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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo

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SENATO DELLA REPUBBLICA
XIV  LEGISLATURA
249ª SEDUTA PUBBLICA
RESOCONTO STENOGRAFICO
Giovedì 3 ottobre 2002

Discussione dei disegni di legge:
(1306) Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale
(1251) CORTIANA ed altri. – Legge-quadro in materia di riordino dei cicli dell'istruzione

ASCIUTTI, relatore.

Signor Presidente, onorevole Ministro, senatrici e senatori, come feci in Commissione aprendo l'iter del provvedimento, anche ora in questa sede ritengo più che opportuno rivedere insieme, attraverso un sintetico excursus storico, il percorso compiuto nell'arco di oltre un secolo dai nostri legislatori nel tentativo di regolamentare il sistema scolastico italiano. (...)
Come dicevo, la memoria, la storia sono elementi preziosi per confrontarsi e diventano strumenti efficaci per il cambiamento, l'evoluzione. Ritengo infatti indispensabile ricordare insieme quello che la nostra scuola è stata nel corso di più di un secolo, a seconda del contesto storico e politico che nel tempo ha determinato la sua struttura e i suoi contenuti. Così facendo intendo ancora una volta sottolineare il significato essenziale che essa ha rivestito e riveste nel percorso di sviluppo del nostro Paese, oltre che esserne vera e propria immagine speculare. (...)
Nel tracciare questo breve percorso storico si può osservare intanto una analogia comune ai passaggi salienti che hanno contrassegnato la lunga vicenda delle grandi riforme scolastiche del nostro Paese.
Quando il ministro Gabrio Casati nel novembre 1859 elaborò la prima e unica legge organica dell'ordinamento scolastico italiano prima della riforma Gentile, l'Italia, oltre che essere nel momento culminante del suo processo di unificazione, viveva in maniera molto forte il dibattito sulla istituzione delle Regioni.
L'anno successivo il ministro Terenzio Mamiani, cui spettò il compito di attuare la legge Casati attraverso regolamenti e programmi, pensò di istituire una Commissione con il compito di discutere e di preparare un nuovo ordinamento delle leggi scolastiche conforme ai voti manifestati dal Parlamento e ai princìpi amministrativi del nuovo Regno. Non si istituirono le Regioni e non si modificò sostanzialmente la legge Casati, ma la successiva riforma scolastica, che porta il nome di Giovanni Gentile, vide la luce assieme al nuovo assetto dello Stato fascista. I passi successivi si svolsero in era repubblicana, nella XIII legislatura con il ministro Berlinguer e ora, nella XIV legislatura, con il ministro Moratti.
Così il Parlamento si accinge a porre mano all'articolazione del sistema scolastico in concomitanza con un processo riformatore che ha ridisegnato il rispettivo ruolo dello Stato e delle Regioni e che ha preso corpo grazie alla nuova formulazione del Titolo V della Costituzione.
In buona sostanza, intendo sottolineare come la storia stessa del nostro Paese testimoni il fatto che le classi dirigenti hanno sempre interpretato il problema dell'organizzazione della scuola come un aspetto fondamentale – naturalmente con proprie e peculiari caratteristiche – dell'organizzazione dello Stato.
Ma la scuola, come dicevo in precedenza, è realmente l'immagine speculare della organizzazione di uno Stato in quanto matrice educativa dei suoi componenti e, in quanto tale, lo identifica.
Perciò, l'iter di questo provvedimento segna un passo fondamentale in quel percorso storico attraverso il quale, se ve ne fosse necessità, si potrà meglio intravedere l'enorme responsabilità dei legislatori del passato e del presente.
Tornando alla «legge Casati», all'epoca essa rifletteva la realtà piemontese e lombarda per cui era stata concepita. Ne è testimonianza la linea accentratrice già delineata nel Piemonte sabaudo. Essa divideva l'istruzione umanistica da quella tecnica, considerando quest'ultima inferiore alla prima e inoltre affidava l'istruzione professionale al Ministero dell'agricoltura e del commercio il quale, dal 1861, avrà anche la responsabilità degli istituti tecnici.
L'istruzione elementare, affidata ai comuni, era divisa in due gradi, inferiore e superiore, ognuno formato da due classi distinte. L'istruzione elementare era gratuita, con obbligatorietà del corso inferiore per tutti i fanciulli dai sei agli otto anni, e veniva impartita dallo Stato per mezzo dei comuni. Anche l'istruzione secondaria classica era articolata in due gradi: il ginnasio, della durata di cinque anni, e il liceo, di tre.
C'erano poi le scuole tecniche, la scuola tecnica e l'istituto tecnico, entrambi di durata triennale, e le scuole normali, di durata biennale o triennale per la preparazione, rispettivamente, dei maestri elementari di grado inferiore o superiore. Infine, tutte le autorità scolastiche, oltre che i membri del consiglio superiore dell'istruzione e di quelli provinciali erano di nomina regia o ministeriale, mentre la spesa per l'istruzione pubblica si concentrava sull'università e sull'istruzione secondaria e classica. I costi relativi all'istruzione primaria, al reperimento dei locali e al pagamento dei maestri erano totalmente a carico dei comuni.
Un primo e rilevante intervento riformatore è datato giugno 1877, con la legge voluta dal ministro Michele Coppino, le cui peculiarità erano l'obbligatorietà dell'istruzione elementare inferiore, dai sei ai nove anni di età, la sua gratuità e aconfessionalità. L'applicazione della legge era graduale e subordinata al raggiungimento di una determinata proporzione fra il numero dei docenti e la popolazione complessiva dei comuni, ma è importante segnalare che le autorità preposte avevano la facoltà di procedere a impostare d'ufficio la spesa necessaria nei bilanci comunali, al fine di ottemperare all'obbligo di istituzione e mantenimento delle scuole.
In questo stesso periodo di tempo, gli istituti tecnici vennero riportati nell'ambito della pubblica istruzione, ma furono organizzati confermando il modello originale di Casati. Erano cioè divisi in cinque sezioni: fisico-matematica, industriale, agronomica, commerciale e ragioneria. Solo la prima sezione, per altro, permetteva l'iscrizione alle facoltà di scienze matematiche, fisiche e naturali. Nel 1879 e nel 1880 due successive circolari del Ministero dell'agricoltura e del commercio sollecitarono gli enti locali e le camere di commercio a creare scuole di arti e mestieri, cogliendo un'effettiva domanda proveniente dal mondo artigiano e dalla stessa classe lavoratrice.
In epoca giolittiana fu il settore elementare ad essere attraversato da importanti riforme. Conviene ricordare in proposito la legge Orlando del 1904, che estendeva l'obbligo scolastico fino al dodicesimo anno di età, ma solo nei comuni che avessero istituito il corso elementare superiore, e stabiliva che coloro i quali intendevano proseguire gli studi potevano sostenere, compiuta la quarta classe elementare, un esame speciale di maturità per l'ammissione alle scuole secondarie.
Successivamente la legge Daneo-Credaro, del 1911, avocò allo Stato gran parte dell'istruzione primaria, ma tale passaggio venne limitato ai comuni non capoluogo ed inoltre le scuole sottratte ai comuni vennero amministrate da un consiglio scolastico provinciale, la cui composizione prevedeva comunque una forte componente di membri direttamente designati dai consigli comunali.
