisione digitale terrestre costituisce un obiettivo di medio termine, che richiede misure immediate di sperimentazione, indirizzo e sostegno, considerata la scadenza del 2006. L’obiettivo prioritario è quello di sostenerne la pubblica sperimentazione, anche attraverso l’utilizzo del mezzo satellite, e di indirizzarla verso un modello di offerta di contenuti che ne faccia lo strumento universale per offrire ai cittadini i servizi resi dalla Pubblica Amministrazione (dai servizi di telemedicina, alla teleprenotazione, alla posta, al fisco, ai rapporti con la amministrazione locale). A tal fine, la transizione verso la televisione digitale terrestre sarà favorita attraverso misure volte a sostenere l’acquisto degli apparati di utente e ad agevolare le ristrutturazioni edilizie necessarie alla realizzazione di impianti centralizzati d’antenna ed all’accesso anche dei singoli alla banda larga. Banda Larga. Il Governo si impegna a stimolare la diffusione della banda larga attivando interventi infrastrutturali e di promozione della domanda pubblica e privata. A tale fine il Governo, per quanto di sua competenza, rimuoverà i vincoli amministrativi che attualmente ne frenano lo sviluppo. L’obiettivo strategico sarà quello di portare la banda larga alla quasi totalità delle sedi della Pubblica Amministrazione aumentandone la copertura dall’attuale 20 per centoa circa il 90 per cento, in coerenza con gli obiettivi previsti nel piano e-Europe 2005. Saranno utilizzati strumenti finanziari per evitare la marginalizzazione delle periferie urbane e, più in generale, delle aree meno sviluppate. Saranno inoltre adottate iniziative che consentano l’utilizzo dei fondi strutturali europei che si rendessero disponibili e gli strumenti a disposizione della neo costituita "Infrastrutture S.p.A."


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