Le ulteriori e profonde esigenze di rinnovamento che percorsero tutta l'istruzione non si concretarono invece in una proposta organica. La crisi economica che avanzò negli anni tra il 1907 e il 1911 e poi la guerra impedirono che si realizzasse nella sua massima ampiezza l'ipotesi di riforma che l'età giolittiana aveva elaborato.
Dopo un ultimo tentativo nel dopoguerra di affrontare i problemi della scuola nel quadro dello Stato liberale da parte di Giolitti e di Croce (quest'ultimo Ministro della pubblica istruzione dal 1921 al 1922), il nuovo sistema d'istruzione venne elaborato nell'ambito del Governo Mussolini con i decreti-legge che compongono la riforma Gentile.
Era un sistema che si basava sulla forte selezione delle classi dirigenti nell'asse portante liceo-università, attraverso la preminenza del liceo classico, unica scuola che apriva l'accesso a tutte le facoltà universitarie. L'istruzione tecnica e quella professionale erano affidate ad altri Ministeri specifici, a testimonianza della minore considerazione in cui erano tenute. Solo i ragionieri e i geometri rimanevano nel quadro della Pubblica istruzione.
Più nel dettaglio, l'istruzione elementare era articolata in tre gradi: preparatorio, per i fanciulli dai 3 ai 6 anni, non obbligatorio; inferiore, della durata di 3 anni; superiore, della durata di 2 anni. Ma il corso elementare vero e proprio veniva stabilito in 5 anni, abolendo la possibilità, contemplata nella legge Orlando del 1904, di sostenere l'esame di ammissione alla scuola secondaria alla fine della quarta classe.
L'istruzione obbligatoria veniva elevata al quattordicesimo anno di età e prevedeva, oltre il livello della scuola elementare, la frequenza di un ulteriore corso integrativo di avviamento professionale della durata di tre anni. Le scuole secondarie erano a loro volta articolate in una serie di gradi di durata diversa, a seconda della loro tipologia. L'accesso ad esse era regolato secondo il criterio dell'esame di ammissione e prevedeva per ogni istituto un numero chiuso. Il livello più basso dell'istruzione secondaria veniva impartito nella scuola complementare, nel corso inferiore dell'istituto tecnico e dell'istituto magistrale, e nel ginnasio. Il livello ulteriore si articolava nel corso superiore dell'istituto tecnico e di quello magistrale, nel liceo scientifico, nel liceo classico e infine nel liceo femminile di durata triennale e senza ulteriori sbocchi.
Nel 1939 si intervenne ancora sul sistema di istruzione con la Carta della scuola ideata da Giuseppe Bottai, che avrebbe dovuto costituire la risposta agli impetuosi processi sociali della seconda metà degli anni Trenta, che in termini scolastici si tradussero in un notevole sviluppo quantitativo dell'istruzione, soprattutto per quanto riguarda gli istituti tecnici industriali, i licei scientifici e le magistrali. Il calendario dell'attuazione della riforma prevedeva la predisposizione di cinque leggi fondamentali da approvare gradualmente. Di queste l'unica effettivamente promulgata fu la n. 899 del 1940, relativa all'istituzione della scuola media di durata triennale valida per l'accesso alle scuole dell'ordine superiore, al liceo artistico e alle scuole dell'ordine femminile.
Dopo la Liberazione, il dibattito sulla scuola che si sviluppò in seno all'Assemblea costituente dovette necessariamente affrontare prima i gravi problemi legati alla devastazione della guerra, ovvero povertà e analfabetismo, e poi anche quello del ruolo dell'istruzione nella società dell'immediato futuro. L'accesa contrapposizione che si generò rispetto all'opportunità o meno di inserire la scuola nel testo della Costituzione sfociò in un compromesso tra le istanze dei cattolici e quelle della sinistra, che avevano visioni nettamente contrapposte sui rapporti tra Stato e scuola.
Il risultato furono gli articoli 33 e 34 della Costituzione, che sanciscono il diritto del cittadino ad avere una adeguata istruzione, l'obbligatorietà e gratuità dell'insegnamento fino a quattordici anni, il principio di agevolazione all'accesso ai più elevati gradi di istruzione per i più capaci e meritevoli, il diritto-dovere dello Stato di dettare norme generali in materia di istruzione e la sua prerogativa di rilasciare titoli di studio; infine, la libertà dei privati di creare scuole, ma senza oneri per lo Stato.
Da allora per rinvenire un significativo intervento legislativo nel settore dell'istruzione occorre attendere fino al 1962, anno di approvazione della legge n. 1859, firmata dal ministro Luigi Gui, che istituiva la scuola media unica e obbligatoria fino a quattordici anni.
Tale legge sanciva, tra l'altro, l'eliminazione dell'obbligatorietà del latino prevedendolo come materia autonoma e facoltativa nella terza classe. L'esame di licenza era trasformato in esame di Stato e dava accesso a tutte le scuole ed istituti di istruzione secondari di secondo grado, ma la prova di latino era considerata obbligatoria per poter accedere al liceo classico. Infine, si sanciva che il diploma di maturità scientifica dava accesso a tutte le facoltà universitarie esclusa quella di lettere e filosofia; eccezione che verrà meno nel 1969, quando venne liberalizzato l'accesso a tutti i corsi di laurea ai diplomati di qualsiasi istituto di istruzione secondaria di secondo grado.
Gli anni che vanno dal 1960 in poi vedono grandi mutamenti sociali e politici, che coinvolgono direttamente la scuola e che essa interpreta nei tentativi di democratizzazione e di sburocratizzazione degli apparati amministrativi. Sono anni importanti per la trasformazione che interviene; anni in cui assistiamo al fenomeno di massificazione della scuola e che avviano quel meccanismo di abbassamento del livello culturale complessivo che, ancora oggi, è una delle principali motivazioni che inducono alla riforma del sistema di istruzione.
Nel 1968, con la legge n. 444, lo Stato organizzò la scuola materna per l'accoglimento dei bambini nell'età prescolastica da tre a sei anni, con fini di preparazione alla frequenza della scuola dell'obbligo. Ancora una volta quindi i nodi da sciogliere rimanevano la secondaria e l'università. E in effetti, dopo la legge n. 119 del 1969 che introduceva in via sperimentale alcune innovazioni negli esami di Stato di maturità, dal 1970 si sono succedute nel tempo numerose proposte legislative per il riordino della scuola secondaria superiore, nessuna delle quali è riuscita a terminare il proprio iter legislativo: dal testo predisposto dall'allora ministro Misasi nella V legislatura a quello, di iniziativa della senatrice Alberici e di altri senatori, approvato dal solo Senato nel settembre 1993.
Negli anni a cavallo del 1980 si registrò una sostanziale crescita della domanda di formazione in tutto il Paese, esigenza legata ad un maggior grado di cultura dei cittadini, dovuto al fatto che essi, comprese le donne, erano meglio inseriti nel mondo del lavoro e che migliori erano le condizioni economiche del Paese. Nella scuola elementare, ad esempio, il graduale calo degli alunni frequentanti, dovuto al decremento della natalità, risultò un fattore significativo per esigere ed assicurare servizi più efficienti e più vicini agli standard medi dei Paesi europei. Tutto ciò accentrò l'attenzione sui programmi della scuola elementare che apparivano quanto mai anacronistici; in più, l'approvazione dei programmi della scuola media da poco avvenuta rendeva più urgente riformare quelli delle elementari.
Dal 1981, i ministri Bodrato prima e Falcucci poi avviarono l'elaborazione delle linee guida dei programmi delle elementari che, dopo un iter costruttivo piuttosto complesso, furono approvati nel febbraio 1985, esattamente 30 anni dopo i programmi Ermini.
Negli anni successivi il Parlamento legiferava ancora in tema di scuola elementare, approvando la legge n. 148 del 1990, che ha introdotto il cosiddetto «modulo organizzativo» di tre insegnanti su due classi (o di quattro su tre), ha previsto l'aggregazione delle materie per ambiti disciplinari e ha reso obbligatorio l'insegnamento della lingua straniera.
Arriviamo ai giorni nostri, quando, nel corso della XIII legislatura, viene elaborata la legge quadro di riforma dei cicli scolastici delineata dal ministro Berlinguer e a sua volta preceduta dalla legge n. 59 del 1997, che ha attribuito alle istituzioni scolastiche autonomia didattica, organizzativa, di ricerca e di sviluppo dotandole peraltro di personalità giuridica, dalla legge n. 425 del 1997, che ha riformato gli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore, e dalla legge n. 9 del 1999, con la quale l'obbligo scolastico è stato elevato da otto a dieci anni, sebbene il medesimo obbligo di istruzione sia rimasto di durata novennale fino all'approvazione del nuovo sistema scolastico e formativo.
Oggi il Parlamento si trova ad affrontare di nuovo il problema del riordino dei cicli scolastici, che ormai necessita di urgente risoluzione. Già in campagna elettorale, la Casa delle Libertà aveva del resto annunciato l'intento di rielaborare, di concerto con i diretti fruitori del sistema scolastico, una riforma del comparto scuola largamente attesa.
Altro elemento che impone la revisione del sistema scolastico è l'entrata in vigore della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, che, modificando il Titolo V della Costituzione, rivede le competenze di Regioni, comuni e province e vincola al rispetto dell'autonomia delle istituzioni scolastiche.
La precedente riforma tendeva a livellare il sistema mettendo in pericolo perni fondamentali della formazione culturale che lo Stato deve invece garantire. Il disegno di legge n. 1306, presentato dal Governo, intende dunque ripartire da alcuni precisi ed essenziali presupposti: il rispetto della Costituzione che sancisce il diritto allo studio per tutti; il rispetto della più recente normativa di riordino delle specifiche competenze legislative sulla materia, ripartite tra Stato e Regioni (come chiarito dall'articolo 1); il rispetto del diritto dei giovani a formarsi sia attraverso l'istruzione, sia attraverso la formazione professionale col presupposto, anch'esso sancito per legge, che entrambi i canali costituiscono due diverse modalità per giungere al medesimo obiettivo: quello della crescita e della formazione di una precisa individualità culturale e sociale.
Il rispetto di questi basamenti strutturali, insieme alle modalità attraverso le quali la riforma si snoda, garantisce anche il sistematico adeguamento al panorama scolastico europeo, ad oggi innegabilmente più idoneo del nostro a formare individui in grado di affrontare in futuro le sfide del mercato globalizzato.
L'impegno del legislatore deve pertanto essere quello di costruire un sistema che, tenendo conto dei presupposti appena citati, riesca a garantire una elevata qualità culturale e professionale attraverso un sistema unitario, ma al tempo stesso sufficientemente elastico da consentire ampia flessibilità, nella cornice del valore legale dei titoli di studio.
L'articolo 2 regola il percorso di formazione scolastica attraverso due cicli: uno primario, costituito dalla scuola primaria e da quella secondaria di primo grado; uno secondario, costituito dal sistema dei licei e da quello parallelo dell'istruzione e della formazione professionale.
Muovendo da criteri che individuano il compito precipuo dell'istruzione nella promozione, in tutto l'arco della vita, delle forme di apprendimento atte a formare e valorizzare la soggettività e la spiritualità umana, nonché nell'esaltazione delle attitudini e delle scelte individuali al fine ultimo di strutturare una personalità consapevole di sé, ma anche della propria appartenenza civile e storica, il disegno di legge n. 1306 interpreta ed esaurisce appieno il significato etimologico del verbo educare. È infatti questo in sostanza il processo educativo: una trasformazione progressiva che, attraverso l'apprendimento, produce un risultato. In questo senso il sistema scolastico che eroga metodi e contenuti di questo processo deve necessariamente essere di qualità elevata ed adeguato al compito che si prefigge.
Secondo l'asse del provvedimento il cammino formativo prende il via con la scuola dell'infanzia della durata di tre anni; essa per prima interviene, attraverso adeguate metodologie, ad educare lo sviluppo del bambino in termini di motricità, affettività e socialità: pone cioè le prime essenziali condizioni per quello che sarà il futuro inserimento nel mondo scolastico.
L'intento annunciato di consentire l'ingresso in questa fase anche a bambini che compiono i tre anni entro il 30 aprile dell'anno scolastico di riferimento, consente un ingresso anticipato con la prospettiva di condurre l'alunno alla fine dei due cicli all'età di poco più di 18 anni: si tenta infatti di adeguare la scuola italiana a quella europea, anche se esiste un cospicuo numero di nazioni nelle quali la durata degli studi necessari per accedere agli studi universitari è di 13 anni, per cui l'uscita avviene dopo i 18 anni. Mi riferisco alla Germania, alla Finlandia, alla Danimarca, alla Svezia, al Lussemburgo. Anche Paesi come la Francia, pur prevedendo l'uscita prima dei 19 anni, richiedono poi il baccellierato triennale di ulteriore preparazione per l'accesso universitario, che in definitiva ritarda tale evento.
In considerazione delle scelte adottate nei vari Paesi dell'Unione, sarebbe opportuno concepire una soluzione non tanto mirata ad un pedissequo adeguamento all'Unione, ma fondata invece su due criteri essenziali: il primo è la contestualizzazione del provvedimento con il bagaglio culturale, storico ed economico del nostro Paese; il secondo attiene una serie di valutazioni di carattere psico-pedagogico. Nella valutazione dell'opportunità di anticipare l'età scolare va, ad esempio, considerato che il percorso evolutivo dell'individuo necessita di un tempo preciso (e quindi non contraibile) per raggiungere la maturità necessaria ad affrontare le metodologie e i contenuti di studio che l'università impone.
Quanto al primo ciclo scolastico esso comincia a sei anni – ma anche in questo caso vi è la possibilità di iscriversi qualora il compimento dei sei anni avvenga entro il 30 aprile – e si snoda secondo due moduli, uno di cinque anni e l'altro di tre.
Il primo modulo, quinquennale, si articola in un primo anno (in cui si conducono gli alunni al possesso di elementi cognitivi di base) e successivamente in due bienni didatticamente distinti. Ritenendo inoltre che già da questa fase sia di fondamentale importanza l'apprendimento di una lingua dell'Unione europea, come pure l'approccio al mondo informatico, sono state inserite queste due discipline. Gli obiettivi sono impegnativi poiché si intende promuovere prima attraverso l'alfabetizzazione, poi attraverso l'acquisizione di conoscenze e di abilità soggettive di base, quello sviluppo della personalità che proseguirà nella fase successiva.
Il secondo modulo, triennale, consta di un primo biennio, e successivamente di un anno, volto sia al completamento didattico dei due precedenti che al raccordo con il successivo ciclo scolastico, con funzioni di consolidamento.
Il ciclo superiore è finalizzato alla crescita soggettiva dell'individuo attraverso le discipline di studio; ha la durata di cinque anni e si sviluppa in due bienni, più un anno di completamento e consolidamento del percorso, al termine del quale l'alunno dovrà sostenere un esame di Stato per poter accedere all'Università. Tale fase si conclude successivamente al compimento del diciottesimo anno di età.
In questo periodo della vita evolutiva si accrescono e organizzano le conoscenze e si tende soprattutto a far acquisire quell'autonomia di studio che si proietterà in futuro in tutti gli aspetti della vita dell'individuo.
Il disegno di legge prevede l'introduzione di una seconda lingua dell'Unione europea, nonché l'approfondimento delle tecnologie informatiche. Esso indirizza, in particolare, il secondo ciclo all'educazione personalizzata e mira a potenziare le caratteristiche soggettive, tenendo sempre in considerazione il contesto sociale e storico in cui l'individuo si realizza.
È durante questa fase che può essere realizzata la scelta tra sistema di istruzione e sistema di formazione: due percorsi assolutamente paralleli, aventi la caratteristica di una pari dignità, e come tali tutelati per legge. Questi due blocchi non sono intesi come due sistemi rigidi e a sé stanti, ma per loro intrinseca struttura dovranno garantire la possibilità, in itinere, di rivedere le proprie scelte ed eventualmente modificare il percorso di studio. Tale elasticità consente anche l'alternanza tra scuola e lavoro (come disposto dall'articolo 4) da effettuarsi sotto la diretta responsabilità dell'istituzione scolastica, ma di concerto con le imprese, nonché con enti pubblici e privati che siano disponibili ad accogliere gli studenti per periodi di tirocinio. Anche da queste esperienze deriveranno valutazioni che andranno a costituire il credito formativo dell'alunno.
I due canali sono diversi per durata (cinque anni il sistema dei licei e quattro più uno facoltativo per l'istruzione e formazione professionale) e per la natura dei programmi disciplinari, ma si concludono entrambi con l'esame di Stato.
Nel nuovo scenario qui delineato, lo Stato ha il compito di dettare le norme generali affinché sia garantito a tutti e su tutto il territorio nazionale il diritto allo studio; alle Regioni è trasferito il compito concorrente di emanare dispositivi in ordine all'intero sistema educativo, ovvero all'istruzione e alla formazione professionale, garantendo la ottimale validità e qualità del servizio sul territorio in accordo coi dettami nazionali.
Attraverso l'articolo 4 viene inoltre ribadito quanto previsto dall'articolo 18 della legge 24 giugno 1997, n. 196 che aveva previsto tirocini e stages di orientamento.
L'innovazione che vede la formazione professionale quale canale formativo parallelo a quello dell'istruzione realizza appieno le possibilità di realizzazione individuali: si avranno per entrambi percorsi che esiteranno in titoli e qualifiche spendibili su tutto il territorio nazionale e utili per l'accesso alla formazione superiore.
Per ciò che concerne le verifiche del sistema educativo di cui all'articolo 3, esse sono affidate al corpo docente, avranno carattere periodico e verranno regolarmente certificate. La valutazione periodica verificherà il passaggio alla fase didattica successiva, ed in caso di mancata idoneità l'alunno sarà costretto a ripetere non l'intero biennio, ma solo il secondo anno dello stesso periodo.
In stretto riferimento con quanto appena detto, si manifesta la necessità di una significativa permanenza del corpo docente, tesa a garantire quella continuità didattica imprescindibile anche per una corretta valutazione. In tale ambito concettuale è sembrato inoltre opportuno reinserire la tradizionale valutazione del comportamento generale dell'alunno a fronte della sperimentata convinzione che tale strumento offra, a lungo termine, un valido parametro di orientamento per i docenti, per le famiglie e per lo stesso alunno.
Inoltre, viene affidato all'Istituto nazionale per la valutazione del sistema di istruzione il compito periodico di effettuare la valutazione dell'intero sistema attraverso la verifica del livello di conoscenze raggiunte dagli alunni, allo scopo di monitorare la complessiva validità dell'apparato scolastico e formativo: anche in questo senso ci allineeremo ai metodi già in atto in vari Paesi dell'Unione europea. In ultimo, come già accennato, è previsto l'esame di Stato come tappa conclusiva dei due cicli scolastici, da svolgersi sotto il controllo di una Commissione esaminatrice e avente come contenuto prove stabilite dall'Istituto nazionale per la valutazione del sistema di istruzione: i criteri di scelta delle prove si fondano sulla base degli specifici obiettivi di apprendimento dell'intero corso, nonché in relazione ai curricula dell'ultimo anno.
L'articolo 5 entra nel merito della formazione degli insegnanti, prevedendo che siano i decreti legislativi adottati dal Governo e previsti dall'articolo 1 a disciplinarne i contenuti. Tale formazione dovrà realizzarsi nelle università presso corsi di laurea specialistica, il cui accesso è programmato in base ai posti effettivamente disponibili in ogni Regione e nei ruoli organici.
Le classi dei corsi di laurea sono individuate attraverso i decreti adottati ai sensi dell'articolo 17, comma 95, della legge n. 127 del 15 maggio 1997; tali decreti dovranno inoltre regolamentare le attività didattiche inerenti l'inserimento degli alunni portatori di handicap, prevedendo che la formazione possa essere realizzata anche all'estero.
Per accedere ai corsi di laurea specialistica si prevede il possesso di requisiti minimi curriculari, oltre ad un'adeguata formazione personale. Il conseguimento, infine, della laurea specialistica viene determinato da un esame di laurea avente valore abilitante di uno o più insegnamenti.
Tutti coloro che, già docenti laureati, intendano immettersi nei ruoli dovranno svolgere un periodo di tirocinio con appropriati contratti di formazione-lavoro. In questo senso le università dovranno definire l'istituzione e il funzionamento di apposite strutture di formazione atte a sostenere i rapporti, mediante convenzioni, con le istituzioni scolastiche.
Inoltre, le università avranno il compito della formazione in servizio dei docenti interessati ad assumere funzioni di supporto, di tutoraggio, di coordinamento delle attività didattiche e gestionali delle istituzioni scolastiche e formative.
Per ciò che riguarda le Regioni a statuto speciale e le Provincie autonome di Trento e Bolzano l'articolo 6 mantiene la loro autonomia in conformità ai loro statuti, alle norme di attuazione e alla legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001.
 Infine, l'articolo 7 detta le disposizioni finali ed attuative, individuando le materie nelle quali lo Stato potrà intervenire mediante uno o più regolamenti. Viene anche previsto che il Ministro relazioni ogni tre anni al Parlamento sul sistema educativo di istruzione e formazione per permettere la valutazione dell'efficacia delle nuove norme e, nel caso, per consentire iniziative conseguenti.
Il comma 3 detta altresì disposizioni per l'entrata in vigore della riforma in maniera graduale relativamente alla possibilità di anticipare l'iscrizione alla scuola di infanzia e alla prima classe della scuola primaria. Al riguardo, la Commissione, come si riferirà più avanti, ha dovuto emendare il testo in ragione dell'avvenuto inizio dell'anno scolastico 2002-2003. Del resto, come è noto, il Governo ha deciso di avviare una sperimentazione che si avvale degli strumenti offerti dall'articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 1999 e che coinvolge anche il profilo delle iscrizioni anticipate.
Infine, sono stabilite le disposizioni di carattere finanziario e sancita l'abrogazione della legge n. 30 del 10 febbraio 2000.
Attorno a questo impianto di riforma, in Commissione istruzione si è sviluppato un dibattito appassionato e approfondito, grazie anche al positivo contributo recato dai Gruppi di opposizione, che hanno preso parte all'esame del provvedimento con vivo interesse e partecipazione.
Ne è derivato così un arricchimento del testo che, dall'istruttoria condotta in sede referente, esce migliorato rispetto alla stesura originaria, a seguito sia di modifiche formali, che lo rendono più coerente e lineare, sia di alcune specificazioni di merito che, senza deviare dagli intenti finali del disegno di riforma, adeguano tuttavia il provvedimento ad esigenze poste tanto dal relatore e da esponenti di maggioranza, quanto da rappresentanti dell'opposizione.
In particolare, all'articolo 1, in conformità ad una proposta, condivisa dal relatore, del senatore Cortiana, è stato ampliato il termine concesso alle Commissioni parlamentari per esprimersi sugli schemi di decreti legislativi, portandolo da 30 a 60 giorni, in conformità all'ordinaria prescrizione di cui alla legge n. 400 del 1998.
Ancora del senatore Cortiana è stata poi accolta la proposta volta a introdurre il rispetto del principio di pluralismo delle soluzioni informatiche offerte dall'informazione tecnologica, laddove si stabilisce che il piano programmatico di cui al comma 3 deve assicurare il sostegno dello sviluppo delle tecnologie multimediali e della alfabetizzazione nelle tecnologie informatiche.
A tale specifico riguardo è stata infatti elaborata una formulazione che, senza imporre per legge alcuna scelta che correttamente deve restare affidata al mercato, stimola tuttavia le conoscenze e l'approfondimento delle diverse opzioni disponibili. Le finalità che il predetto piano programmatico dovrà sostenere sono state poi ulteriormente arricchite prevedendo, su richiesta del senatore Barelli, lo sviluppo dell'attività motoria e delle competenze ludico-sportive; mentre, conformemente a proposta emendativa del senatore Brignone, si è limitato il ruolo dello Stato al concorso al rimborso (e non al rimborso tout court) delle spese di autoaggiornamento sostenute dai docenti.
La più significativa modifica apportata all'articolo 2 concerne invece una vexata quaestio: l'anticipo delle iscrizioni alla scuola dell'infanzia. Recependo una serie di sollecitazioni provenienti dalla maggioranza e dall'opposizione, la Commissione ha ritenuto che l'anticipo debba avvenire in maniera graduale e in forma di sperimentazione, anche al fine di verificarne l'impatto sul sistema educativo.
Meno cogente è stata poi resa la formulazione che prevedeva che dall'esame di Stato conclusivo del primo ciclo dovesse necessariamente emergere anche un'indicazione orientativa non vincolante per il prosieguo degli studi. Al riguardo, su iniziativa della senatrice Bianconi, si è preferito scrivere che la scuola secondaria di primo grado aiuta a orientarsi per la successiva scelta di istruzione e formazione.
Ancora all'articolo 2, ma relativamente all'ordinamento del secondo ciclo, la principale innovazione attiene all'eventuale accesso all'istruzione e formazione tecnica superiore per coloro che abbiano frequentato i licei. Per uniformità con gli studenti che hanno scelto il percorso dell'istruzione e formazione professionale, ai quali è sufficiente frequentare quattro anni di scuola secondaria per essere ammessi all'istruzione e formazione tecnica superiore, alla stessa potranno accedere anche gli allievi dei licei che siano stati ammessi al quinto anno.
In merito invece al quinto anno facoltativo del canale dell'istruzione e formazione professionale, esso potrà essere realizzato d'intesa non solamente con le università, bensì anche con le istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica. Infine, viene puntualizzato che i piani di studio di cui alla lettera l) dell'articolo in questione saranno personalizzati.
L'articolo 3 registra l'accoglimento di alcuni emendamenti dell'opposizione, a prima firma del senatore Berlinguer, volti a ripristinare il tradizionale termine di «studenti» in luogo della dizione «allievi» inizialmente preferita dal disegno di legge governativo. La Commissione ha peraltro ritenuto di dover precisare che il miglioramento dei processi di apprendimento, della relativa valutazione e la continuità didattica sono assicurati anche mediante la congrua permanenza dei docenti nella sede di titolarità.
Quanto all'alternanza scuola-lavoro, disciplinata all'articolo 4, il testo è stato modificato, nel senso di prevedere che l'attuazione e la valutazione di tale modalità avverrà in collaborazione, oltre che con le imprese, con le rispettive associazioni di rappresentanza e con le camere di commercio, le quali ora figurano anche alla lettera a) fra i soggetti abilitati a stipulare convenzioni con le istituzioni scolastiche. Su proposta del senatore Brignone, è stato poi inserito un secondo comma, diretto a riconoscere una specifica funzione-obiettivo al docente incaricato dei rapporti con le imprese e del monitoraggio degli studenti che si avvalgono dell'alternanza scuola-lavoro.
È stato inoltre licenziato un testo dell'articolo 5, attinente alla formazione degli insegnanti, con alcune varianti rispetto alla stesura originaria. In particolare, occorre segnalare che i corsi di formazione per i docenti non dovranno più essere tutti di pari durata e che gli accessi agli stessi saranno programmati sulla base dei posti disponibili nelle istituzioni scolastiche, sopprimendo cioè il riferimento ai ruoli organici e così includendo nella previsione anche le scuole paritarie.
In secondo luogo, le università, nel definire l'istituzione e l'organizzazione delle apposite strutture per la formazione degli insegnanti, dovranno ora sentire le direzioni scolastiche regionali interessate; alle strutture, che peraltro potranno avere anche una dimensione interateneo, vengono attribuiti la promozione e il governo dei centri di eccellenza per la formazione permanente degli insegnanti. Inoltre, assume natura concorrente il ruolo delle università nella formazione in servizio, che vedrà quindi la partecipazione diretta delle istituzioni scolastiche.
Ai decreti legislativi di cui all'articolo 1 è stata poi affidata anche la normazione in materia di formazione iniziale svolta negli istituti di alta formazione e specializzazione artistica, musicale e coreutica, sotto il profilo degli insegnamenti cui danno accesso i relativi diplomi accademici.
Infine, è stata introdotta una disciplina transitoria in favore di coloro che siano in possesso del diploma biennale di specializzazione per le attività di sostegno, in modo da consentire loro un percorso abbreviato presso le scuole di specializzazione all'insegnamento secondario; tale possibilità riguarda anche i possessori del diploma di Istituto superiore di educazione fisica, di Accademia di belle arti, di Istituto superiore per le industrie artistiche, di Conservatorio di musica o di Istituto musicale pareggiato.
Agli studenti specializzati per le attività di sostegno si offre inoltre la possibilità di essere iscritti in soprannumero e di svolgere un percorso abbreviato anche nell'ambito dei corsi di laurea in scienza della formazione primaria, il cui esame di laurea finale avrà peraltro valore abilitante all'insegnamento e consentirà l'inserimento nelle graduatorie permanenti.
Relativamente all'articolo 6 e quindi alle competenze delle Regioni a statuto speciale, il testo proposto dalla Commissione si differenzia dal disegno di legge predisposto dal Governo nel rendere facoltativa, a partire dall'anno scolastico 2003-2004, la prova scritta di lingua francese nell'ambito dell'esame di Stato conclusivo del ciclo secondario nella regione Valle d'Aosta.
Da ultimo, è stato adeguato l'articolo 7 nel senso di determinare nell'anno scolastico 2003-2004 l'inizio del nuovo sistema, che consente di iscrivere alla scuola dell'infanzia e alla prima classe della scuola primaria i bambini che abbiano compiuto l'età richiesta entro il 28 febbraio 2003.
Sono state inoltre recepite le condizioni poste dalla Commissione bilancio, vincolando espressamente la possibilità delle iscrizioni anticipate sopra richiamate e le ulteriori future anticipazioni fino alla data del 30 aprile alle risorse finanziarie effettivamente disponibili e al rispetto dei limiti di spesa fissati al comma 5 del medesimo articolo. È stato infine aggiunto un ultimo comma volto ad abrogare la legge 20 gennaio 1999, n. 9, recante norme per l'elevamento dell'obbligo di istruzione.
La Commissione ha inoltre approvato alcuni ordini del giorno, che ora vengono conseguentemente trasmessi all'Assemblea. Il Governo, che li ha accolti tutti, risulta pertanto impegnato in primo luogo a predisporre il piano programmatico di interventi finanziari di cui all'articolo 1, comma 3, in tempi che consentano la dislocazione delle risorse occorrenti già nella legge finanziaria per il 2003; l'ordine del giorno in questione indica peraltro puntualmente l'entità dello stanziamento che si reputa necessario e le finalizzazioni a cui dovrà essere destinato il suddetto piano. (...)
Gli altri ordini del giorno votati dalla Commissione impegnano poi il Governo a valutare, entro tre anni dall'entrata in vigore della riforma, gli effetti della valutazione biennale degli studenti, eventualmente ripristinando la valutazione annuale; a non attivare una apposita laurea specialistica finalizzata esclusivamente alla formazione degli insegnanti; a procedere gradualmente al raggiungimento dell'obiettivo della pari durata per la formazione iniziale dei docenti della scuola dell'infanzia; a prevedere che i corsi di laurea specialistica finalizzati anche alla formazione degli insegnanti siano programmati e realizzati attraverso convenzione tra atenei e istituti scolastici autonomi.
Conclusivamente il disegno di legge n. 1306 appare idoneo a porre mano ad una riforma indispensabile per rendere il nostro sistema scolastico attuale valido e competitivo, senza per questo mettere in secondo piano la nostra tradizione culturale, storica e sociale. A tal fine, opportunamente esso considera l'individuo quale soggetto attivo del complesso processo di strutturazione della personalità, prevedendo uno sviluppo graduale e sequenziale delle capacità di apprendimento, ed afferma inequivocabilmente il diritto di tutti allo studio, anche attraverso l'innovativa attribuzione della piena dignità alla formazione professionale, evitando la ghettizzazione di coloro che scelgono un percorso anticipatamente pragmatico rispetto a quello squisitamente intellettuale.
Sulla base delle considerazioni ora svolte, auspico pertanto che l'Assemblea proceda all'approvazione del disegno di legge delega presentato dal Governo, con le modifiche e integrazioni apportate dalla Commissione.

SOLIANI, relatrice di minoranza.

Signor Presidente, signora Ministro, signori Sottosegretari, colleghi, nell'istruzione è il tesoro del Paese: il suo futuro, la sua memoria, la sua coscienza. Per questa ragione il sistema nazionale di istruzione è uno dei cardini della Nazione. Esso appartiene a tutti gli italiani e nessun Governo può mettervi mano come se fosse cosa propria.
La delega che il Governo chiede al Parlamento con il disegno di legge n. 1306 al nostro esame trova qui il suo primo grande limite sostanziale e politico. Sull'istruzione vi è bisogno di un grande patto condiviso. La scuola non dovrebbe diventare, nel sistema maggioritario, terreno di scontro tra gli schieramenti politici proprio perché è un bene prezioso per tutti.
Il Governo non la pensa così: ha scelto di non valorizzare il ruolo del Parlamento nel quale è rappresentato il Paese, indebolendo la sua stessa proposta. Dobbiamo dirlo: questo disegno di legge è inconsistente di fronte al futuro, è molto distante dal bisogno di istruzione e di crescita culturale che oggi l'intera società italiana esprime. La qualità delle persone e l'investimento nell'educazione, nella formazione, nella ricerca sono oggi il motore del cambiamento e della crescita dei Paesi. L'Italia ha un livello basso di scolarizzazione e un numero troppo limitato di laureati. La nostra priorità deve essere, dunque, l'istruzione. Non è così per il Governo, altre sono le priorità del Presidente del Consiglio.
Perché la finanziaria presentata in questi giorni, anziché operare tagli così pesanti non ha investito direttamente nella riforma della scuola? Il Governo di centro-destra rinuncia ad investire, razionalizza l'esistente, indebolisce il sistema pubblico di istruzione, ne fa terreno per operare risparmi, lo trasforma in servizio a domanda individuale. Così chi più ha meglio sceglie, più sa e più conta. Le differenze sociali aumentano: non è questa l'Italia che vogliamo. Il Governo prende atto delle differenze sociali e disegna un sistema che semplicemente le registra. È contro la storia: sempre la scuola ha prodotto cambiamento, maggiore equità, maggiore mobilità sociale.
Noi vogliamo rafforzare il sistema nazionale di istruzione che «ha contribuito più di ogni altra istituzione a costruire una patria unita», come ha detto il presidente Ciampi nel corso della cerimonia di inaugurazione dell'anno scolastico. Questo è il compito che l'Ulivo indica a se stesso, al Paese, al Governo.
L'indeterminatezza delle risorse, già anticipata dalla forte riduzione operata con la legge finanziaria 2002 e ora aggravata dalla riduzione stimata per il 2003 in 490 milioni di euro, si accompagna all'incertezza del quadro istituzionale e costituzionale in rapporto al Titolo V della Costituzione e al progetto di devoluzione, anch'esso in discussione al Senato. La delega al Governo in materia di istruzione appare anche a questo riguardo carica di incognite e di rischi e perciò inaccettabile. Dubbi di incostituzionalità permangono circa la determinazione dei princìpi fondamentali nelle materie di competenza delle Camere.
L'origine dell'intero progetto, nato per cancellare la riforma approvata dal Parlamento nella precedente legislatura, mentre ne vizia tutto l'impianto, in realtà apre la strada a un processo di destrutturazione dell'intero sistema, a una mutazione profonda della sua natura, della sua cultura, del suo ruolo.
Noi non riusciamo a collocare questo disegno di legge nel solco storico degli interventi legislativi che dalla seconda metà dell'Ottocento ad oggi hanno trasformato il sistema scolastico italiano. Basti pensare all'obbligo scolastico, la cui elevazione ha fatto la storia dell'istruzione in Italia. Questo disegno di legge provvede ad abrogarlo.
La trasformazione della società deve indurci a interventi di cambiamento e di modernizzazione anche per il sistema di istruzione e formazione, ma essi sono tanto più efficaci quanto più restano confermati i diritti fondamentali di libertà e uguaglianza di tutti i cittadini. Ciò vale oggi anche per l'obbligo di istruzione. Sta tutta qui la differenza politica e ideale tra il nostro profilo riformista, che accetta la complessità e la governa, e la tendenza ad un tempo semplificatrice e restauratrice del Governo.
Inadeguato sul piano istituzionale, strategico e culturale, il disegno di legge risulta piuttosto lo strumento per introdurre nella scuola italiana quella cultura individualistica, privatistica, aziendalistica propria del centro-destra che sul terreno dell'educazione e dell'istruzione manifesta il suo vero volto. Siamo di fronte ad un cambio di paradigma: al criterio pedagogico ed educativo si sostituisce quello economico e funzionalista. Il confine tra la cultura costituzionale della scuola italiana e quella mercantile è netto: questo confine il Governo lo sta abbattendo. Noi abbiamo un'altra idea della scuola perché abbiamo un'altra idea della società, del mercato, dello Stato sociale.
Del tutto insufficienti, pertanto, appaiono i princìpi e i criteri direttivi contenuti all'articolo 2 ai quali dovrebbero ispirarsi, secondo il Governo, la scuola italiana e i decreti attuativi della delega. Non vi è riferimento alla dimensione globale e planetaria nella quale crescono oggi le nuove generazioni, quando invece la scuola stessa è sollecitata a farsi luogo di incontro e di dialogo multiculturale e interreligioso.
Debole è la proposta in materia di valutazione (articolo 3): tanto incapace di delineare i compiti di un Servizio nazionale di valutazione del sistema e dei suoi risultati, all'altezza della comparazione internazionale, quanto pignola nel ripristinare il voto in condotta per gli studenti.
Debole è l'esame di Stato delineato nel medesimo articolo: poco più di uno scrutinio finale. Leggerezza, improvvisazione, approssimazione. Davanti a noi il Governo indica il passato: il ritorno al maestro unico e all'avviamento precoce al lavoro. Questa, in sintesi, la cifra che definisce il profilo di questo provvedimento.
Accanto all'iniziativa governativa, il Senato ha registrato in Commissione la presenza della proposta di legge n. 1251, presentata dal senatore Fiorello Cortiana e da altri senatori, un esempio della visione dell'Ulivo nell'iter che la discussione ha avuto in Commissione. Un iter condotto dal presidente della Commissione, senatore Asciutti, al quale diamo atto dell'attenzione al ruolo del Parlamento, e che si è compiuto anche grazie all'atteggiamento rigoroso e costruttivo dei Gruppi di opposizione.
Onorevoli senatori, noi valutiamo negativamente la proposta del Governo perché vogliamo dare un'altra prospettiva al sistema di istruzione del nostro Paese, quella dell'Europa dalla quale questo disegno di legge decisamente si allontana.
Vi è bisogno di rafforzare il sistema nazionale di istruzione e tra i punti da rafforzare indichiamo prima di tutto l'autonomia, che è il nuovo paradigma culturale del sistema di istruzione, con la quale si è aperta una vera e propria fase costituente.
La sperimentazione annunciata dal Ministro si è inserita nell'iter del presente provvedimento, con il chiaro intento di accelerare l'intervento del Governo alla vigilia del nuovo anno scolastico, in assenza dell'approvazione della legge delega: un tentativo di aggiramento dell'iter parlamentare, un'invadenza nell'autonomia delle istituzioni scolastiche. Peraltro, è una sperimentazione modesta, come è sotto gli occhi di tutti, nata nella precarietà, scarsamente rappresentativa della realtà scolastica italiana.
Sul fondamento dell'autonomia, che l'Ulivo vuole consolidare e rafforzare, cinque sono le nostre priorità che vediamo colpite e disattese nell'intervento del Governo: primo, la scuola dell'infanzia e la sua generalizzazione, il profilo educativo ed organizzativo della scuola elementare nel ciclo lungo con la scuola media; secondo, l'innalzamento dell'obbligo di istruzione e l'integrazione del curricolo tra i quattordici e i sedici anni; terzo, la formazione continua, anche in rapporto all'occupazione; quarto, l'investimento sul personale docente; quinto, uno straordinario investimento di risorse.
Quanto al primo punto, la scuola dell'infanzia italiana, statale, comunale e paritaria ha conosciuto una linea coerente e continua che l'ha portata a prestigiosi riconoscimenti internazionali. Il disegno di legge in esame tocca questo originale equilibrio storico, istituzionale ed educativo e lo modifica in un senso gravemente negativo.
L'idea dell'anticipo è gravemente svalutativa nei confronti della scuola dell'infanzia, che potrebbe venire reimmessa in una visione assistenzialistico-sociale dalla quale si è faticosamente affrancata e che potrebbe, a sua volta, costituire la premessa per una definitiva uscita dal sistema dell'istruzione per entrare, con un mutamento di rotta dagli imprevedibili confini, nell'ambito dei servizi alla persona nel quadro delle competenze degli enti locali.
Di fronte a questa proposta le famiglie sono lasciate sole, nell'incertezza, certe soltanto di una cosa: restano le liste di attesa, che non consentono a tutti i bambini italiani la possibilità di accedere alla scuola dell'infanzia.
Noi sappiamo, come ci esorta a pensare la senatrice Rita Levi Montalcini, che l'investimento sull'intelligenza dei bambini nei primi anni di vita è la base per affrontare la nuova sfida intellettuale dell'Europa. Questa allora è la nostra proposta: estendere in tutto il territorio nazionale la scuola dell'infanzia come strumento per l'eguaglianza delle opportunità.
Allo stravolgimento della scuola dell'infanzia si accompagna lo stravolgimento della scuola elementare, ben evidente nella sperimentazione avviata: la cancellazione, insieme ai moduli, di trent'anni almeno di innovazione. Si reintroduce, dopo decenni, l'insegnante unico, sorta di tuttologo che esautora i colleghi delle responsabilità educative e dei rapporti con le famiglie. Il team di cui si parla è l'opposto di quello sperimentato nella scuola elementare perché manca di pariteticità, di collegialità, di corresponsabilità.
Quanto al secondo punto, l'ipotesi di riforma anticipa di molto anche il momento delle scelte che i ragazzi dovranno fare circa il proseguimento degli studi. L'OCSE raccomanda l'orientamento «progressivo», il Governo ripropone l'orientamento precoce! L'invio precoce alla formazione professionale non è una risposta di fronte al futuro dei giovani ma la rassegnazione del Governo allo stato delle cose. Non è neppure un riconoscimento della formazione professionale nella sua dignità di percorso formativo.
Anche i Paesi che vent'anni fa hanno affrontato il problema con l'istituzione del doppio canale formativo, che questo disegno di legge vuole introdurre in Italia, stanno riflettendo sul fallimento di soluzioni che troppo precocemente indirizzano i giovani esclusivamente verso la formazione, precludendo loro non solo l'acquisizione di un livello di competenze adeguato all'evoluzione della scienza e della tecnologia, ma anche la formazione di una «testa ben fatta», di capacità relazionali, di una coscienza critica che le stesse imprese riconoscono più necessarie della sola specializzazione professionale.
La riforma dell'Ulivo aveva trovato una soluzione con i curricoli obbligatori e integrati nel biennio dopo la scuola di base. Di tutto si può discutere in materia di cicli. E forse, a mio parere, se ne è discusso anche troppo. Ciò che non è possibile accettare è la soluzione scelta dal disegno di legge che ha alla base una visione arretrata dei processi formativi.
Circa il terzo punto, del tutto assente dal provvedimento è il tema della formazione continua per la quale noi proponiamo invece un grande piano di investimento che sia parte dell'impegno del Paese per l'occupazione, per il Mezzogiorno, per la ripresa dello sviluppo.
Quanto al quarto punto, anche il personale della scuola, della cui formazione si parla all'articolo 5 del disegno di legge, fattore decisivo nella strategia di un Paese sull'istruzione, è pesantemente colpito dall'intervento del Governo. Una buona scuola la fanno gli insegnanti e i dirigenti.
Ridare un ruolo forte ai docenti deve essere una priorità. Rimotivarli deve essere la priorità. E invece il Governo riesce a scoraggiarli definitivamente. Anziché impiegarli e riconvertirli per più estesi e continui obiettivi di istruzione e formazione nel nostro Paese, il Governo riduce pesantemente i posti, operando tagli ovunque, compreso il personale di sostegno per l'integrazione scolastica dei portatori di handicap. Il disegno di legge riporta i docenti e i dirigenti scolastici indietro di dieci anni.
Formazione universitaria, aggiornamento e periodi sabbatici, organico funzionale, contratto: sono per noi gli obiettivi essenziali che l'azione del Governo dovrebbe darsi. Il riconoscimento del ruolo degli insegnanti porta con sé il riconoscimento del ruolo degli studenti e del ruolo delle famiglie, componenti fondamentali della scuola sostanzialmente ignorati dal Governo.
Dunque, autonomia, ruolo dei docenti, generalizzazione della scuola dell'infanzia, elevamento dell'obbligo di istruzione in una visione integrata con la formazione professionale, formazione continua degli adulti sono per noi i temi essenziali di una strategia di investimento sull'istruzione che questo disegno di legge lascia del tutto ai margini.
Vengo ora al quinto punto. La prova decisiva delle vere intenzioni del Governo sono le risorse che non vediamo. Senza di esse qualsiasi disegno di riforma si affloscia. Resterà sulla carta. È quanto si evince all'articolo 7 di questo disegno di legge. Il meccanismo generale di copertura del provvedimento, con riferimento alle norme di delega, è integralmente imperniato sul rinvio agli strumenti finanziari della sessione di bilancio. Oggi sappiamo che la finanziaria per il 2003 non prevede risorse per questa riforma, anzi opera tagli pesantissimi sulle spese di gestione e su quelle future di investimento (si vedano le tabelle A, B e C).
Si tratta di un'indubbia forzatura del vincolo costituzionale di copertura delle leggi di spesa di cui al quarto comma dell'articolo 81 della Costituzione. Secondo l'impostazione avallata dalla Commissione bilancio, dunque, l'intera riforma dell'istruzione proposta dal Governo dovrebbe essere valutata come poco più di un insieme di norme meramente programmatiche, che delineano una sorta di «provvedimento-manifesto» privo di contenuto giuridico rilevante.
Noi, invece, proponiamo un piano straordinario di investimento sull'istruzione che vogliamo vedere nella prossima legge finanziaria e un aggancio organico al PIL delle risorse per la scuola.
Onorevoli senatori – e mi avvio a concludere –, questo disegno di legge non va incontro alla scuola italiana, la quale non ha chiesto né l'anticipo, né la riduzione dell'obbligo, né la sperimentazione, né il taglio delle classi, né l'aumento degli alunni per classe. Non lo hanno chiesto le famiglie italiane.
È contrario agli interessi delle nuove generazioni, agli interessi del Paese. È tutto sotto il segno meno: riduce l'offerta formativa, toglie l'obbligo di istruzione, taglia istituzioni scolastiche, personale, risorse, autonomia, mette ai margini i più deboli. Toglie certezze, peggiora gli standard della scuola pubblica, rende più insicuro il futuro della scuola. Con la richiesta della delega si sottrae al dibattito e toglie spazio al Parlamento. Pretende di cambiare la cultura della scuola. La scuola italiana è più avanti di questo disegno di legge. Non di rado la scuola è più avanti delle leggi, più ricca grazie alle sfide che ha affrontato, più aperta alle differenze, più forte contro le diseguaglianze.
La cultura della scuola italiana è una cultura costituzionale, alla quale è estraneo l'approccio privatistico e aziendalistico. La scuola sa che deve essere efficiente, che deve produrre risultati. Lo sa e lo sa anche fare. La cura del Governo invece la colpisce duramente, anche e proprio nella sua efficienza.
Mentre questo provvedimento attraversa il Senato, e in attesa del suo approdo alla Camera dei deputati, la scuola e la società civile discutono del loro futuro. Noi difendiamo questo futuro, con la nostra opposizione a questo disegno di legge, un'opposizione sui contenuti, sulle finalità, sui metodi, senza sconti perché alto e rigoroso è il profilo della nostra proposta.
È una proposta per l'oggi e per i prossimi anni; una proposta che intende misurarsi con i grandi obiettivi dell'innovazione piuttosto che fermarsi alla difesa dell'azione del centro-sinistra negli anni che sono alle nostre spalle; una proposta che dice al Governo di fermarsi, di sgombrare il campo, di mettere da parte la delega, il disegno di legge, una sperimentazione che quasi non c'è.
Si cambi radicalmente l'impostazione politica: si investa sull'autonomia, si mettano a disposizione risorse, si rispetti la cultura della scuola italiana e il suo radicamento sociale. La strada imboccata dal Governo porta il sistema fuori rotta. Sono pericolose le leggi il cui pensiero è debole. Se si prosegue così si rende irrilevante il senso dell'esperienza culturale e civile della scuola italiana. Così non si è in Europa, si porta l'Italia lontana dalla sua storia e dal futuro europeo che le appartiene.
È necessario darsi un obiettivo comune: non uno di meno!
Scommetta il Paese sulle sue nuove generazioni, scommetta sulla scuola. Perché il punto non sono le riforme, e neppure – oso dire – la scuola in sé, ma come potranno continuare a vivere le generazioni future. È questo che chiedono le famiglie, che chiede l'Italia: una scuola per tutti. Governare significa affrontare le cose reali, non ridurre la realtà a finzione, a comunicazione massmediatica.
L'Ulivo è pronto, non teme il confronto. L'Ulivo pensa che questo sia il momento per rilanciare nel Paese una grande stagione di rafforzamento e di innovazione nella scuola. L'Ulivo ha indicato con questa relazione di minoranza le cinque priorità che riteniamo indispensabili perché il sistema di istruzione e di formazione non rimanga ai margini, tagliato fuori dal progresso e dalle nuove conoscenze. L'Ulivo è con la scuola, è con il Paese, convinto che un'Italia che sa è un'Italia che vale. Nell'Europa e nel mondo.
Signor Presidente, la ringrazio, mi fermo qui e rimando alla relazione scritta.


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